Sull’alto spartiacque – Margherita Guidacci


Foto di Dino Ignani

«April is the cruellest month». Con questo verso, forse il più noto e iconico di The Wast Land, libro di T.S. Eliot tanto amato dalla poetessa e traduttrice Margherita Guidacci (Firenze, 25 aprile 1921 – Roma, 19 giugno 1992), lanciamo un’anteprima di quello che sarà lo Speciale per il centotreesimo genetliaco della poetessa fiorentina.

Questo mese due sono gli appuntamenti importanti che portiamo all’attenzione di chi legge: la conferenza sulla Guidacci di Paolo Valesio per il ciclo “Incontri di Letteratura. Galleria femminile toscana” presso la Sala Convegni della Fondazione Biblioteche Cassa di Risparmio di Firenze che si terrà mercoledì 10 aprile alle ore 16.30 (e di cui parleremo al termine di questo articolo), e la pubblicazione che qui recensiamo in anteprima, Sull’alto spartiacque. Poesie scelte e inedite di Margherita Guidacci (Interno Poesia, collana Interno Novecento, 2024, a cura di Benedetta Aldinucci e Giuseppe Marrani, foto in copertina di Dino Ignani), in uscita venerdì 12 aprile.

L’antologia ripercorre le varie pubblicazioni poetiche dell’autrice. Nella Prefazione firmata a quattro mani, i due curatori osservano che la tensione lirica guidacciana «vuol proseguire e percorrere lo spartiacque più alto, il crinale cioè che separa i trapassati dai vivi (così recita l’inizio stesso di La sabbia e l’angelo) e che consente di essere uditi da entrambi i lati» (cit. a p. 7). Difatti, uno dei motivi ricorrenti nell’opera guidacciana è «l’oscillazione tra la fede e il dubbio, con tutti i sentimenti contraddittori che può suscitare la morte, attraverso la mai sopita volontà di scavo sulla condizione in cui l’uomo è radicato, tra i due poli del nulla e di Dio». Tuttavia – ribadiscono Aldinucci e Marrani – è «diffusamente presente nella sua opera l’originario ampio sguardo alla storia e all’impegno etico-civile (per cui si vedano la sezione Il muro e il grido de Il vuoto e le forme, L’orologio di Bologna, raccolta qui introdotta attraverso le parole della stessa Guidacci, o La via Crucis dell’umanità)» (cit. a p. 10).

E poiché ogni vero poeta che si rispetti sa anche fare della poesia civile, etica e politica – senza che essa si riduca a mera poesia partitica –, e volendo tralasciare in questa sede alcuni testi dal taglio tanto profetico quanto ecologico, per rileggere da questa prospettiva l’opera della nipote di Nicola Lisi occorrerà ripartire da e soffermarsi su La Via Crucis dell’Umanità (1984).

Edita esattamente quarant’anni fa dalle Edizioni Città di Vita, questa plaquette riproduce quindici formelle bronzee del maestro orafo e scultore Leonardo Rosito, con annessi componimenti di Guidacci tradotti peraltro in spagnolo, francese, inglese e tedesco.

Ogni episodio de La Via Crucis guidacciana, scandito dalle cosiddette ‘stazioni’, racconta la tragicità che pesa sulle spalle del mondo. Pur non perseverando fino in fondo nella scansione cronologica degli eventi che hanno ispirato le poesie di questo ciclo, Guidacci – assieme al suo committente, padre Massimiliano Rosito – suddivide per aree tematiche eventi e personaggi storici1. Ebbene, per ciascuna stazione leggiamo una poesia. Questi i titoli di tutti i componimenti: Caino e Abele; Strage degli innocenti; Passione e morte di Cristo; Martiri; Incas; Indios; Schiavitù; Deportazioni; Il razzismo; Kolbe; Gandhi; Martin Luther King; J.F. Kennedy; Hiroshima; Gesù risorto.

