Una domanda al poeta: Eleonora Rimolo

foto di Flavio Romualdo Garofano

 
 
 
 
Quell’abbraccio te lo sei preso tutto,
lo hai sentito premere tra le scapole:
un bene semplice che non ti raggiunge.
È una trincea la casa materna dove mi ospiti,
in cui i morti spiano le mie voglie, i tuoi gesti
misurati: non eccedi in niente, emargini
ai miei occhi le stanze più intime, chiedi scusa
per il disordine e poi dici di no, pronunci
le parole vuoto e fermo per intendere una fine,
per benedire nel sonno dopo la fatica
questo uso incosciente dell’affetto.
 
 
(Da Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90. Vol. 1, Interno Poesia Editore, 2019)
 
 
 
 

In questo testo il bene si spoglia di una passione vorace per dirsi misurante eppure incosciente, faticoso in qualche modo, equilibrato in una sorta di metafisica bolla d’apnea. Un bene fisico che passa attraverso un abbraccio ma non raggiunge. Cos’è qui, oltre il testo poetico, questo bene?

Alessandro Canzian

 
 
 
 

Il bene va spesso sottoposto ad una sorta di autolimitazione: a volte, le nostre pulsioni emotive, vanno contenute e calibrate secondo le esigenze e la volontà dell’Altro. È questo lo scarto tra l’affetto egoriferito e l’affetto gratuito. D’altronde, già Epicuro parlava di una sorta di impossibilità di avere tutto e invitava i suoi adepti a sapersi limitare per relazionarsi con gli altri e per non diventare schiavi voraci dei propri desideri. Il bene non deve quindi essere soltanto l’utile, come teorizzato da Hobbes e Spinoza: deve rappresentare un modo d’azione estraneo a ogni calcolo di soggettiva felicità immediata, a favore del rispetto della legge morale e in armonia con il desiderio altrui. L’accettazione dell’incomunicabilità, del rifiuto, dell’incomprensione di ciò che noi pensiamo sia “il sommo bene” è necessaria: è l’unico modo in cui forse possiamo imparare davvero ad amare.

Eleonora Rimolo