Speciale Stefano Simoncelli: Mi piaceva aggrapparmi al suo braccio

In occasione del 74esimo compleanno di Stefano Simoncelli, la Redazione lo omaggia con uno Speciale a cura di Rocío Bolaños e con pezzi di Federico Migliorati, Rocío Bolaños e Andrea Carloni.

 
 
Ho una stanchezza sconosciuta,
infinita. La stessa, immagino,
che provavi anche tu
in tutto il corpo
“nei capelli
e perfino nei pensieri”
confidavi con un filo di voce.
È questo che ci unisce adesso?
Questo dolore fitto nelle mani
che stringono l’aria? È questo
il nuovo modo di abbracciarci?
 
 
 
 
 
 
Certi mattini in cui l’aria
è gelida e trasparente lo sento
che attraversa in ciabatte il cortile
distribuendo briciole di pane ai pettirossi
che se ne sono andati l’altro inverno.
C’è una persiana rotta che cigola,
c’è un paesaggio in rovina
e più in là… Non so
cosa ci sia più in là.
Posso solo immaginarlo
o inventarlo come faceva lui
e alcune volte, nel buio, lo vedo.
 
 
 
 
 
 
Si dava due gocce di essenza
sulla tunica azzurra di lino
e uscivamo per un gelato,
un giro sul cavallo di legno
o un breve viaggio sul traghetto
che andava da una sponda all’altra del molo.
Mi piaceva aggrapparmi al suo braccio
e respirare quel profumo dolce,
intenso, appassionante
mentre giuravo che l’avrei protetta sempre.
Invece ho riempito con le sue cose
quattro sacchi neri, due scatoloni
e qualche sportina della spesa
che custodiva come reliquie.
Poco dopo piccole voragini
girevoli hanno inghiottito tutto,
ma non quel suo profumo di mughetto,
non quel conturbante profumo di mughetto
che sento ancora nell’aria e dentro.
 
 
 
 
 
 
Non mi guardo allo specchio,
ma procedo veloce e a memoria
le mattine in cui mi faccio la barba
sgarbata come quella di mio padre
e molte volte mi taglio, sanguino
e impreco sentendo la sua voce
nella mia mentre vado incontro
a un aldilà vagante respirando
un fresco profumo di mentolo
che resiste da anni nell’aria.
 
 
 
 

Uno degli aspetti più interessanti del lavoro poetico di Stefano Simoncelli è la naturalezza con cui affronta la distanza tra i fatti e il testo, trasformandola in un’esperienza di lettura di poesia che segna i passi di una realtà inevitabile e forte per avvicinarsi al dolore con onestà, senza lusinghe o eccessi. È vero che ci mette di fronte a uno dei problemi della vita, che non è solo una questione di vissuti ma di consapevolezza, di percezione quotidiana di ciò che «resiste da anni nell’aria».

Lo sguardo intimo emerge come strumento per filtrare il presente e costruire il proprio mondo con «piccole voragini». C’è una consapevolezza definitiva, l’obbligo di abituarsi e allo stesso tempo di non rassegnarsi all’assenza; ciò segnala un nuovo modo di vivere il processo di lutto che sembra non avere fine, assumendo così un aspetto di «aldilà vagante».

La stanchezza rimane viva perché deve negoziare con l’esistenza e con quello che non può risolvere: «Ho una stanchezza sconosciuta, / infinita». Si instaura un dialogo e una ricerca di certezze che collegano il quotidiano al passato: «È questo il nuovo modo di abbracciarci?».

Nel mezzo dello sfinimento, la tematica aperta e la sensibilità permettono di utilizzare tutte le connessioni possibili per esplorare ciò che è «più in là» e sentire un legame con le manifestazioni sentimentali che possono offrire una sorta di equilibrio alla ricerca continua di elementi: «Alcune volte, nel buio, lo vedo».
Gli scoppi di disperazione offrono indubbiamente una visione articolata della complessità delle emozioni umane, perché, nonostante la morte, il tempo, che assomiglia a un altro tempo, continua a far sentire la sua consolazione attraverso l’eredità dei gesti quotidiani: «le mattine in cui mi faccio la barba / sgarbata come quella di mio padre». Si vive sapendo che le persone, i luoghi e le cose non sono gli stessi, e l’idea della non esistenza è un turbine di dolore.

Dai testi scelti emerge un’atmosfera malinconica, l’allusione all’ignoto e un nuovo discernimento, dove non c’è tregua. Il poeta utilizza la parola per fare una revisione dei propri ricordi da una posizione di duttilità: «quel conturbante profumo di mughetto / che sento ancora nell’aria e dentro», manifestando eloquenza nell’uso del linguaggio e nelle tematiche riconoscibili.

Rocío Bolaños

 
 
 
 
Vedi anche:
Speciale Stefano Simoncelli: la tenerezza nei versi, di Federico Migliorati
Speciale Stefano Simoncelli: un’intervista, di Rocío Bolaños
Speciale Stefano Simoncelli: È questo che ci unisce adesso?, di Andrea Carloni e Rocío Bolaños
 
 
 
 
Foto di copertina di Daniele Ferroni