Poesie d’aria – Gabriella Sica


Poesie d'aria - Gabriella Sica 1

In Gabriella Sica, e segnatamente in questa sua recente, ampia composizione dal titolo Poesie d’aria (edizioni Interno Libri) che risale quasi interamente a una quindicina di anni fa, il respiro poetico è figlio di esperienze intense, nella realtà e nell’immaginazione, alimentatesi fecondamente l’una con l’altra in un rapporto quasi osmotico. Siamo di fronte a un periodare ritmato, tambureggiante, in un crescendo che lascia al dubbio, alla speranza, modo di prodursi e di stimolare risposte alle innumerevoli domande che solcano la scrittura, il “daimon” e furore quotidiano dell’autrice. I poeti rinverranno nell’opera preziosi stimoli di una catarsi di sé laddove si invoca “l’arte del saper perdere” quale precipua al “ruolo” dello scrittore di versi, ma altresì di un abbandono del superfluo, di persone e luoghi che ci hanno segnato, che hanno accompagnato il nostro periglioso vivere.

La distanza, spaziale o temporale che sia, segna il rigo, ne è anzi una fonte nutritiva, per rincorrere l’immagine di Attilio Bertolucci. La poetessa parte da una serie costante di figure retoriche classiche che spaziano dalle anàfore alle allitterazioni, dalle similitudini ai chiasmi sino alle metafore, mutevoli e cangianti forme per evocare e sussumere segmenti, tracce di sé e per riportare alla luce tragedie di epoche diverse eppur uguali come succede in “Naufragi a Sfax” o nell’altra, più lunga composizione che sussume la ferita inferta all’Aquila accostata alla morte di Giovanni Pascoli e dei “poeti eterni con l’aquilone”.

Il guardo di Sica è sensibile e intenso, si posa sulle sofferenze del proprio corpo come sull’umanità denigrata e vilipesa eppure mantiene ancora spazio per lasciar ardere la speranza, in questa Italia “ispida e sconsolata” (dantescamente ricostruita nella sua bellezza violata e naufragata) in cui basterebbe immaginare la lingua della poesia per vivificare e riprendere il passo perduto. Le pagine si nutrono di un forte colorismo che trova maggiore vivacità nei versi ariosi riservati ai centri urbani o nella “corona interrotta” dei mesi da ottobre a marzo: può così capitare di raccogliere il grido e il lamento di alberi mozzati che “vedono il senso straordinario delle cose” o di osservare il camminare “vendemmiando e incidendo i campi scabri”.

L’arte musicale è parte decisiva nel connubio con l’espressione poetica che dà forma a “L’alta letizia”, dialogo acceso e fremente nell’incedere di disincanto, entusiasmi e angosce. Il viaggio letterario raccoglie osservazioni e meditazioni sulla poesia contemporanea i cui nomi più illustri si ergono con imperio a scardinare oblii e maldicenze: Alda Merini, Pierpaolo Pasolini, David Maria Turoldo (la cui influenza permane in “Leggendo Paul Celan”), per non citarne che tre, superano i limiti fisici e umani del manicomio-mondo fino ad assurgere a emblemi della lingua popolare, “festeggiata” nei cieli puliti della letteratura. Loro sì, meno la generazione più recente, di fronte al travaglio dell’esistenza, hanno intessuto un rapporto dialettico con la vita e il mondo prima di ritirarsi nei rispettivi antri.

Nel flusso della coscienza il guardo si posa spesso su una Roma magica e meravigliosa (la “foresta-città” fortemente visionaria, stratificata, epifanica a ogni angolo) che pure riserva sprazzi di natura incontaminata, nelle vie affollate di solitudini, custodendo segreti, in cui anche il fantastico Chagall è chiamato a rapporto. Vivere con i miti del cuore, è l’insegnamento del padre, equivale a rendere il proprio cammino terreno alimentato instancabilmente dalla parola che nutre, per quanto la poesia sia d’aria: si assiste così a una sovrapposizione tra il corpo di donna e lo stelo di un fiore che finiscono per coincidere mentre la morte segnerà come sigillo il verso divenuto “organo intero e pienamente vivo”. Sono numerosi gli spunti che evocano una compenetrazione tra la figura umana e il soggetto vegetale o animale (ci si riferisca per esempio alla poesia che apre la raccolta, con la madre “conca conchiglia feconda”).

I drammi di un continente diafano (si è nel 2011, ma potrebbe trattarsi a maggior ragione dell’oggi, nel turbinìo di venti di guerra mondiale e di una crisi economica globalizzata) emergono nei riti quotidiani fissandosi come cifre di una follia e di una paura collettive per le quali nemmeno la scrittura può offrire soluzioni salvifiche o miracolose (ma le ha mai ha avute, in fondo?). Occorre ritornare al titolo della silloge per raccogliere infine la sfida di concepire e dare la più pregnante significazione al valore del verso: se esso è composto d’aria, ecco la necessità vitale del respiro che d’essa si avvale per ripetersi in continuazione e soddisfare uno dei bisogni primari dell’essere umano. Eliminazione, spoliazione, sottrazione di peso, di sostanza, di parole per arrivare all’essenza “onesta” della poesia: è questo ciò che nasce, si sviluppa, si rivela in Sica la cui voce, “chinata sulla vita”, fiaccata ma mai doma, fluttua dolce, intensa e generosa in questo nostro tempo di tregenda.

Federico Migliorati

 
 
 
 
Scrivere avrei voluto belle ariette
leggere e briose
per un amore sempre più crescente
come cresce la luna
ma accumulo aria
vango e annaffio aria
dipingo pensieri in aria
non si mostra non ha luogo è infinita
la poesia d’immacolata aria
imbandita tra le nuvole in cielo
dove danzano le ninfe del vento
ho in mente ossigeno sole e luce
per nutrire parole e corpi
come una pianta che assorbe la luce
altro non posso che coltivare aria
ariosa per respirare luce luce luce.
 
 
 
 
 
 
Milano gelida sotto la neve
è più elegante che mai da lontano
come il bianco ammaliato airone
nel grande silenzio
nello sfolgorio del sole.
Roma amara s’abbuia
sul Tevere di rovine fango e fato
come il cormorano immobile mormorante
grondante da ore di pioggia
nero e tenace nella luce.
Nelle piume la memoria materiale
in attesa di prendere il volo
come pure nelle menti delle persone
aprire le ali
errare lontano dal chiaro disastro
 
 
 
 
 
 
Camminando e camminando per l’Europa
si perde il sentiero
di mente in mente un verso d’oro
rimbalza
di mano in mano una moneta d’oro
brilla
sono riserve diseguali di valore
per bucare il tempo.
Gli umiliati camminano sommessi
rasentando i muri
con le radici sanguinanti insepolte sulle spalle
il vento che soffia e soffia sempre più forte
e sarà sempre contro
gli inermi
come foglie staccate dagli alberi
vagano a ogni stagione nell’aria