Tra i maggiori scrittori europei contemporanei, il poeta tedesco Jan Wagner, premio del «Georg Büchner Preis» e della «Fiera del Libro» di Lipsia, in Autoritratto con sciame d’api per Bompiani 2022, a cura di Federico Italiano, affronta attraverso la sua particolare lente di pungente osservatore, il delicato tema dell’inesorabile declino dell’esistenza dell’essere umano e della sua indifferenza di fronte agli oggetti e agli esseri indifesi che ogni giorno fanno da cornice nel nostro quotidiano: «Lassù, appeso alla porta della città, / il teschio, che all’alba comincia / a ronzare, con l’aria ancora un po’sbalordita, / lì dove prima c’era una faccia. / e lì dietro eccola lavorare, la raffinata / meccanica dello sciame nel cranio, / gli ingranaggi d’oro delle api, / che si incastrano. / […] non importa ai giovani / come venisse chiamato, re o mendicante, / appena salgono sui mattoni / riscaldati dal sole, si appiccica / alle mani il miele che lui escogita. / la danza delle api, un epitaffio. / quasi una terra aveva, quand’era in vita, / ora un intero stato vive nel suo cranio».
Si tratta di un’antologia, con testo tedesco a fronte, che raccoglie alcuni testi poetici pubblicati tra il 2001 e il 2018 per la collana «CapoVersi», diretta da Beatrice Masini, con la collaborazione di Paolo Maria Bonora e Gerardo Masuccio. L’autore, come Agostino nelle Confessioni, si domanda che cosa è il tempo dandosi come unica risposta l’amore in tutte le sue forme: cantato, scritto, sentito. L’amore è un viaggio come la nostra lingua, è una mappa dell’immaginario su cui scrivere tutti i percorsi possibili che possono portare anche verso l’ignoto e le forze invisibili: «Ch’è questa cosa, invisibile eppur così potente / che forza nessuna gli resiste? / […] “questo passero morto,” qualcuno sussurra, / “volerà ancora attraverso un cielo vuoto”».
Così il disfacimento del ricordo si fa sempre meno tangibile. Abbiamo dimenticato che cosa sapessimo, presi nella routine della vita quotidiana, siamo così consumati dall’inquietudine e dall’ansia, talmente preoccupati della nostra posizione, del nostro aspetto esteriore, di ciò che gli altri pensano di noi, da dimenticare il nostro io spirituale. Abbiamo paura della morte perché ci siamo dimenticati la nostra vera natura: «Noi che siamo occupati / nel fondo di noi stessi – non notiamo / come il mondo ci si stia svuotando attorno, finché il silenzio divenuto immenso non ci fa sussultare. / i giorni invece passano lentamente / come se fossero in una vetrina. / le bambole nude dietro il vetro / con gli occhi spalancati per lo spavento».
I ricordi reali si sovrappongono a frammenti immaginari di luoghi e di colori che sfidano l’oblio per farsi parola e raggiungere il lettore che ne diventa l’inconsapevole custode: «Perdono luce i giorni / e un’ora non ha che dieci minuti. / gli alberi si giocavano gli ultimi colori. / cambiano troppo in fretta in cielo gli scenari / per il piccolo dramma che ci portiamo dentro: / perdono luce i giorni». Wagner ci fa vivere la vertigine dell’abisso, dell’eternità e dell’ignoto muovendosi tra sogni, ombre e morte, ma questa dimensione simbolica parte da qualcosa di molto vivo e concreto, dai suoi luoghi che rievocano una vita e dalla sua poesia che ci riporta a noi stessi a quello che realmente siamo con le nostre mancanze, le nostre paure che molto spesso ci assediano, ci soffocano come l’orso che: «È là fuori da qualche parte che assedia / le arnie».
L’autore in (vol-au-vent), un chiaro omaggio a Dante in terzina con l’esergo: «Quel giorno più non vi leggemmo avante», presenta il ritmo cadenzato di chiaro – oscuro della sua anima: «A volte, per poco, l’oscurità / si rischiara. poi un corpo incontra un corpo. / bisogna lasciarsi andare, dice il mantra / che mi bisbiglia in testa. così mi scordo / di me e di lui». È proprio questa scordanza che fa invece ricordare a Wagner che non c’è un solo cammino, una sola via, una sola ideologia e che gran parte della conoscenza giunge attraverso esempi di esperienza, nelle riflessioni e nelle parole.
Autoritratto con sciame d’api stringe a sé il meglio di quindici anni di scrittura poetica, Wagner è stato capace di usare i ritmi dell’antica tradizione poetica tedesca arrivando a dire dantescamente che solo l’amore è reale ed è un’energia della quale noi tutti siamo plasmati e che, infine, c’è solo un’unica luce: «La luce alle sei del mattino, le cose / non ancora in sé. o del tutto sé stesse / […] ma la luce si riversò dentro dalla finestra / portandoci in alto, al seguente livello».
