Speciale contro la violenza di genere: Alessandro Canzian

Un’intera settimana per ragionare sulla violenza sulle donne e, più in generale, sulla violenza di genere.

Dalla giornalista e poeta Felicia Buonomo, intervistata dal nostro redattore Dario Talarico, poi insultata sui Social con un mediocrissimo “da questa mi farei violentare e non denuncerei“, che ha provocato un’accesissima discussione in diversi profili Social con centinaia di commenti, a fronte di una risposta laconica da parte del protagonista dell’insulto: “non posso essere masochista?” (sintomo che il problema è prettamente culturale). A Franco Buffoni, tra i massimi poeti contemporanei che puntualmente e intelligentemente amplia il discorso alla violenza di genere. A Eugenia Toni, acutissima amica che sottolinea le contraddizioni del movimento #metoo e di parte del femminismo. Agli scrittori e scrittrici della Samuele Editore Lucianna Argentino e Virginio Zoccatelli, con uno sguardo che parte dalla poesia per arrivare al sociale. Alla giornalista Patrizia Maltese che con la nostra redattrice Erica Donzella parla della situazione meridionale. A Maria Dell’Anno, scrittrice protagonista il 25 novembre dell’appuntamento, sul tema, a Brisighella al celebre ciclo Cotidie Legere. A, per restare sugli eventi, l’esperienza e l’evento nel trevigiano dell’associazione Scarpetta Rossa. Alla visione classica attraverso i testi antichi promossa dai redattori Olga Cirillo e Mario Lentano. Alla violenza vista da dentro, da dentro la vita, quando noi stessi ci esponiamo a questa inconsapevoli, che ci ha proposto la poeta Ilaria Palomba.

Questo lungo Speciale lo abbiamo voluto alla luce della pluralità di opinioni, di prospettive, con diverse discussioni all’interno della redazione per capire quale fosse la nostra posizione, per capire cosa stavamo imparando dalle parole che pubblicavamo.

Non posso parlare per l’intera redazione, che ringrazio sempre tantissimo per dare fiducia a Laboratori Poesia, perché il tema è ampio e implica tempo, riflessione, calma. A Brisighella dalla Presidente di SOS Donna Centro Antiviolenza di Faenza, Antonella Oriani, che ha introdotto Elisabetta Zambon che ha presentato appunto il libro di Maria Dell’Anno (E ‘l modo ancor m’offende, San Paolo Edizioni, 2022), ho sentito dire che non sarà questa la generazione che risolverà la violenza sulle donne, ma forse la prossima.

Parole che mi risuonano vicine al cuore perché ricordano quelle di un’amica, tra le fondatrici della Casa delle Donne di Trieste, Gabriella Musetti, che pur non giustificando in maniera alcuna la violenza affermava che “dopo secoli di patriarcato e di potere l’uomo si è visto togliere quasi all’improvviso il predominio, il potere, è tutto sommato normale che serva tempo e che accadano purtroppo tragedie. I cambiamenti non arrivano subito e senza ripercussioni“.

Allo stesso tempo ho sentito a Brisighella ma anche tra i commenti sui Social parlare di punizioni, leggi. Ovviamente è una semplificazione che a Cotidie legere stesso, in chiusura, si è detta non bastevole. Si pensi alla pena di morte, che da anni sappiamo non essere in alcuna forma un deterrente.

Il problema è culturale, e si inizia (come ci dice bene Eugenia Toni) dalla consapevolezza che è un problema comune, anche delle donne. Non solo nel senso di protezione ma anche di cultura. La famiglia come l’ambito sociale, non di rado, sono l’origine delle frustrazioni e della violenza che poi esplode nell’adulto. Perché il problema non è solo la macro-cultura patriarcale del predominio, ma anche la micro-cultura familiare e sociale dell’umiliazione, della frustrazione.

Quando nasce la violenza, di qualunque genere o sesso sia, bisogna sempre chiedersi da dove provenga. Soprattutto se il fenomeno è talmente ampio da non poter essere giustificato con una semplificazione, né affrontato con leggi che tutto sommato ci sono.

La violenza è parte dell’essere umano, ma va disinnescata a monte in famiglia, con una politica della famiglia che porti a un benessere costituente. Va disinnescata in una cultura che deve evolvere, perché quando si sentono ragazzi dire “i gay mi fanno schifo” si è di fronte al fallimento della società, si è di fronte al fallimento delle famiglie.

In questi giorni ho anche sentito parlare di narrazione, di come i giornali modifichino la realtà per darle un indirizzo specifico. Cosa che ho trovato controversa perché la narrazione è per definizione controversa. Non di rado la si critica nel momento in cui non è utile e la si usa quando serve. Senza scomodare la Fallaci in una posizione personale che molti conoscono, Eugenia Toni nel suo commento ci ha dato un ottimo esempio di narrazione che si è rivoltata contro le donne stesse.

E questi sono i problemi di cui abbiamo parlato questa settimana e di cui dobbiamo continuare a parlare. Perché dire “bisogna educare i giovani” non basta più senza identificare chi deve farlo, senza assumersene la responsabilità. Perché dire “dobbiamo inasprire le pene” non è mai veramente servito.

È necessario aiutare le vittime ma anche comprendere e prevenire il problema. È necessario disinnescare quegli uomini nemici delle donne ma allo stesso tempo quelle donne nemiche delle donne. È necessario guardare all’uomo e alla donna come origine del problema che poi, purtroppo, nella sua espressione più drammatica viene maggiormente sofferta dalla donna.

Ma il problema è sociale, è comune. Non parlo di paesi diversi dall’Italia dove le dinamiche sono altre, parlo di oggi e qui. Parlo di genitori che non umilino i figli, di ragazzi che crescano con spirito critico, di ragazze che comprendano la sorellanza con altre ragazze e la fratellanza con i ragazzi. E ovviamente viceversa.

Parlo della consapevolezza che nella violenza i colpevoli e le vittime non sono i soli soggetti del caso specifico, ma anche chi è venuto prima, chi sta attorno, chi verrà dopo.

Forse, come ha detto Antonella Oriani a Cotidie Legere, noi non vedremo la fine di questa piaga. E personalmente temo nemmeno i nostri figli. Ma se non cominciamo ad analizzare a tutto tondo il fenomeno andando oltre la propaganda e la narrazione, puntando all’analisi critica d’impostazione culturale che guardi a uomini e donne in maniera paritaria, non inizieremo nemmeno a risolverlo, ma lo replicheremo in maniere sempre differenti.

Continuamente, nella consapevolezza che le punizioni, per quanto necessarie, non serviranno a curare il male.

Alessandro Canzian