Speciale Umberto Piersanti: la memoria, sigillo di Poesia

In occasione dell’83° compleanno del poeta Umberto Piersanti la Redazione lo omaggia con uno Speciale curato da Federico Migliorati, con una conversazione esclusiva e pezzi di Rossella Frollà e Serena Mansueto e le traduzioni di Rocìo Bolanos e Andrea Carloni. La sua nuova opera (L’urlo della mente e altre poesie inedite) tiene inoltre a battesimo la Nuova Collana Scilla di Samuele Editore.

 

Conversazione con il poeta Umberto Piersanti

C’è un elemento che ritorna sovente, quasi in maniera ossessiva e spesso a ondate, nei versi di Umberto Piersanti, tra i maggiori poeti contemporanei, già candidato al Nobel per la Letteratura nel 2005 e presidente del Centro Mondiale della Poesia e della Cultura “Giacomo Leopardi” di Recanati che oggi, 26 febbraio, festeggia le 83 primavere: è la memoria, un topos potremmo dire, che assurge a fondamento di un’intera produzione e ammanta anche diverse opere in prosa. Non a caso è proprio la “Memoria” il termine da lui scelto per la Collana di Vallecchi Poesia nell’efficace librino apparso lo scorso anno. Per l’urbinate, che ormai da anni ha trovato dimora nella deliziosa e appartata cittadina marchigiana di Civitanova Alta insieme alla moglie Annie Seri, intraprendere un discorso sulla poesia significa addentrarsi in quel rivolo di ricordi che conducono all’età più verde, all’infanzia, all’adolescenza, ai “luoghi persi”, “al tempo differente”. Come rievoca uno dei suoi personaggi, “i ricordi e i sogni una volta passati sono la stessa cosa”: si smette di guardare a un futuro lontano, di immaginare o vaticinare magnifiche sorti e progressive per cogliere purtuttavia quel seme che ancora è in grado di germogliare nel presente. È tutto percepibile anche nel volume in oggetto (L’urlo della mente e altre poesie inedite, Samuele Editore, con una conversazione con Alberto Fraccacreta) che accoglie un nugolo di pensieri capaci di abbracciare il tempo e gli spazi lontani anche se qui tutto muove da un incontro occorso nel 1971 e foriero di conseguenze inaspettate, tali da innescare quell’urlo della mente da cui è generato il titolo. “Siamo di fronte al frutto di un trauma – ci anticipa in questa nostra conversazione – che ha rappresentato una sorta di cesura tra un prima e un dopo. Dovevo assistere a un evento filosofico invece mi ritrovai di fronte un essere stranissimo, un santone, rinnegato peraltro anche dalla Chiesa. Lo andai poi a trovare, come se si fosse trattato di una sfida: era un luogo buio, una grotta forse, dove egli riceveva le persone a una a una, con le bende sulle mani. Cercavo, provavo a non appare impaurito, impietrito di fronte a questa figura e ho creduto di riuscire a superare tutto ciò. Il ritorno a Urbino fu ferale: soffrii per diverso tempo di insonnia, di tremori, la mente non rispondeva più ai miei comandi, una parte di me era slegata dalla mia volontà, dalla mia coscienza. In seguito dovetti farmi ricoverare per ben tre volte. Venni colto insomma da quella che è conosciuta come malattia del dubbio”. Accadimenti, sensazioni, immagini, queste, dimoranti nella silloge, che raccoglie tramutando i versi in confessioni, in grumi di espressività latente o palese divenuti necessari (“il dubbio che m’accasciò nei letti”): è una poesia che respira anche del clima del tempo, della contestazione, dello scontro sociale che Piersanti ha vissuto: “Ho scoperto allora, e lo si coglie nelle poesie, un dramma epocale che fu soprattutto un dramma esistenziale: sapere della finitudine mia e degli altri esseri, come accaduto per quel mio incontro. Il 1975, l’anno a cui si riferiscono gran parte dei versi del libro, segna anche una mia netta ripresa: tornai a viaggiare, a conoscere persone, a vivere relazioni, a scoprire il mondo”. Un cammino che lo porta tra l’altro a visitare il parco di Bomarzo, nei pressi di Viterbo, citato per “i mostri amabili/ maschere del gioco/ riso del tempo luminoso”. Sempre qui concepisce che “la paura pensavo è solo il fondo oscuro/ a cui s’aggancia spietato per la mente il lucido meccanismo della follia”. Un tempo in chiaroscuro, così diverso da quel “tempo differente”, dal titolo di un libro risalente al 1974, “che rappresenta il periodo degli amori, delle fughe, della contemplazione, fuori dalle necessità quotidiane”, quel tempo che avrebbe fatto dire a Goethe “fermati attimo, sei bello!”