Speciale Dylan Thomas: Poesie inedite (a cura di Emiliano Sciuba)


Poesie inedite, Dylan Thomas (Crocetti Editore, 2023, traduzione e cura di Emiliano Sciuba).

Esce per Crocetti un libro atteso, un libro complesso. Uno di quei libri che attendevamo senza saperlo. Nel 2024 scadono i diritti su Dylan Thomas e diversi Editori stanno dando alle stampe la produzione del poeta gallese, uno dei più amati del Novecento, restituendo l’immagine storica dell’artista alcolizzato e geniale, capace di una visionarietà profetica che mette in relazione le distanze, i paradossi. Poeta maledetto che distrugge salvando e salva distruggendo, dedito agli eccessi che l’hanno portato a morire appena trentaseienne (1917-1953), Thomas sconvolgeva con una poesia che amava Shakespeare e Blake, e avversava Eliot e Auden.

Osannato dal pubblico, amato dalla critica, da poeti (si pensi agli echi nella poesia di Ceni ma anche di Jan Wagner, solo per non citare i soliti noti) e cantautori (ad esempio Bob Dylan, il “nobel della discordia“), le sue poesie sono state definite “una sarabanda di miti biblici e di panteismi materici e sensuali, di bisticci di suoni e ritmi frenetici, una giostra di giochi fonetici e trappole sintattiche, assonanze ed allitterazioni a getto continuo, di forzieri senza fondo da cui pescava immagini e storie” (cit. Lib(e)roLibro, Augusto Benemeglio, QUI) quanto “prima di tutto spontanea, ma anche profonda, simbolica, mistica ed eccelsa. Di immane grazia, precisione e potenza stilistica è la cornice di questi contenuti simbolici, ovvero le bellissime descrizioni di paesaggi. Le aurore, i vespri, le notti, i campi, le scogliere sono descritte con un tocco magistrale, sul filo del delirio, e garantiscono un’incredibile impatto emotivo” (cit filosofiaecultura.it, QUI). Senza ovviamente dimenticare la più recente definizione di Daniele Piccini: “salmistica, orante e insieme profondamente immersa nell’esistente, nella materia, essa illumina con squarci improvvisi il brulicare della vita cosmica, il tutto in fermento, in divenire. C’è spesso nella lingua del poeta un orizzonte temporale futuro, quello appunto dell’avverarsi dell’annuncio profetico” (cit. Maremosso, QUI).

Crocetti, nell’intelligente operazione curata da Emiliano Sciuba in uscita domani 12 gennaio, non ripropone i testi già conosciuti in ambito nostrano bensì si inerpica nella mappatura dei testi inediti e di quelli mai tradotti: “Sessantadue poesie inedite di cui: ventidue estrapolate da quattro raccolte che egli pubblicò in vita (Eighteen Poems, Twenty-Five Poems, The Map of Love, Deaths and Entrances) ma che i curatori italiani delle precedenti edizioni non elessero mai; ventisette tra le liriche che egli, tra il 1930 e il 1951, non antologizzò mai; infine tredici adolescenziali composte dagli undici fino ai sedici anni, che già enucleano con sorprendente meraviglia la maturità di pensiero e la limpidezza di sensibilità di Dylan Thomas” (dalla prefazione).

Da questo la definizione di “libro che attendevamo senza saperlo”. Poesie inedite di Crocetti completa e approfondisce i temi thomasiani nella loro più profonda potenza aporetica e feroce che elude una razionalità lineare attingendo a un cortocircuito visionario che ha le medesime dinamiche del sacro, dell’estasi che nega la ragione ma così facendo la consegna e la espande ancor di più nell’umano, qualunque cosa “umano” voglia significare (questione apparentemente banale ma che, in fondo, possiamo ben pensare sia l’obiettivo finale di tutti i poeti, quelli veri).

Alessandro Canzian

 
 

Per approndire l’operazione di Poesie inedite abbiamo intervistato il curatore Emiliano Sciuba.

Alessandro Canzian: Poesie inedite che completano l’opera omnia in Italia. Anche testi precedentemente non considerati dai curatori. Che valore aggiunto danno alla lettura nostrana del poeta gallese?

