In occasione del 74esimo compleanno di Stefano Simoncelli, la Redazione lo omaggia con uno Speciale a cura di Rocío Bolaños e con pezzi di Federico Migliorati, Rocío Bolaños e Andrea Carloni.
Vita e creazione letteraria
Rocío Bolaños: È inevitabile iniziare l’intervista con la riflessione del fatto letterario: esiste un perché, e per chi della Poesia?
Stefano Simoncelli: La poesia esiste e quindi ha una funzione letteraria, sociale e politica che viene continuamente ignorata e abbandonata nel silenzio e indifferenza quasi generale. C’è ancora chi legge e difende la poesia, ma sono sempre meno numerosi e nascosti in grotte lontane da ogni tipo di potere. Il potere odia la poesia, la calpesta riducendola al silenzio. Ho letto da qualche parte che se scompaiono le api anche l’uomo scompare. Ecco: la poesia è come le api.
R: Quando e come incontri la Poesia?
S: La poesia è dentro di me e non ho bisogno di andare a incontrarla da qualche parte. È un fuoco che mi brucia dentro e non è lì davanti dove posso scaldarmi le mani.
R: Sei uno di coloro che crede che la Poesia possa cambiare la realtà delle persone? Come?
S: La poesia può cambiare il modo di pensare e sentire delle persone che la leggono. Per me è stato così quando a tredici anni ho letto la prima poesia. Ho sentito che qualcosa di importante mi si muoveva dentro, nel profondo, e che avrei voluto anch’io provare a scrivere dei versi. Così è stato. Senza la poesia sarei stato un ragazzo e poi un uomo diverso nel modo di vivere, sentire e pensare da quello che sono.
R: Raccontami della “La via dei Platani” del 1980, il tuo esordio. Com’è stata la esperienza che ti ha spinto alla pubblicazione?
S: Via dei platani è del 1982, mi sembra. Sono trascorsi 40 anni e non ricordo bene quell’esperienza. Però amo molto quella raccolta dove si possono già riscontrare i temi centrali della mia poesia che porterò avanti e svilupperò negli anni.
R: Che è accaduto durante il lungo periodo di silenzio dopo La via dei Platani e Poesie d’avventura?
S: Il silenzio è nato dopo Poesie d’avventura ed è finito nel 2000 quando è morta mia madre e ho ricominciato a scrivere. Non avevo niente da dire o non trovavo il modo per dirlo, non avevo la mia voce. Credo che fossi malato: una depressione onnivora che si mangiava tutto eccetto se stessa. Poi con la morte di mia madre mi sono sbloccato. Non sapendo dove mettere tutto quel dolore che mi prevaricava ho provato a chiuderlo con dei versi in una pagina ed è nato “Giocavo all’ala” che è stato pubblicato dalla Pequod nel 2004. Da allora non più smesso di scrivere e ho pubblicato sette libri.
R: Nel corso degli anni, la tua poesia sembra attraversare variazioni di stile e tematiche. Come descriveresti l’evoluzione della tua scrittura nel corso della tua carriera poetica?
S: Non mi sembra sinceramente di avere variato stile e tematiche nel corso degli anni. Forse non me ne sono accorto, ma ho sempre scritto di cose che ho vissuto e di persone che ho amato. Ho adottato da un po’ di tempo la terzina che mi dà ordine e mi piace graficamente. Do molta importanza all’aspetto grafico di una poesia. Se l’impatto ottico non mi soddisfa vuole dire che qualcosa non va nel testo e ci torno sopra.
R: Tra tutti i tuoi libri, ce n’è uno che preferisci?
S: Preferisco La rissa degli angeli. È un canzoniere per una donna che ho amato molto. È un libro fresco, spontaneo e, mi sembra, pieno di buona poesia.
R: Quali sono le influenze letterarie più importanti sul tuo lavoro e come hanno plasmato il tuo stile e il tuo approccio con i lettori?
S: Sono un trasversale riguardo alle influenze. Ho amato molto alcuni poeti come Luciano Erba, Giovanni Raboni e Pier Carlo Ponzini di cui è uscito da Garzanti un solo libro, Alla ricerca della passione. Naturalmente anche Montale, Sereni, Bertolucci e Caproni. Ho amato anche poeti stranieri come Ted Hughes (Lettere di compleanno), Brodskji e Celan.
R: Che visione hai della tua Poesia oggi?
S: Non ho nessuna visione della mia poesia. Sento che è importante e necessaria, questo sì, ma non vado oltre.
R: In che modo ti senti legato alla tradizione e come si collega con la tua poesia?
S: Sono molto legato alla tradizione. Bisogna sempre conoscere da dove si parte e chi abbiamo alle spalle. Massimo rispetto e studio.
R: Come nasce Sul Porto? Qual è stata la motivazione principale dietro la fondazione della rivista negli anni Settanta? In che modo diresti che la rivista ha contribuito nella scena culturale locale e nazionale?
