Una domanda al poeta: Luigia Sorrentino

foto di Dino Ignani

 

abbiamo perso tutto
caduti in un eterno
frammento
la prima luce su di noi
infuocata ha bruciato tutto

 

la prima creatura di umana
bellezza è morta, ignota
a se stessa
i popoli appartengono alla città
che li ama
privi di questo amore ogni stato
scheletrisce e annera
la natura imperfetta non sopporta
il dolore

 

(da Olimpia pag.62 – Interlinea Edizioni – 2013)

 

 

 

 

Nello scritto “L’uomo può esigere la verità”, l’autrice Ingeborg Bachmann scrive: “..il compito dello scrittore non può consistere nel negare il dolore, nel cancellarne le tracce, nel fingere che non esista. Per lui, anzi, il dolore deve essere vero e deve essere reso tale una seconda volta, cosicché noi possiamo vederlo. Perché noi tutti vogliamo diventare vedenti. E solo dopo aver provato quel dolore segreto possiamo sentire (in modo diverso) ogni esperienza, ed in particolare quella della verità”.

La poesia come si sa, ha l’unico scopo di esistere, di farsi; non tende necessariamente a qualcosa che sia altro da sé. È così anche per chi aspira ad essere poeta? Non è invece imprescindibile per lui, sapere qual è il luogo dove mettersi in ascolto, sapere cosa vuole dire, perché lo dice? Non è dunque necessario che si confronti con il grande tema del dolore di cui parla Ingeborg Bachmann che, secondo la stessa, distingue l’uomo da tutte le altre creature?

Ti porgo la domanda, pensando ad Olimpia, il tuo splendido libro del 2013, che non tratta direttamente questo tema, ma credo lo sottenda, ne sia l’inevitabile conseguenza, direi la sua materializzazione sublimata e che perciò, è un valido esempio del livello a cui può giungere un poeta, quando sa ascoltare il cuore pulsante del mondo.

Luisa Delle Vedove

 

 

 

 

 

 

Cara Luisa,

la poesia che hai scelto per pormi la tua domanda è molto importante per me, per diverse ragioni, anche personalissime che non posso spiegare in questo contesto.

Ma una cosa forse posso dirla, per rendere l’idea, sul piano della percezione, in un contesto più generalizzato. Mi è capitato di sentire pronunciare nel 2017 a un “morente” le parole di Olimpia. Era una persona che se ne stava andando mantenendo intatta la coscienza. E le sue parole rivolte a me con grande meraviglia sono state queste: “Ho perso tutto” riprendendo inconsapevolmente l’incipit della mia poesia da te citato. La persona che moriva quindi, nel momento della morte, ha avuto nitida la percezione del distacco da tutte le cose e da tutte le facoltà che aveva posseduto nella vita. Ecco, questo per dirti che il poeta o la poeta, quando raggiunge la condizione umana, si avvicina alla “verità”. La pronuncia del poeta avviene nel luogo giusto, nel luogo della poesia, un luogo “limite” , e, su quel luogo “limite”, qualcuno incontrerà le parole dolorose del poeta, grande mediatore tra la vita e la morte.

Ovviamente non tutti riescono a pronunciare in coscienza “le parole” del distacco, ma solo persone particolarmente dotate di grande sensibilità e consapevolezza. Perché, cara Luisa, nulla si possiede davvero. Questo il poeta lo sa bene, e a volte questa verità viene percepita in tutta la sua interezza, nel momento dell’abbandona dalla vita, “con grande meraviglia”.

Il luogo dove il poeta può mettersi in ascolto della “verità” non è un luogo preciso… perché quando la poesia arriva, arriva proprio dove ci si trova. Piuttosto, la parola della poesia suggerisce il luogo dell’ascolto in chi legge. Ognuno poi, deve trovarlo in sé. Ma non sempre si è pronti a all’ ascolto, dipende da come si è e che tipologia di vita si conduce.

La poesia, quando è autentica, credo che risponda a tutte le tue domande. Un vero poeta non nega mai il dolore, certo, ha ragione la Bachmann, e questa sensazione di “infermità” (perché il dolore “paralizza”) io la ritrovo anche in altre creature, ad esempio gli animali, gli alberi, e nella natura tutta.

Ad esempio, se vivi in un bosco, percepisci il respiro silenzioso e potente di tutte le creature. Ogni creatura vivente emette una vibrazione, anche nella sofferenza che non può esprimere. Ed è commovente ascoltare il dolore della natura. Perché se l’uomo può emettere un grido, un albero non può farlo. Muore nel silenzio. E il poeta comprende… La corteccia si stacca, le foglie sono secche, gli spogli rami, diventano “nel dolore della morte” quasi materiale di scarto dal quale liberarsi il prima possibile… proprio come accade con il corpo della persona morta, o dell’animale morto…

Ti abbraccio, mia cara Luisa.

Luigia Sorrentino