Eppure, il testo d’apertura richiama inevitabilmente i tre testi omonimi su Caino e Abele de L’orologio di Bologna (1981), silloge in cui l’autrice seguiva dichiaratamente l’antica forma dell’Uffizio delle Tenebre nel latino della Vulgata.

Dunque, è interessante continuare a ragionare sulle varie pieghe che (s)compongono la riflessione guidacciana sull’attualità, riflessione che si innesta sulla «prima morte della terra, che fu morte violenta»2.

La figura di Caino condensa in sé le innumerevoli e maligne declinazioni di tutte le aberrazioni compiute dagli esseri umani nel corso dei secoli. Quante volte la figura emblematica e fratricida archetipale di Caino è stata ripresa e cantata dai poeti? Quali sono le diverse accezioni che il suddetto personaggio della Genesi ha assunto nei libri di versi? In quante occasioni l’occhio critico dei poeti è stato capace di versare lacrime non solo per Abele, ma altresì per Caino? Sono domande, queste, che ci pongono in quanto a esseri umani davanti a mille riflessioni sull’etica e sulla morale; questioni che inducono a comparare i numerosi tentativi di rappresentazione in versi di Caino all’interno della poesia moderna e contemporanea.

Il disumano fascino del male, di colui contro il quale «grida il sangue di Abele, il sangue di tutti gli uccisi» (Caino e Abele, III), lo si incontra anche nella terza raccolta di Fernanda RomagnoliConfiteor (Guanda, 1973) –, poetessa amica di Nicola Lisi, cugino materno della Guidacci.

«Sulla scia della tradizione romantica, il Caino di Baudelaire è un Titano umiliato, un Prometeo che per liberare l’umanità deve dare l’assalto al cielo, sopprimere quel Dio che ha provocato l’uomo con il suo arbitrio», scriveva così Umberto Fiori in un suo articolo apparso su Doppiozero il 21 aprile 2018.

In sostanza, il Caino di Fernanda Romagnoli è un componimento sulla pietà per l’uccisore ed è chiaramente di baudelaireiana memoria3: «Voi fate gran compianto per Abele, / per lo scaltro innocente, così certo / del consenso divino. / […] / Io piango l’altro: Caino»4. Oppure, si pensi al componimento E il Signore mi parlò, in cui Umberto Bellintani riproduce nei versi il circolo vizioso dell’uomo condannato a ripetere l’errore di Caino, reiterando l’interrogativa diretta «Son Caino?»5. Il componimento è straniante e come quello di Romagnoli sembrerebbe rimettere in discussione la soglia fra il bene e il male, parlandoci d’un uomo contemporaneo non dissimile da quell’«uomo che scagliava contro il nido / della rondine l’assenza di pietà» (Ibid.).

Come non pensare, poi, all’originalità de La terra di Caino (Mondadori, 2021) di Alessandro Rivali? Caino è tuttora simbolo dell’homo viator che ha bisogno di riscattarsi e affrancarsi dalle sue ombre, dalle macchie di sangue. Caino è colui che si trascina vagando perpetuamente, portandosi appresso il bagaglio più pesante di tutti, il rimorso.

In sostanza, quelli che Margherita Guidacci consegna ai suoi lettori con la chiusa di Caino e Abele (I Stazione) sono versi crudi e trepidanti, poiché le sue parole martellanti ancora oggi ricordano qual è il peso di Caino: «Cos’ha fatto Caino / di suo fratello, / cos’ha fatto l’uomo / dell’uomo?».

Assieme alle poesie dedicate allo sterminio degli Indiani d’America e al genocidio degli Incas, i suddetti componimenti premono e strillano, inducono il lettore odierno a meditare sull’attuale genocidio che si sta consumando a Gaza, nonché a meditare su ogni atrocità commessa dall’uomo nei confronti dell’uomo.

Forse, però, a molti di noi è destinata l’amarezza di Adamo, che «pianse insieme l’uccisore e l’ucciso» (Caino e Abele I, da L’orologio di Bologna).

Vernalda Di Tanna

 

Gridi
 
Alcuni hanno impugnato il loro grido
come un coltello per aprirsi un varco
nella foresta che tradisce i loro passi.
 