S: Sul Porto è nato in un appartamento di universitari in Via Regnoli a Bologna dove ci siamo trovati a vivere Ferruccio Benzoni e io che venivamo da Cesenatico, ma dove non ci frequentavamo. Ferruccio era già un poeta maturo a vent’anni mentre io ero un tennista di seconda categoria che ogni tanto scriveva qualcosa, ma niente di serio e importante. Frequentando ogni giorno Ferruccio mi sono accostato sempre più alla poesia e lui mi ci ha trascinato dentro fino alla notte in cui abbiamo deciso di pubblicare una rivista di poesia e politica. La storia è lunga e preferisco chiuderla qui.
Amici e giovinezza
R: Un ricordo significativo dell’infanzia che riguardi la poesia?
S: Avevo circa tredici anni quando ho letto la mia prima vera poesia. Era di Alfonso Gatto e pubblicata in una rivista di moda che mia madre, che era una bravissima sarta, comprava per fare vedere i vestiti che avrebbero scelto le clienti e che lei rifaceva alla perfezione. Una poesia d’amore che mi aveva colpito molto per la musicalità. Ne ho fatto un calco su un quaderno e mi sono sentito felice come non lo ero mai stato con i miei giochi solitari. Credo sia stato in quel momento di gioia che abbia deciso di voler diventare un poeta.
Giocavo a pallone e a tennis. Sono stato uno sportivo. Amo molto lo sport e lo seguo sempre in tv.
R: Raccontami qualche esperienza o aneddoto particolare riguardo alle collaborazioni o amicizie vicine con figure che hanno segnato la tua vita.
S: Le figure che hanno segnato la mia vita sono i miei genitori, la mia prima moglie Patrizia e i poeti. Ho già detto in precedenza che la prima poesia che ho letto era di Alfonso Gatto. Dopo circa dieci anni è stata profonda l’emozione di quando l’ho conosciuto nel suo studio di Via Margutta a Roma. Alfonso è stato un amico vero.
R: Ci sono momenti di confronto creativo o di spensieratezza che ricordi in modo significativo?
S: I momenti di confronto sono stati quelli che noi redattori di Sul Porto chiamavamo «i tavoli di marmo»: serate dove leggevamo quello che avevamo scritto e ci confrontavamo spietatamente. Benzoni non mi ha mai promosso una poesia che una. Voleva sempre di più e aveva ragione. Ai tempi facevo soltanto calchi di poesie che mi avevano colpito. Ero un buon imitatore, ma niente più. Ricordo con piacere quelle serate dove, credo, ho maturato la consapevolezza di come deve essere una poesia.
R: Quali erano e sono tutt’ora i tuoi punti di riferimento, letterario e non?
S: Il mio punto di riferimento è da anni Marco Monina della Pequod, mio amico fraterno e fabbro nel senso che gli sottopongo quasi quotidianamente le mie nuove poesie che lui spietatamente promuove o boccia. Non so cosa avrei combinato senza lui in questi venti anni di collaborazione. Ho un grosso debito di riconoscenza che ho sempre presente e cerco di onorare.
R: Come affrontavi personalmente i periodi di pausa creativa?
S: Ho avuto una lunga pausa creativa dal 1987 al 2000. Tredici anni dove non ho scritto un solo verso. Non riuscivo a scrivere nemmeno un biglietto d’auguri. Niente di niente, però ho continuato a leggere molto. Ho letto di tutto con grande voracità e credo che queste letture mi abbiano preparato a scrivere i libri successivi.
R: Hai integrato temi storici e politici nella tua Poesia?
S: Non mi sembra di avere integrato temi storici e politici nella mia poesia. Di certo sono figlio del mio tempo e quando scrivo non posso trascurarlo. Due anni fa, ad esempio, ho pubblicato con Pequod una plaquette di venti poesie, Un barelliere del turno di notte, scritte durante la pandemia che resta in sottofondo, ma impregna tutte le poesie. Era impossibile fingere che non esistesse.
Opinioni
R: Come vedi il ruolo del poeta nella società e come pensi che la Poesia possa influenzare il cambiamento sociale?
S: Credo sinceramente che la poesia non possa cambiare niente sul piano sociale e politico. Attraversiamo un lungo periodo storico molto difficile e doloroso. La nostra società è entrata in una grave crisi: una nave che sta affondando travolta da una burrasca senza precedenti: pandemie, guerre ecc. Ebbene la poesia può essere la carta nautica dove sono tracciati i fondali, le scogliere da evitare ecc e la bussola. Senza quegli strumenti la nave non potrà mai uscire dalla burrasca e raggiungere il porto.
R: Qual è la tua diagnosi della Poesia italiana attuale? E la Critica letteraria, come la concepisci?
