Speciale Margherita Guidacci: dobbiamo tenere vigile la nostra angoscia

Si conclude lo Speciale dedicato a Margherita Guidacci coordinato da Vernalda Di Tanna. Un’anteprima dello Speciale, a firma di Vernalda Di Tanna, è uscita il 18 aprile (Sull’alto spartiacque – Margherita Guidacci QUI) con commenti di Umberto Piersanti e Andrea Cati, e un’anteprima della conferenza tenuta a Firenze il 10 aprile da Paolo Valesio. Ha fatto seguito poi Speciale Margherita Guidacci: come nasce una poesia di Giulo Mazzali (QUI) e concludiamo oggi con una recensione a Sull’alto spartiacque. Poesie scelte e inedite di Margherita Guidacci (Interno Poesia, collana Interno Novecento, 2024, a cura di Benedetta Aldinucci e Giuseppe Marrani, foto in copertina di Dino Ignani) a cura di Gabriella Musetti.

La Redazione
 
 

Margherita Guidacci era solita dire che scrivere poesia, per lei, aveva il significato di un impegno totale, profondamente sentito, ma con «distacco e disinteresse riguardo a quello che poteva essere il risultato esterno»1, ovvero la visibilità, la fama. E sembra sia stata ascoltata dal destino.

Torna ora al pubblico con questo meritorio volume, Sull’alto spartiacque. Poesie scelte e inedite di Margherita Guidacci (Interno Poesia, 2024, a cura di Giuseppe Marrani e Benedetta Aldinucci, foto di copertina di Dino Ignani), l’attenzione a questa importante poetessa del Novecento, saggista, traduttrice di molti autori e autrici soprattutto di lingua inglese (E. Dickinson, J. Donne, E. Pound, E. Bishop, T. S. Eliot e molti altri), ma anche di lingua francese e spagnola. Un’autrice trascurata dai repertori e generalmente non presente nella memoria comune dei lettori, se non in ambienti particolarmente attenti e ristretti. Eppure le grandezza di Guidacci era riconosciuta dai poeti a lei contemporanei (basti fare i nomi di Betocchi, Caproni, Fortini, Montale) e dagli studiosi, da Spagnoletti a Frattini, De Benedetti, Manacorda, Baldacci, Langella, Del Serra, e molti altri, in numerosi saggi e convegni, ma, dopo la sua morte avvenuta nel 1992, la sua opera è rimasta al margine della memoria collettiva della poesia italiana novecentesca. Quindi è un merito rimettere in circolazione i suoi testi in questa antologia di scritti scelti che ripercorre il suo cammino poetico dagli esordi di La sabbia e l’angelo (1946) a Il buio e lo splendore (1989), con l’ultimo volume Anelli del tempo, uscito postumo nel 1993, antologia contenente anche un gruppo di poesie inedite e disperse, o perché lasciate fuori da qualche raccolta o perché rimaste tra le carte private.

La poesia di Guidacci è fortemente etica, a tratti con palese ispirazione religiosa, ma non devotamente narcisista, come lei stessa definisce la sua scrittura con una vena di ironia, né conformista o acquiescente al costume comune, anzi, ha una carica eversiva e ribelle che muove dal profondo, non si accontenta delle risposte confezionate per essere tranquillizzanti. La sua fede cristiana interroga costantemente la sua coscienza «attraverso la mai sopita volontà di scavo sulla condizione in cui l’uomo è radicato, tra i due poli del nulla e di Dio»2, scrivono i curatori nella prefazione al volume. L’autrice propone una poesia che possa comunicare in modo chiaro, semplice, lontana dai riverberi sonori e a volte oscuri dell’ermetismo allora imperante, una poesia che si fondi sui significati e sul compito alto di conoscenza del mondo, di attenzione critica alla realtà concreta, alla vita singola delle persone, agli eventi della storia recente o remota, ai grandi temi della vita e soprattutto della morte che attraversano l’esperienza di tutti. Proprio questa duplice attenzione all’aspetto soggettivo (personale) e collettivo (sociale) caratterizza la sua ricerca poetica e offre la cifra alla sua scrittura tesa a mettere in evidenza l’inquietudine sofferta in cui tutti viviamo, senza nascondere l’angoscia di una situazione drammatica e disperata, come bene evidenziano i curatori.

A partire da La sabbia e l’angelo, uscito subito dopo la guerra mondiale, la voce dell’autrice si fa interrogante, pone questioni morali, di comportamento, agli uomini, a Dio, alla sua coscienza di poeta. Il libro si apriva con una serie di Meditazioni e Sentenze:

I
Chi grida sull’alto spartiacque è udito da entrambe le valli.
Perciò la voce dei poeti intendono i viventi ed i morti.

Compito della poesia è di fare da tramite tra il mondo dei viventi e quello dei morti, un compito altissimo, che chiede conto delle vicende della guerra trascorsa, delle distruzioni e morti, proprio di quella tensione alla violenza crudele insita nell’uomo. Non a caso i curatori del presente volume hanno dato come titolo: Sull’alto spartiacque, quasi una prospettiva rilkiana. La voce della poetessa, anche se giovane (ha 25 anni) si alza sicura, a monito, la materia drammatica è posta con modalità assertive e la tradizione a cui rimanda sono i testi biblici, l’Antico Testamento, i Salmi, i Profeti.