Altri l’hanno piantato come un remo
nei mulinelli dell’acqua violenta.
Ruotano intorno, ma è la sola cosa
cui possano aggrapparsi.
 
Vi sono gridi che s’innalzano
come colonne a puntellare il cielo
che, disfatto, minaccia di crollarci sul capo.
 
Gridi nitidi, rauchi, tronchi, aguzzi.
Ciascuno chiama gli altri e li contiene.
O forse è un solo grido
che continua nel tempo – ed Eva ancora
urla su Abele mentre ad Hiroshima
la torva cenere disegna nell’aria
l’ultima clava di Caino.
 
(da Neurosuite)
 
 
 
 
Strage degli innocenti – II Stazione
 
La tenerezza spenta, la speranza
uccisa. Erode si ripete
in molte forme. Il nostro grande pianto
inespresso traversa il tempo come un’onda.
Abbiamo chiesto la vita e ricevuto la morte.
 
(da La Via Crucis dell’Umanità)

 
 

A integrazione dell’anteprima dello Speciale su Margherita Guidacci (che apparirà su Laboratori Poesia la settimana attorno al 25 aprile), e come invito ai nostri lettori a partecipare alla conferenza sulla poetessa a cura di Paolo Valesio per il ciclo “Incontri di Letteratura. Galleria femminile toscana” (Sala Convegni della Fondazione Biblioteche Cassa di Risparmio di Firenze, mercoledì 10 aprile alle ore 16.30 – prenotazione gratuita QUI), abbiamo chiesto al professor Valesio un’anteprima della sua lezione:

«Un mio iniziale interesse di lettore per l’opera di Margherita Guidacci mi portò a fare la conoscenza di un’interessante figura americana di poetessa, e in particolare traduttrice, Ruth Feldman (1911-2003), che tradusse nel corso degli anni almeno tre libri della Guidacci. Nei miei ricordi c’è la notizia che la Feldman mi comunicò – non so più se a voce o per telefono: aveva appena saputo della scomparsa della Guidacci, nel sonno, con un libro accanto; che era una raccolta di traduzioni ad opera della Feldman di poesie della Guidacci, uscita proprio in quei mesi (eravamo dunque nel 1992).

Strana alchimia dei ricordi: quel breve dialogo restò nella mia memoria come simbolo di tutta una stagione di rapporti, in quegli anni ma anche nei decenni precedenti, fra la cultura italiana intesa come cultura pienamente europea e la cultura statunitense. Oltre alla Guidacci e alla Feldman, ricordo almeno il mio mentore a Harvard, Dante Della Terza, e più tardi la mia collega a New York University, Margherita Frankel: figure intellettuali raffinate e con un forte senso della tradizione, per le quali – fra l’altro – lo studio comparato della letteratura italiana e angloamericana non era mai disgiunto dalla coltivazione della letteratura francese.

È un periodo ormai concluso; e quello che gli scrittori della mia generazione possono fare, quando l’occasione si presenti, è tentar di dare – senza inutili rimpianti – un’idea dei personaggi e delle opere che, da quella stagione, possono ancora nutrire il nostro lavoro».

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A seguire presentiamo un ricordo della poetessa che ci viene fornito da Umberto Piersanti in relazione al primo Festival Nazionale di Poesia Italiana a Urbino, evento del 1977 a cui l’aveva invitata. Subito dopo alcuni articoli sul Festival tratti dall’archivio de l’Unità (che si ringrazia per la gentile concessione). Nello specifico da l’Unità di domenica 21 agosto 1977 (il primo) e da l’Unità di mercoledì 24 agosto 1977 (il secondo), pezzo quest’ultimo che commenta di disordini ricordati da Piersanti.

