Speciale contro la violenza di genere: Mario Lentano


 

In occasione del 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le Donne, la redazione di Laboratori Poesia sospende la programmazione dell’intera settimana e dedica, ogni giorno, lo spazio delle pubblicazioni a riflessioni e interviste. Molti gli amici poeti, critici, giornalisti e lettori che hanno risposto al nostro appello. E anche la redazione. Chiude lo Speciale Mario Lentano.

La Redazione

 
 

Vita e morte della matrona Lucrezia

In una fredda notte di febbraio del 509 a.C. un uomo si fermò davanti alla casa di Tarquinio Collatino e di sua moglie, la bella e casta Lucrezia. L’uomo si chiamava Sesto Tarquinio ed era figlio del re in carica, ma era accompagnato solo da uno schiavo: non si trattava di una visita ufficiale, ma di un incontro tra parenti, dal momento che Collatino apparteneva a un ramo cadetto della famiglia reale. Accolto affabilmente da Lucrezia, che in quel momento è sola, Sesto si intrattiene a cena con lei, poi viene accompagnato nella stanza degli ospiti. Quando nella grande casa scende il silenzio, si alza, impugna la spada, fa irruzione nella stanza della matrona e cerca in ogni modo di farla sua, alternando preghiere e minacce. Ma Lucrezia non è meno coraggiosa che fedele e resiste. Alla fine, Sesto Tarquinio ricorre al più abietto dei ricatti: ucciderà lo schiavo che ha portato con sé e lo lascerà nudo nel letto, accanto al cadavere di Lucrezia; a Collatino racconterà di aver colto i due in flagrante adulterio. È solo allora che la donna cede: di fronte alla prospettiva inaccettabile di vedere la sua reputazione macchiata per sempre, senza nessuna possibilità di difendersi e di raccontare la sua storia. L’alba è appena sorta quando Sesto lascia la casa, appagato e ottuso come gli stupratori di ogni tempo.

Rimasta sola, Lucrezia manda subito a chiamare padre e marito e alla loro presenza racconta l’orrore della notte maledetta, fa il nome del figlio del re e lo affida alla vendetta degli uomini. Di sé dice che si assolve dalla colpa, ma non si esime dalla punizione: «D’ora in avanti», sono le sue ultime parole, «non ci sarà nessuna donna romana che voglia vivere da disonorata invocando il nome di Lucrezia». Quindi estrae il pugnale che sin dall’inizio ha nascosto sotto la veste, o forse sotto un cuscino, e prima che qualcuno dei presenti possa impedirglielo si trafigge il petto, crollando a terra in un lago di sangue. Il resto è storia: il cadavere di Lucrezia portato in piazza, la rabbia popolare che monta di fronte al nuovo, intollerabile abuso del re e dei suoi familiari, lo scoppio della rivolta che porrà fine per sempre al regime monarchico che governa Roma sin dalla sua fondazione, due secoli e mezzo prima, la nascita della repubblica.

Cosa sappiamo di Lucrezia? Praticamente nulla, tutta la sua storia si risolve nel breve arco di una notte, che sarà per lei l’ultima. Doveva essere una giovane sposa, visto che non aveva ancora figli; un’adolescente, o poco più, almeno secondo il nostro modo di scandire le età. A Roma le donne si sposavano non appena fossero entrate nell’età fertile: era un mondo duro, nel quale la sorte più comune, per una sposa, era morire di parto, o veder morire il suo bambino al momento della nascita o nei primi giorni di vita. E dunque non c’era tempo da perdere, la fecondità di una donna, bene prezioso e fragile, andava sfruttata sin dal primo momento utile, sin da quando una ragazza diventava, dicevano i Romani con un termine raccapricciante, viripotens, “capace di reggere un uomo”.

Lucrezia è innocente, senza dubbio. Eppure deve morire. Deve morire perché in seguito alla violenza subita il suo sangue è stato irrimediabilmente guastato, corrotto, inquinato dal sangue del suo violentatore, penetrato nel suo corpo con il seme di Sesto. Lo dice Bruto, l’uomo giunto insieme a Collatino sulla scena del crimine e destinato a guidare la rivolta contro la monarchia: quel sangue era casto, ma solo «prima dell’oltraggio del figlio del re». Ora è sporco. E soprattutto è inservibile per mettere al mondo un figlio legittimo di Collatino, perché quel figlio avrebbe dentro di sé qualcosa di estraneo, che appartiene a un uomo diverso dal marito di Lucrezia. Sarebbe un ibrido, un mezzosangue, che il padre non potrebbe riconoscere come suo.

Lucrezia deve morire perché per le donne come lei la cultura romana non ha previsto alternative al ruolo di mogli e madri. Non esiste un piano B. Una donna viene ceduta al futuro marito per dargli figli legittimi, questo prevede la formula matrimoniale. Se non è in grado di farlo, sia pure per una colpa che non è stata lei a commettere, non ha più un ruolo o una posizione nel mondo. Quello che Lucrezia pugnala a morte è già un cadavere sociale. Perché le donne sono uccise dalla violenza degli uomini, a volte. Ma molte altre volte sono uccise dalla violenza di una cultura maschile che pretende di decidere a quali condizioni abbiano il diritto di stare al mondo.

Mario Lentano