Anita Piscazzi
Nicosia
hinter der grenze schlafen die taxis,
in den geräumten häusern
die sandsäcke, satt vom land.
am frühen abend der muezzin
vom nordteil her, und die biertrinker
des südens, die ihm lauschen, schweigend
auf ihren plastikstühlen, hinter ihnen
der kühlschrank, ein summender weißer gott.
dort, in einer seitenstraße, siehst du
den schneider seine stoff e entrollen
wie ein feldherr seine karten,
während draußen die laternen stich um stich
den abend in die straßen nähen.
dunkler die palmen im park, die bäume;
ab und zu ein wind, der müde
in einer glut von orangen stochert –
und wie im traum die fahrt richtung westen,
an den neubaufl ächen vorbei, den toten
katzen, fl ach wie schatten. am rand der straße
bettelt der ginster
Nicosia
dietro il confine dormono i taxi,
nelle case sgomberate
i sacchi di sabbia, stufi della terra.
la sera presto il muezzin
del nord e i bevitori di birra
del sud, che lo ascoltano in silenzio
sulle loro sedie di plastica, dietro di loro
il frigorifero, un ronzante dio bianco.
lì, in una via laterale, vedi
il sarto, che srotola le sue stoff e
come un generale le sue carte,
mentre fuori le lanterne, punto dopo
punto, cuciono la sera alle strade.
più scure le palme del parco, gli alberi;
ogni tanto un vento stanco
rattizza un bagliore di arance –
e come in sogno il viaggio verso ovest,
oltre le aree di nuova costruzione, i gatti
morti, piatti come ombre. ai margini della strada
elemosina la ginestra.
Hopfen
am anfang sind sie unbeholfen
wie kälber, schwankend auf ihren dünnen beinen
und einer fremden erde ausgesetzt.
bis sie ein draht in die höhe zieht:
sie wachsen, und die blätter werden rauh
und schwielig, wappnen ihren rand mit zähnen.
erst meter überm boden halten
sie inne, äußern sich in zapfen,
die klein und gelb sind, voller bitterkeit.
im juli ist es ein heerlager, das stumm
und grün über den hügeln steht.
dann sind sie fort, über nacht,
und nur die fahnenlosen stangen bleiben.
die mondluft in den nackten dörfern
trägt das gedröhn der schenken übers land.
Luppolo
all’inizio impacciati
come vitelli, ondeggiano su gambe sottili
esposti a una terra straniera.
fi nché un fi lo non li sollevi:
crescono, le foglie si fanno ruvide
e callose, armano di denti i loro margini.
solo quando stanno a metri dal suolo
si fermano, esprimendosi
in piccoli coni gialli, colmi di amarezza.
a luglio è un campo militare che tace
e verde si erge sulle colline.
poi, nella notte, scompaiono
lasciando solo pali senza bandiera.
nei villaggi spogli l’aria lunare
porta il fragore delle osterie in tutto il paese.
Wippe
mach dich schwerer, rufen sie, also schließe
ich beide augen, denke
an säcke voll zement und eisengießereien,
elefanten, an den anker
in seinem schlamm, wo ein manöver wale
vorübergleitet, an das bullenhaupt
eines ambosses. nur eine weile
die luft anhalten, warten. doch nichts hebt
sich oder senkt sich, während ein fasan
schreit und die blätter fallen – meine unwilligen
beine zu kurz, um je den grund zu fassen,
mein kopf beinahe in den wolken.
Altalena
fatti più pesante, gridano, quindi chiudo
entrambi gli occhi e penso
a sacchi di cemento e a fonderie
di ferro, agli elefanti, all’àncora nel suo
fango, su cui fl uttua un’esercitazione
di balene, alla testa di toro
di un’incudine. trattieni
il respiro per un po’, aspetta. eppure
nulla sale o s’abbassa, mentre strilla
un fagiano e le foglie cadono – restie
le mie gambe, troppo corte per toccare il
suolo, tra le nuvole quasi la mia testa.
Leggi anche:
- Speciale: un’intervista a Jan Wagner, di Fabio Barone
- Variazioni sul barile dell’acqua piovana – Jan Wagner, di Vernalda Di Tanna
- A japanese stove in the north – Jan Wagner, di Rocío Bolaños
- La cosa, il nome e la conoscenza – Jan Wagner, di Fabio Barone
- Col burroso candore delle sue morbide mani – Jan Wagner, di Alessandro Canzian