«Era il 1977, a Urbino, avevo organizzato il primo Festival Nazionale di Poesia Italiana a Urbino (ideato e promosso in collaborazione con il Comune), due anni prima di Castelporziano (1979). C’erano alcuni poeti tra i più noti (Milo De Angelis, Maurizio Cucchi, Fabio Doplicher, Dacia Maraini), allora giovani emergenti. E c’era, tra quelli con già una certa storia, Margherita Guidacci. E c’erano gli “Indiani metropolitani”, un movimento variopinto di quegli anni. Lei si era dichiarata cattolica e l’hanno contestata in modo violentissimo. A lei e a un poeta urbinate (Zeno Fortini) che si era dichiarato di Comunione e Liberazione. Ci fu uno scontro violento. Io dirigevo i lavori al collegio Raffaello. La Guidacci aveva una calma ieratica, era equilibrata e gentile. Viveva come assente in questo caos totale. Non si lasciò impressionare».

Umberto Piersanti

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Per concludere torniamo a Sull’alto spartiacque. Poesie scelte e inedite di Margherita Guidacci (Interno Poesia, collana Interno Novecento, 2024, a cura di Benedetta Aldinucci e Giuseppe Marrani, foto in copertina di Dino Ignani), pubblicando un commento dell’Editore Andrea Cati:

«La collana Interno Novecento nata per riportare in libreria pubblicazioni fuori catalogo, poeti amati e dimenticati, passati in secondo piano troppo presto, non più presenti nelle grandi collane, fuori dai diritti oppure di cui si erano perse le tracce tra i parenti o nella documentazione degli uffici dedicati ai diritti delle opere pubblicate, da cinque anni si prefigge di ridare voce e presenza in libreria, nelle fiere, nei festival a questi poeti di cui poco si sa, di cui ancora molto c’è da dire, da scavare oltre il selciato delle riviste specializzate, le occasionali tesi di laurea o dottorati di ricerca, i convegni e i seminari di tanto in tanto a loro dedicati. Margherita Guidacci si inserisce nel solco di tale ricerca, di tale volontà: riportare in luce una voce ingiustamente assente dagli scaffali delle librerie, dai giornali, dal discorso intorno alla poesia del Novecento. Il lavoro antologico curato da Giuseppe Marrani e Benedetta Aldinucci, entrambi accademici dell’Università di Siena, segue e continua, approfondendo con una lente critico-filologica, il lavoro svolto da Maura Del Serra, assegnando a Guidacci il posto che le compete: tra le voci più grandi della poesia del Novecento; la sua «limpida e colta parola poetica» si aggiunge alle altre voci della collana Interno Novecento, in compagnia di Fernanda Romagnoli, Piera Oppezzo, Antonia Pozzi, ma anche di Rocco Scotellaro, Raffele Carrieri e Cesare Pavese».

Andrea Cati

 
 

 
 
 
 

1 Cfr. Giuseppe Langella, La via crucis dell’umanità: un frate, un artista, una poetessa, in «Città di vita: bimestrale di religione, arte e scienza», LXXIV (2019), 1, Firenze, Polistampa, pp. 80-87.

2 Margherita Guidacci, Caino e Abele (I), in L’orologio di Bologna (1981), ora in Id., Le poesie. A cura di Maura Del Serra, Firenze, Editoriale Le Lettere, 1999, cit. a p. 321.

3 Cfr. Paolo Lagazzi, In sangue e in fuoco: le vertigini dell’anima, in Fernanda Romagnoli, La folle tentazione dell’eterno, Latiano, Interno Poesia Editore, 2022.

4 Fernanda Romagnoli, Caino, in Id. Confiteor, Parma, Guanda, 1973, ora in Fernanda Romagnoli, La folle tentazione dell’eterno. A cura di Paolo Lagazzi e Caterina Raganella. Nota filologica di Laura Toppan e Ambra Zoran, Latiano, Interno Poesia Editore, 2022, cit. a p. 74.

5 Umberto Bellintani, E il Signore mi parlò, in Id., Forse un viso tra mille, Firenze, Vallecchi, 1953, ora in Umberto Bellintani, Nella grande pianura, Milano, Oscar Mondadori, 2023, cit. alle pp. 36-37.