Speciale Umberto Piersanti: essere poeti, essere uomini

In occasione dell’83° compleanno del poeta Umberto Piersanti la Redazione lo omaggia con uno Speciale curato da Federico Migliorati, con una conversazione esclusiva e pezzi di Rossella Frollà e Serena Mansueto e le traduzioni di Rocìo Bolanos e Andrea Carloni. La sua nuova opera (L’urlo della mente e altre poesie inedite) tiene inoltre a battesimo la Nuova Collana Scilla di Samuele Editore.

 
 

«In genere i poeti italiani sono disinteressati a tutto ciò che non riguarda il mondo della poesia e in particolare a ciò che non riguarda la loro poesia. Le problematiche sociali, civili, umane che possono rientrare nei loro versi in modo letterario non richiedono mai il loro impegno umano, esistenziale, la loro testimonianza. Ai poeti italiani si chiede che essere poeta non è sufficiente, bisogna essere uomini».

È questo il pensiero del poeta delle Cesane, Umberto Piersanti, che ha fatto dei suoi luoghi la «patria poetica», come «matria» l’aveva già definita Andrea Zanzotto l’appartenenza primigenia a un luogo che segna per sempre. Ma a Umberto questo non basta. La sua intima fede della memoria, del luogo, dell’uomo nutre non solo quell’incanto dell’anima tra magia e leggenda, quel canone mitografico che, non si distingue più tra il bello di natura e il bello poetico, ma abbraccia con lo sguardo amaro e lieve la solitudine autistica del mondo, quella del figlio Jacopo, il silenzio attonito dei suoi gesti divorati da quel che non dicono, il cammino doloroso, fragile e frastagliato del genitore verso quelle ferite dell’anima che solo la parola illumina e cura. Il poeta ausculta il dolore assoluto della terra e prende posizione fino alla sua massima elaborazione, al suo pensiero lucido che di lontano guarda il lontano e il presente nella sua più oscura verità. Le rêverie risalgono il sé come «i cori che vanno eterni/tra la terra e il cielo», hanno radici in «remoti boschi», dove «l’assurdo poco oscura/nevi e foglie/non scolora i bei crochi/nei greppi folti». E questo male assoluto che oggi investe il mondo «che la gola t’afferra/più d’ogni artiglio» si fa respiro chiaro che dal profondo della Natura restituisce il senso di quiete e di pienezza, la crescita interiore e il movimento che crea armonia nel contraddittorio Bene/Male con quella bellezza assoluta che solo la Natura sa dettare.

Di chi sono gli occhi della morte che oggi ci accompagnano? Sono quelli che non hanno la speranza, che si abituano al male e all’indifferenza. Quella imperturbabile disillusione sul mondo è grave, un errore che ci svuota il futuro. E allora vale la passione profonda per la vita che nel poeta si trasforma in «amore ostinato», e il dono è una dimensione campestre magica che abbraccia ogni male e crea la metamorfosi che si fa bellezza e chiama, come orizzonte aperto al possibile. È la speranza dichiarata che si fa passione del possibile, va più lontano del dolore, più lontano della paura, sopprime la morsa della realtà più oscura, è l’intuizione di qualcosa d’altro che può esserci oltre quel contatto immediato stabilito dall’ignoto tra il divenire e l’io. Lo slancio vitale che ha radici nella storia interiore del poeta è lo stupore sempre vivo per il mondo e le cose in un dialogo senza fine che libera la rêverie dall’egemonia del passato e dell’ignoto, dalla nostalgia senza rimedio, e dallo smarrimento che svuota gli orizzonti di vita. In ogni verso si respira quella bellezza cosmica che ci fa intuire un avverarsi più lontano, più ampio, pieno di promesse, anche se ora sembrano occultarsi. Il paesaggio urbinate segue l’armonia raffaellesca, intreccia l’aria e il verde ordinato delle Cesane alla fiaba che protegge l’io dal reale. Quell’io vede l’avvenire venire verso di sé e ci consente di vedere la realtà con occhi lucidi, umani, non oscurati dalle consuetudini, dalle errate ripetizioni che ci allontanano dal futuro.

