L’aspirazione alla materia – Silvia Caratti

Si conclude la carrellata di recensioni, traduzioni e note che Laboratori Poesia ha deciso di dedicare ai libri presenti al Salone Internazionale del Libro di Torino. Dopo l’intervista ad Alessandro Canzian (Samuele Editore) di lancio dei “Progetti territoriali” di “Laboratori critici” (QUI), da cui poi conseguentemente l’articolo di Mary Barbara Tolusso apparso sul “Nuovo Almanacco del Ramo d’Oro” (Serie speciale di “Laboratori critici”, Anno III, Speciale Num. 1) e Il quotidiano poetico di Bianca Tarozzi di Anna Toscano, apparso su “Ritratti di Poesia 2024” (Serie speciale di “Laboratori critici”, Anno III, Speciale Num. 2), la traduzione da Charles Baudelaire a cura di Milo De Angelis da I fiori del male di Charles Baudelaire (Mondadori, 2024), lo speciale Mito e Logos a cura di Olga Cirillo su E allora dammi mille baci e cento (curato da Giovanni Greco per Ponte alle Grazie Editore QUI), e la recensione con intervista all’autore a cura di Federico Migliorati su Carte correnti di Roberto Galaverni (Fazi Editore, 2023, QUI), oggi presentiamo una Poesia al microscopio di Alessandro Canzian su Silvia Caratti, da Nuovi Poeti italiani n.7 (Einaudi Editore, 2024, a cura di Maurizio Cucchi).

Il volume sarà presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino venerdì 10 maggio alle ore 17:00, pad. OVAL stand del Friuli Venezia Giulia, a cura di Pordenonelegge. (l’intero programma QUI)

Questo articolo inoltre apre a una lunga serie di Poesie al microscopio che partono dalla diatriba online contro Maurizio Cucchi (ne abbiamo scritto QUI) e il suo lavoro sui Nuovi Poeti italiani n.7 con lo spirito di affrontare i testi, non i nomi. Nella convinzione che solo leggendo e facendosi un’idea delle poesie, oltre i poeti, si può parlare di letteratura.

La Redazione


 

Gli esseri sfocati nelle teche di vetro
dal bordo di legno marcito
galleggiavano in barattoli di formalina.
 
Puoi sentire il pavimento scricchiolare
come le ali degli uccelli impagliati,
la teoria anatomica
nei liquidi ispessiti e torbidi
l’evoluzione delle masse cancrenose
le mucillagini inspessite
le dissezioni senza più nomi
e quel disagio che ti annientava
tu sola, bambina. Ricordi?
 
 
 
 
È l’aspirazione alla materia
di cui è fatto l’umore del tuo occhio
il segreto spugnoso tessuto delle vertebre
piegate, i piccoli reni bruni
incastrati sotto fasci muscolosi
restano silenziosi i nervi
nel buio delle tue corone
che sondo con la lingua.
 
È l’esposizione della materia
che cova umida e ingabbiata
che vive di vita propria e pulsa
difesa dallo spesso osso sternale
che ti vorrei spaccare amore. E entrare.
 
 
 
 
È inflessibile la materia e eterna:
se il nostro amore lo fosse
se fosse una molecola,
una cellula impazzita e cancrenosa,
una lenta devastante epidemia
una putrescente cosa?
 
Ho una sottile propensione alla morte, lo so
e per questo mi detesti e hai ragione
ma le morbide macchine umane sono un mistero
se ti attirano le parti tiepide e indifese,
i fianchi malamente progettati
l’orrore dei miei seni rilasciati.
 
Da “La catastrofe del ferro” in Nuovi poeti italiani n.7 (Einaudi, 2024)
 
 

Una poesia della composizione, quella di Caratti. Al netto della semplice metafora musicale (Caratti è anche musicista) nei testi qui presentati si nota una stratificazione materica delle cose. “teche di vetro”, “ barattoli di formalina”, “ali degli uccelli impagliati”, “i piccoli reni bruni”, il “buio delle tue corone” eccetera. Il tutto riassunto da “l’esposizione della materia” che è ciò che siamo e ciò che dice di noi.

Il realismo con cui si affronta la realtà in Caratti va al di là della semplice percezione per un abbraccio incarnito che sembra inevitabilmente corrodere chi guarda, se non fosse il coraggio stesso di guardare e assumere la realtà senza abbellimenti un atto di coraggio prettamente construens.

Se è vero che “Ho una sottile propensione alla morte” è anche vero che “le morbide macchine umane sono un mistero” e si sovrappongono poeticamente (in maniera anche abbastanza evidente) sia alle “ali degli uccelli impagliati” quanto al “segreto spugnoso tessuto delle vertebre / piegate” che apre all’esigenza dello “spaccare” per “entrare”, e che a sua volta apre alla “cellula impazzita e cancrenosa” che è malattia ma anche forma della vita umana. Laddove “i fianchi” sono “malamente progettati” e quell’eco di bellezza ideale, quell’”amore” del testo precedente, è solo “orrore dei miei seni rilasciati”.

Ma cos’è l’orrore in fondo? La “terribile tenerezza” benzoniana che è insostenibilità del vivere, del respirare. In Caratti sembra la consapevolezza dello strumento-macchina-umano che lo compone, che “sondo con la lingua” ma senza piacere.

Forse è quell’”aspirazione alla materia” che è anche “disagio che ti annientava / tu sola, bambina. Ricordi?” (e che più avanti nel libro diventerà, terribilmente, “C’è qualcosa di stravolto e devastato // e sono io // quella che tra due non nutre una parola / e non conosce più misura // (sapessi la pena che mi faccio)”).

Alessandro Canzian