Una domanda al Poeta: Maria Borio

Una domanda al Poeta: Maria Borio
 
 
 
 
Sono un punto solo nel deserto rosso:
oggi è questa la mia dimensione, un punto
che non ha lunghezza, larghezza, profondità,
caduto dalla parte più alta del cielo su una terra
piena di silenzio e pura improvvisamente.
Ti scrivo da una zona rossa, ed è questa la verità:
i confini sono tracciati, il rosso ha riempito lo spazio,
vuoto, neutro, senza uscita, e tutti sono come me,
punti soli, senza illusione, nella prima primavera
del millennio che al tempo sta cambiando la faccia.
Ti scrivo e da questa stanza sussurro che se un punto
non ha dimensioni è perché forse le ha unite tutte in sé?
Pensarsi è unirsi – mentre la notte e il giorno
hanno un unico colore e impariamo a pensarci –
e un bene, come mai, nuovo?
 
 
(da Dal deserto rosso, Stampa2009, 2021)
 
 
 
 

Continuiamo il discorso sul “bene” iniziato ormai diverse settimane fa con la Domanda al Poeta a Eleonora Rimolo (QUI), continuato poi con le risposte di Federica Giordano (QUI), Federico Rossignoli (QUI), Melania Panico (QUI) e Roberto Cescon (QUI). In questo tuo testo parli di un “bene […] nuovo” che nasce da un “unico colore” sotto l’egida di un “impariamo a pensarci”. Un “pensarci” che viene subito dopo il “pensarsi è unirsi”. Un percorso, il tuo, che sfocia in domanda: come viviamo oggi i legami, e soprattutto come li viviamo in poesia?

 

Alessandro Canzian

 
 
 
 

In poesia contano soprattutto l’implicito e lo stile, ma la poesia ha perso una misura di riconoscimento. Con chi è davvero possibile oggi condividere e dunque riconoscere il valore dell’implicito e dello stile? Ma soprattutto perché siamo, ormai dagli anni Settanta, in cerca di una risposta a questa domanda, perché continuiamo a ragionare su legami socialmente codificati tra poesia e società? Potrei rispondere con un paradosso: la poesia, che sembra la parte di letteratura più distante dai meccanismi della vita pratica, in realtà ha una struttura e sue regole interne oggettive e stabili come qualsiasi soluzione o strategia scientifica. In una vera poesia tutto è necessario e ogni parte non potrebbe esistere senza l’altra. La forma non permette bugie, i legami stilistici e semantici devono essere esatti altrimenti la poesia non esisterebbe. In poesia i rapporti sono intrinsecamente autentici. Ora, viviamo in un’epoca dell’apparire? Forse l’epoca in cui è nata la lirica è stata un’epoca dell’essere? Credo che la separazione netta tra essere e apparire, che francamente a parlarne puzza un po’ di Novecento, possa essere superata dall’autenticità. Una poesia, qualcosa di così leggero rispetto a tante cose concrete, ha una forma in cui nulla può mentire – i legami tra quello che appare e quello che è sono assoluti, un po’ come accade nelle leggi matematiche e nella musica. Ma in un’epoca dell’apparire l’autenticità non ci assale forse quotidianamente? Ci è richiesta una corrispondenza incontrovertibile tra ciò che siamo e come ci mostriamo. Persino Instagram funziona secondo questa esigenza. In letteratura si chiede l’identità tra la storia e la biografia dell’autore, a tal punto che l’aspetto della finzione artistica passa spesso in secondo piano rispetto al senso politico e civile che questa identità rappresenta. L’autenticità, insomma, non ha assunto un valore etico di riconoscimento collettivo, una possibilità di bene, di aver fiducia? Spesso distorcendo la qualità letteraria. Allora, se nel campo della poesia italiana si fanno ancora discorsi dal sapore ideologico sul perché sia scomparso un pubblico che riconosca alla scrittura un valore socialmente e politicamente condiviso, nel romanzo l’autobiografia, l’auto-fiction, la docu-fiction,… hanno risolto la legittimazione della letterarietà semplicemente rimuovendone il problema. E l’invenzione: è una leggerezza demodé? Che cos’è autentico in letteratura? In una delle epistole immaginarie a Gennariello, Pasolini parlava della “presenza espressiva” del cinema rispetto alla scrittura. Siamo nel 1975. Il cinema non ha ancora ucciso la scrittura, ma quella presenza espressiva dichiarava un bisogno, con preveggenza: infatti, è quella presenza che risponde alle domande di un certo inconscio collettivo davanti ai raffinati romanzi di Annie Ernaux e alla letteratura postcoloniale ora premiata con il Nobel a Abdulrazak Gurnah. L’invenzione è depositata nel ‘fanta’: potremmo leggere così anche i libri di Margaret Atwood. L’immaginario è intriso di autenticità a tal punto che non solo non ce ne accorgiamo, lo diamo per scontato, ma rischiamo di perdere la bussola di fronte all’enorme valore che l’autenticità rappresenta. Autentico viene da autos – me stesso – e hentes – participio del verbo “fare”, “agire”. Colui che è autentico agisce in accordo con il proprio sé, quindi apparentemente in modo egocentrico senza vincoli rispetto alle norme e agli altri. Tuttavia, l’agire del sé dipende da una dimensione intersoggettiva, senza la quale ogni azione sarebbe vana, andrebbe a vuoto. Il sé per riconoscersi e fare realmente qualcosa ha bisogno del contesto sociale. In altre parole, l’autenticità è la condizione in cui il sentimento soggettivo viene portato costantemente a stabilire relazioni tra limiti, tra io e altri, tra vero e falso, tra essere e apparire. In letteratura l’autobiografia tranchant e il netto documentario possono liquidare la complessità del problema; d’altra parte, la finzione integrale non sembra una strada risolutiva. In poesia questa possibilità può esistere: lo stile della poesia offre un’architettura formale in cui la riflessione, l’autobiografia e persino la narrazione possono coesistere e il sentimento soggettivo – chiamatelo lirica, se preferite – per essere integralmente autentico attraversa e si fa attraversare da ogni cosa che riguardi una profondità intersoggettiva. La concezione prospettica va verso il punto di fuga esterno e si capovolge verso l’interno: questo passaggio è multiplo e fluido; essere e apparire dischiudono di volta in volta uno il proprio confine nell’altro. La poesia è un saggio fatto di pensiero emotivo che si sposta empaticamente attraverso lo spazio-tempo, una delle esperienze intersoggettive di maggior rilevanza per comprendere che cosa sia davvero l’autenticità. Quando leggevo Sereni, con i suoi spazi multipli e i suoi io moltiplicati, volevo imparare a riempire il mio immaginario di densità umana. “Trasparente se la verifichi ma tutt’altro che una serena esplorazione” scriveva Amelia Rosselli riferendosi al mondo in cui la psiche esiste storicamente. Penso alla poesia come forme architettoniche fluide in cui c’è un senso di armonia come prova e strategia. Ma in fondo anche un modo di dire ad ognuno che si avvicina e legge: in questa poesia potrai fare i conti con te stesso e attraverso una resa dei conti pensarti sociale.

 

Maria Borio