Una lunga citazione tratta da un articolo scritto nel 1945 anche se poi ripreso in un lavoro più tardo, è collocata in evidenza dai curatori del volume: «Noi dobbiamo tenere vigile la nostra angoscia, unica lampada rimasta accesa nelle nostre tenebre; rifiutare l’acquiescenza, denunziare lo squilibrio che si nasconde sotto ogni equilibrio insano»3. La metafora della lampada nelle tenebre, di origine biblica, rivela un intento programmatico a cui si atterrà sempre nella sua lunga produzione poetica, che tocca anche momenti di disperazione acuta e quasi senza via d’uscita, come nel libro del 1970, Neurosuite, uno dei punti più alti della sua scrittura, che riflette un periodo di forte sofferenza personale, la degenza in un ospedale psichiatrico, e tuttavia apre lo sguardo anche alla sofferenza delle persone che condividevano la sua dolorosa esperienza.

Città murata
 
Questo nodo di pietra, questa città murata!
La medesima ansia fa cercare una porta
a chi è dentro, a chi è fuori.
Ma se appena potessero vedere
di là dal muro, pregherebbero forse,
gli uni e gli altri, di non trovarla mai.

Ma da queste situazioni saprà risollevarsi, rimanendo concentrata sulla realtà presente e mantenendo la sua vocazione poetica rivolta alla vita delle persone comuni, alle vicende drammatiche che a volte direttamente le coinvolgono in modo repentino e casuale, per la ferocia dell’uomo che non è capace di liberarsi dall’istinto fratricida di Caino. Come nella scrittura dell’ ‘oratorio’ L’orologio di Bologna del 1981, sulla strage del 1980, di cui indica le note di composizione: «Il modello che ho cercato di seguire è l’Uffizio delle Tenebre, che fa parte della grande liturgia della Settimana Santa»4. Un testo doloroso, in cui il rito diviene luogo di confronto e di memoria tra il tempo e l’eternità, i singoli gesti sono pietrificati in una dimensione fuori dal tempo, e la speranza risiede solo in Dio.

Altre fonti della sua scrittura sono la dimensione privata, la crescita dei figli, le relazioni affettive, le stagioni della vita, la morte del marito, la natura, soprattutto il mare e l’acqua – dal forte valore simbolico, i boschi con la voce degli uccelli, i paesaggi che trovano connessioni con l’anima, il sentimento, oppure degli specifici momenti di riflessione poetica su testi o eventi a carattere religioso, come La morte del ricco. Un oratorio (1954), Giorno dei Santi (1957), o La via Crucis dell’umanità (1984), scritta su richiesta di padre Massimiliano Rosito.

Con Inno alla gioia (1983) si apre una nuova stagione poetica, più serena, perfino gioiosa, nell’amore ritrovato, in una visione maggiormente chiara della sua disposizione poetica:

Dal dolore alla gioia
 
Il dolore
era piombo e pietra e mi chiudeva in me stessa.
Ogni giorno una nuova cerchia di mura,
un nuovo giro di catene.
 
Ma la gioia
mi dilata ora al centro del cuore
fino agli orli vibranti del mio essere –
leggera come un fiore che apra i suoi petali al mattino…
No, più leggera. Io sono spazio e luce.
Sono il crocevia di liberi venti.

In questa più recente stagione l’autrice ritorna ai temi a lei cari tratti dalla classicità con le Sybillae, Rileggendo Ovidio, Il porgitore di stelle, dell’ultimo volume da lei composto Il buio e lo splendore (1989). Sono componimenti densi, distesi nella struttura compositiva, poemetti mitici di una discreta lunghezza, come le varie Sibille, antiche donne misteriose che vivevano in diversi luoghi e regioni, generalmente nell’ombra, trasmettevano una conoscenza segreta ed erano legate profondamente alla forza della natura e all’acqua. Aspetti di rappresentazione simbolica e divinità dei luoghi che intrecciano i loro poteri.

Come si evince da questa breve presentazione Margherita Guidacci è una poetessa complessa, con un ampio retroterra culturale, dalla produzione ricca e varia; ha spaziato in diverse direzioni cercando sempre una adesione autentica (con i rischi connessi al termine) alla sua vocazione poetica. La scelta dei testi fatta dai curatori e l’organizzazione cronologica dei libri dell’autrice, da cui sono tratti, consente di seguire la progressione della sua scrittura, le direzioni multiple che ha intrapreso e anche una sorta di mappatura in cui numerosi percorsi si dispiegano e connettono, pur da punti di partenza non allineati. Efficaci e utili a una divulgazione allargata sono le note di presentazione dei curatori per ogni singolo libro esaminato.

Gabriella Musetti

 
 

 
 
 
 

1# M. Guidacci, Poesia come un albero, conferenza tenuta il 1 marzo 1987 al Convegno Nazionale di Bari sulla poesia femminile. Poi pubblicato negli Atti: Trasgressioni di marzo, La Vallisa, Bari 1988. Ora in Prose e interviste di Margherita Guidacci, a cura di Ilaria Rabatti, Editrice CRT, Pistoia 1999, p. 149.

2# M. Guidacci, Sull’alto spartiacque. Poesie scelte e inedite, a cura di Giuseppe Marrani e Benedetta Aldinucci, Interno Poesia Editore, Latiano 2024, p. 10.

3# ivi, p. 17.

4# ivi, p. 126.