. L’urbinate manifesta così la sua attitudine lirica, che permane oltre la rabbia, le inquietudini, le invettive di cui pure è stato protagonista in poesia e in prosa, ma senza disgiungere la sua vena civile che lo avvicina, pur in forme differenti, a Giovanni Raboni: “L’urlo della mente” è anche un testo “in cui dominano l’assurdo, l’irrazionale, la battaglia contro ciò che opprime la mente, in cui l’autore si trova a fare i conti con sé stesso e con il proprio passato”. È, tuttavia, anche un’opera che funge da “contenitore” ideale per quanto in sintesi delle principali tematiche trattate in oltre sessant’anni di produzione poetica (anche se la primissima poesia risale addirittura all’età di 12 anni) e lo si può verificare nei versi del 2022 e 2023 inseriti in appendice: “Sono le poesie della memoria, di una memoria continua che recupera certi stilemi degli anni Sessanta quando forte era il desiderio esistenziale. Sono forse tra i pochi poeti ancora viventi che ha visto coincidere la propria infanzia con l’ultima civiltà contadina. Cito Dante, ma rendo partecipe anche mio figlio Jacopo a cui il libro è dedicato e che “diventa” mio fratello, quel fratello che non ho mai avuto. Parlo dei giorni del Covid, di molto altro”. E per tornare al discorso iniziale ecco ancora la memoria: “La mia poesia non esiste fuori di essa, non potrebbe esistere. Mi si definisce anche poeta dell’attualità. Lo sono? Forse sì, mi interrogo certo sulla contemporaneità tuttavia io presento un mondo passato, non mi ritengo vittima delle mode, sono contrario al dover essere qui e ora, sempre, al commento su qualsivoglia accadimento. Luzi sosteneva che è molto difficile scrivere versi su qualcosa di immediato: ne sono convinto. c’è bisogno di lasciar decantare fatti e cose, di frapporre una certa distanza temporale tra noi e loro. La poesia insomma non va confusa con il volantino e nemmeno con un articolo pur intelligente del giorno, è qualcosa di molto diverso. La memoria mi conduce al confronto e qualche volta allo scontro epperò essa, come per Leopardi, resta vitale”. Se si vuole incidere nell’epoca del digitale, in cui anche questo genere finisce per essere fagocitato, appare dunque fondamentale saper raccontare un mondo foss’anche una patria immaginaria e universale: “Io scrivo delle Cesane e delle vitalbe, ma anche dell’amore e delle galassie, parti di un tutto. Credo che un poeta debba certo distinguersi per lo stile, per il ritmo ma soprattutto dovrebbe saper mostrare il proprio universo, magari anche in forma leggendaria evitando il più possibile di ricorrere a una lingua contorta”. E in occasione del suo compleanno Piersanti non rinuncia a fornire un consiglio ai giovani che si avvicinano al mondo dei versi: “Leggete molto. Oggi purtroppo molto si scrive e poco si conosce dei poeti classici e contemporanei. C’è troppo desiderio di apparire, di farsi conoscere, c’è un giovanilismo che non comprendo, prendete le sempre più numerose antologie… Ritengo che la storia, l’esperienza di vita siano fondamentale mentre manca nei giovani la memoria storica e quella esistenziale ed è assente, tra l’altro, il confronto con le generazioni che li hanno preceduti. La dimensione stilistica sembra quasi prevalere sui contenuti: non si narra praticamente più, si assiste a delle percezioni, ma non è tutto da buttare, sia chiaro”. La poesia, insomma, deve dire e aprirsi all’universale, tendere all’assoluto, guardare a Itaca, “che è là, – come scrive Piersanti – così vera e presente”.

A cura di Federico Migliorati

 
 
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La foto di copertina è di Eleonora Cinquepalmi da Panorami Poetici 2019