S: La poesia italiana non se la sta passando troppo bene dopo decenni di ottima salute dovuta a grandi poeti come Saba, Montale, Sereni, Caproni, Zanzotto, Bertolucci, Giudici, Raboni, Bandini e Raffaello Baldini. Adesso non vedo intorno poeti di quello spessore e anche le case editrici più importanti sono in profonda crisi. Molta colpa ricade su chi governa le collane di poesia che hanno fatto spesso scelte dettate da interessi personali, amicizie e intrallazzi vari. I poeti più importanti bisogna andarli a cercare nelle piccole case editrici. Parlo di Remo Pagnanelli e Ferruccio Benzoni (purtroppo scomparsi), Adelelmo Ruggieri e Giancarlo Sissa, poeti che avrebbero senza dubbio meritato di pubblicare su Lo specchio o nella Bianca di Einaudi. Non è stato così e non lo sarà mai da quello che vedo e capisco.
La critica è fatta in massima parte purtroppo dagli stessi poeti che si recensiscono l’un l’altro e si distribuiscono i premi. Manca un Gianfranco Contini, ad esempio, che stabilisca una meritocrazia basata su valori poetici assoluti. Adesso tutti si considerano poeti e nessuno lo è davvero. C’è la corsa a pubblicare libri inutili che non leggerà nessuno e ad ottenere la patente di poeta: casalinghe, notai, medici ecc pagano cifre ingenti per vedere i loro insipidi versi stampati su un libro.
R: Secondo te, quale potrebbe essere un atteggiamento o approccio efficace nei confronti della Poesia da parte di autori, editori e lettori?
S: Non so che approccio efficace ci potrebbe essere nei confronti della poesia da parte di editori e autori. Credo che ci vorrebbe più serietà e curatori di collane molto più onesti e in grado di capire il valore dei poeti. Non è così da troppo tempo e ormai il male si è incancrenito. Non riesco a vedere una cura che possa guarire il malato. Anche i poeti hanno la loro responsabilità: scrivono molto, ma non leggono e non comprano un libro.
R: Cosa ne pensi dei premi?
S: I premi. Vanno bene se danno un po’ di soldi ai poeti che di solito ne hanno bisogno, ma non dobbiamo prenderli troppo sul serio. Se vinci il premio Strega, tanto per dire il più importante e mediatico, non è che sei il poeta migliore in circolazione. I premi purtroppo (non parlo di quelli con le giurie popolari che non sopporto) sono governati dai poeti stessi che si regalano il viaggetto, il gettone di presenza, la cena, il premietto di mille euro ecc. Carabattole, ma c’è gente in giro disposta a uccidere la madre.
Oggi e domani
R: Hai una routine, dei rituali o manie particolari all’ora di scrivere?
S: Devo avere accanto un pacco di sigarette e una tazza di caffè bollente. Poi scrivo con una matita su un quaderno a quadretti. Alla fine, se la poesia mi sembra degna, la trascrivo sul computer e comincio a lavorarci sopra. Scrivo sempre sdraiato sul letto al mattino presto appena sveglio. Verso le cinque o le sei. Mi sento più lucido e creativo.
R: Cosa stai leggendo in questi giorni?
S: Leggo spesso libri gialli che mi appassionano e distendono. Oppure sempre gli stessi libri di poesia: Sereni, Caproni, Raboni e, da diversi anni, Umana Gloria di Mario Benedetti, un libro strepitoso.
R: Hai dei rimpianti e desideri?
S: Rimpianti molti, soprattutto d’amore. Desideri nessuno in particolare. Ho già ottenuto molto, dice chi non mi stima, poco, dicono gli amici. Per quanto mi riguarda vado avanti per la mia strada. Non ho mai chiesto niente a nessuno e non mi sono mai inginocchiato supplicando recensioni e premi. Ho sempre lavoro molto e tenuto un profilo basso.
R: Cosa non piace a Stefano Simoncelli?
S: Non mi piace l’ignoranza, la prepotenza, l’inganno.
R: Com’è un giorno della tua vita oggi?
S: Mi sveglio presto (dormo poco e male) e comincio subito a scrivere qualcosa. Se vedo che funziona continuo per ore, altrimenti smetto e faccio altro come giocare a tennis o camminare per otto chilometri circa. Poi mangio qualcosa, faccio una pennichella e leggo fino a sera. Vado spesso a cena fuori e quando torno guardo la tv se c’è una partita di calcio o tennis. Anche un film o una serie su Netflix fino a quando vado a dormire. Una giornata semplice, normale.
R: A che cosa stai lavorando in questo periodo?
S: Ho appena consegnato un nuovo libro dal titolo: Visite notturne. Uscirà presso la Pequod a febbraio, credo, o marzo. Chissà. Adesso sono in vacanza e me la merito. Ho lavorato molto, troppo, e duramente.
R: Vorrei concludere con dei versi tuoi che aprono l’ultima domanda:
«La mia data di scadenza
è trascorsa da tempo,
ma ho un impegno
che voglio mantenere
e vado avanti»
Qualche consiglio ai giovani poeti, ai nuovi lettori e scopritori di Poesia per mantenere l’impegno?
S: Non ho consigli per i giovani perché tanto non li seguono. Ognuno ha la sua strada ed è giusto che sia così. Però vorrei dire loro che bisogna leggere molto, moltissimo, e studiare con rispetto e passione chi ci ha preceduto.
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Foto di copertina da Corriere Cesenate