Il concetto di speranza è fragile ma in questa parola è più che mai legato alla vita, è una forza potente e più che mai rivoluzionaria. Una risorsa dell’arte che esperisce più d’ogni altra forma il movimento interiore dell’uomo, la sua perenne capacità di crescita e di condanna. Il dialogo serrato, ostinato del poeta con la Natura è la passione del possibile, lo slancio vitale che accoglie la fragilità, le ombre straziate, il sacrificio, la stanchezza e non si sposta il peso dei secoli che ancora lascia sanguinare la vita ma il poeta si avvicina a questo massimo dolore, al mistero della fine e del male senza quella pressione immensa che schiaccia ma con lo sguardo prensile sulle cose e sul mondo. E il senso di ogni cosa non viene meno. Si prende posizione in quel luogo che illumina la linfa segreta e misteriosa che scorre dentro di noi. Umberto prende quell’ostinata postura d’amore che non trascura nulla, come per aver scritto secondo un mandato certo, senza smarrimento, sfiorando il tempo e le distanze e ogni cosa che «s’è persa dentro l’aria». Perché «l’anima è piccola, fatta d’aria, / passa tra gli spini e non si graffia», è in quei Luoghi persi (Crocetti–Feltrinelli, 2022) in cui il poeta racconta l’anima del mondo e la vuole in pace e libera.

Rossella Frollà

 
 
Frammento lirico (1963)
 
Ricordi la casa perduta tra i greppi
Il sapore del fieno
E l’immensa famiglia contadina?
 
Il primo bacio stupito ai Cappuccinie
e Dio e la morte a sedici anni?
 
 
 
 
 
 
Nel tempo che precede
 
madre ch’eri fra tutte la più gentile
persa con le tue amiche in fondo al fosso
lunga la treccia del suo corpo snello
scende fino alla vita, nell’acqua chiara
hai camminato scalza, scosti le brecce
dentro la tana il gambero s’appiatta
d’intorno sono i colli che tu speri
di sorpassare un giorno, non sai la meta
guardi il greppo che pende e ti sovrasta
 
oggi MadÍo ha preso con la vanga
il lepre nel trifoglio alla piantata
passano i merli dentro l’aria chiara
getta fuori il sambuco acini fitti
ma Celeste è lontano, presso i fili
dove muore chi è andato a far la guerra
 
scenderà questa notte giù dal cielo
-la tua fiaba narravi all’Elda attenta-
lo aspetto col cuscino presso il noce
c’è come un carro grande che vola sopra
per lui metto le viole nel bicchiere
ho tolto dalla cenere i lenzuol
 
dopo scavò la terra proprio alla porta
dentro ci ha messo il noce, la rama chiara
consiglio della Fenisa quand’ha saputo
che è quella la pianta dove aspetta
 
scende nella divisa grigioverde
lento giù per la costa sullo stradino
e splende la sua faccia per la luce
come mai s’era vista dentro l’aria
sarà quella ragazza che t’aspetta
venire nella notte giù dal cielo
la prima che t’abbraccia sulla porta
 
prima che nascessi furono insiemes
stavano tutti là presso l’aiuola
a pescare castagne nel caldaio
ora mancano tutti, manca una casa
solo prima di nascere l’ho avuta.
 
da I luoghi persi (1994)
 
 
 
 
 
 
La giostra
 
ah, quella giostra antica
nella ressa di scooter
di ragazze vocianti, luminose
dentro jeans stretti
e falso trasandati,
dei fuoristrada rossi
sul lungomare,
escono da ogni porta,
da ogni strada,
straripano nell’aria che già avvampa,
è l’ora che precede dolce la sera
 
ma nessuno che salga
sui cavalli, di legno
coi pennacchi e quella tromba
gialla, come nel libro
di letture, la musica
distante e incantata,
quella che rese altri
le zucche e i rospi
 
lì c’era una ragazza
tutta sola,
vestita da Pierrot
la faccia bianca,
nessuno che prendesse
i bei croccanti,
lo zucchero filato
dalla sua mano
 
Jacopo che tra gli altri
passa, senza guardare,
dondola il grande corpo
e li sovrasta,
abbracciò un cavallo
e poi pendeva
dopo riuscì ad alzarsi,
rise forte
 
figlio che giri solo
nella giostra,
quegli altri la rifiutano
così antica e lenta,
ma il padre t’aspetta,
sgomento ed appartato
dietro il tronco,
che il tuo sorriso mite
t’accompagni
nel cerchio della giostra,
nella zattera dove stai
senza compagni.
 
da Nel tempo che precede (2001)
 
 
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La foto di copertina è di Dino Ignani