Un monogramma scuro segna la fronte di tutte le rose – Guglielmo Aprile

 
 
 
 
Sincronia mancata
 
Ogni panorama rivela
la sua genuina ricchezza
solo quando ce lo lasciamo dietro:
solo quando lo abbiamo oltrepassato,
ci accorgiamo del suo
così discreto, singolare fascino.
 
È come se sincronia non possa esservi
tra la sete e il ruscello che si gonfia,
tra la spiga e la mano che la coglie:
 
gli occhi del porto sanguinano
quanto più la schiuma amplia la distanza,
l’uccello bianco è abbattuto, quando
volava più alto, a un passo dal sole.
 
 
 
 
 
 
Le vuote ore
 
Nessuno lo ha visto, il corteo
che regalava ciliegie agli incroci;
eppure ha fatto tappa
anche se per poche ore, proprio qui
 
dove l’aria umida ossida le sbarre
e le unghie si imbiancano
in fretta, pressoché a tutti. Vegliamo
 
ma la prossima cometa è prevista
fra non meno di un secolo;
la pioggia promessa non è arrivata;
 
e contare le ore
è inutile, ogni attesa
è un coltello spezzato, un ponte monco.
 
 
 
 
 
 
Imperatrice
 
La cenere non è mai sazia
di nuovi corpi, ha fame
di luminarie, addobbi in cartapesta;
umilia gli eserciti delle stelle.
 
Le braccia imitano ali, sprigionano
fiamme nel loro agitarsi; poi resta
una chiazza di fuliggine dove
a volare provammo goffamente,
 
e un monogramma scuro
segna la fronte di tutte le rose.
 
 
(Guglielmo Aprile, Falò di carnevale, Fara Editore, 2021)
 
 
 
 

Questi testi di Guglielmo Aprile raffigurano un’incapacità dell’esistere di armonizzarsi completamente al mistero del mondo, del tempo e dell’altro, ritrovandosi come in un luogo e in un momento “sbagliati” per recepire l’ampiezza del contatto, la rivelazione del miracolo, la semplicità di un gioia piena: ciò che resta è una bellezza imperfetta, fragile, impotente, minacciata dal “monogramma scuro” della rovina e dell’impermanenza, che segna la limitatezza del suo tempo, e dunque delle occasioni di potersi trovare fortunosamente “in sincrono” con l’incanto e la “genuina ricchezza” di “ogni panorama”.

Invece il suo “singolare fascino” si svela alla nostra comprensione solo “quando lo abbiamo oltrepassato”, non può esserci “sincronia … tra la sete e il ruscello … tra la spiga e la mano che la coglie”. Questo fenomeno non appartiene solo all’uomo, ma in modo tangente ferisce tutta la vita, rappresentata da “gli occhi del porto” che “sanguinano quanto più la schiuma amplia la distanza” e da un “uccello bianco … abbattuto quando volava più alto, a un passo dal sole”. La distanza è dunque motore originario di una tensione inquieta e incapace di trovare compimento, destinata a languire tra la consapevolezza del distacco e della mancanza e la percezione di non riuscire a raggiungere il proprio completamento per un nonnulla, svanendo poco prima di riuscire a sfiorarlo.

Allo stesso modo il “corteo / che regalava ciliegie” passa senza essere visto da nessuno, tra “l’aria umida” che “ossida le sbarre” e “unghie” che “si imbiancano / in fretta, pressoché a tutti”, lasciando ognuno di noi, appunto, imprigionato in una veglia inutile (“vegliamo / ma la prossima cometa è prevista / fra non meno di un secolo”) ed una vana attesa (“la pioggia promessa non è arrivata”): “ogni attesa / è un coltello spezzato, un ponte monco”, in un’ulteriore raffigurazione di un contatto mancato tra l’io del testo e ciò che potrebbe completarlo, gratificarlo, in una prospettiva di compiutezza e di significato.

Se la prima certezza è quella di non riuscire a sincronizzarsi con il miracolo, la seconda è che la “cenere non è mai sazia / di nuovi corpi”: ogni cosa è destinata a consumarsi e a svanire, e tale processo è rappresentato come ulteriore mortificazione (“umilia gli eserciti delle stelle”) in cui l’uomo, le cui “braccia imitano ali”, lascia solo “una chiazza di fuliggine dove / a volare provammo goffamente”. È dunque amara la consapevolezza che la vita umana sembra essere vittima di una perfetta ironia, che gli fa sfuggire la gioia al primo momento di distrazione, costringendolo in un’attesa senza appagamento, il cui ultimo orizzonte è quello della polvere; nonostante ogni sforzo, anche la massima bellezza sarà sempre segnata da questo “monogramma scuro”, così come “la fronte di tutte le rose”.

 

Mario Famularo