Emiliano Sciuba: Le sessantadue poesie tradotte qui presenti, che così completano in Italia il terzo mancante dell’opus poeticum thomasiano, permettono al lettore di approfondire le tematiche ricorrenti del poeta – in sintesi: il dramma umano del divenire tra amore e deiezione – mediante uno scavo simbolico nella imagery di Thomas, poeta abissale sotto ogni punto di vista. Egli ha toccato il fondo originario della vita per trovarvi l’atrocità che caratterizza l’esistenza dell’uomo, deinòs per eccellenza per usare la grammatica greca antica sofoclea: l’uomo è “tremendo” nella misura in cui l’idea del tremito rimanda tanto all’orrore quanto all’esuberanza che spaventa ma insieme meraviglia per la plasticità del proprio essere. Tutto questo è l’uomo: “Man be my metaphor” chiosa infatti Thomas in If I were tickled by the rub of love, poesia inedita qui presente, scritta a diciotto anni, in cui il poeta gallese ribadisce, mediante visioni ardite – visionarie ma insieme visive (Thomas ci teneva a non essere apostrofato “surrealista”) –, la propria totale fedeltà poetica alla singolarità umana, alla “tremenda” singolarità dell’Uomo. Pochi poeti hanno saputo cantare Thanatos a partire da Eros, a dire il vero (ben più facile l’elogio del sentimento infinito con la mente rivolta alla fine di ogni sentimento): molti di questi testi ci aprono ben più di uno spiraglio perciò sul lirismo vertiginoso di Thomas, quasi un corteggiatore dell’in-forme e di ciò che resiste alla tentazione del crollo pur mantenendo la costante del pericolo.

 

AC: Nella tua prefazione parli di “scontro di fiabe e favole” e di “intricate geometrie”. Che Dylan Thomas emerge da questi inediti rispetto a quello da noi conosciuto?

ES: Rispetto alle molte splendide poesie già edite in Italia dai curatori R. Sanesi (Guanda) e A. Marianni (Einaudi), Poesie inedite pubblicato da Crocetti a mia cura restituisce al lettore italiano un quadro totale di Thomas che, specialmente nella sezione delle “Poesie sparse” degli anni ’30-’51, appare ben più crepuscolare e meno titanico del solito: beninteso, il conato di vita e la laus vitae sono sempre presenti in questi versi, da bardo “neoromantico” com’è stato apostrofato il poeta gallese; eppure, in molti di questi inediti si evidenzia più il conato (fallito) del successo, con punte non di rado finanche sociali (per esempio The ploughman’s gone; “We who are Young are old”) oltre che esistenziali. Icastica a tal proposito è la poesia Children of darkness got no wings: poesia-manifesto di una razza di sordidi uomini inetti, paria bastardi di un mondo di tenebre che non lasciano intravedere la loro benché minima sagoma, figli anonimi e autolesionisti nella ripetizione atomizzata e automatizzata di bisogni primari insignificanti come la loro esistenza che non riesce ad esprimere altro all’infuori della propria banalità biologica. “Ordinary men” nevrotici in perenne attesa di un cambiamento della cui impossibilità hanno già consapevolezza dalla nascita: l’immobilità fa loro terrore.

D’altro canto, non mancano poesie che sferzano la superstizione religiosa dell’uomo (per esempio Let it be known; We have the fairy tales by heart), a tratti esaltando la “gioia della polvere” del Cristianesimo inteso come pensiero nichilistico umano che ricorda che l’inizio dell’uomo sta nella sua fine, nel distruggersi per creare, dunque nella gioia e insieme nella condanna al limite; non mancano, inoltre, poesie dai toni ben più crudi ed erotici (per esempio The gossipers; The molls) così come anche poesie umoristiche (New Quay) e metaletterarie (Praise to the architects; Request to Leda), entrambe tipologie liriche piuttosto sconosciute a Thomas fino alle poesie edite dai precedenti curatori. Concludendo, è forse pleonastico affermare quanto siano sorprendenti per maturità di sensibilità e finezza di intelletto le tredici poesie adolescenziali, qui riportate in modo inedito, che Thomas scrisse dagli undici ai sedici anni (’25-’30): i temi prevalenti sono una vaga melancolia romantico-letteraria, un precoce ma sincero stimolo sessuale, un senso di diversità sentito come dono e insieme condanna d’elezione, una religiosità diffidata in favore piuttosto di una inclinazione naturale al pensiero divergente e metafisico.

 

AC: A settant’anni dalla morte Thomas cosa ha da insegnare alle nuove generazioni di poeti?

ES: Dylan Thomas è forse l’ultimo poeta occidentale contemporaneo dalla vastissima e inconcussa eco poetica “maledetta”, un giovane uomo attratto dalla morte come dono di senso dell’esistenza (in ciò mostrando la propria affinità rispetto all’etica greca dell’immanenza: non la mortificazione cristiana della morte ma l’accettazione gioiosa pagana di essa che spinge l’uomo greco a vivere di morte), infatti in rivolta costante contro tutto ciò che di naturale sembra leopardianamente respingere, col proprio materialismo, ogni promessa umana di felicità. Alle nuove generazioni di poeti la poesia di Thomas lascia la perfezione di una forma, classica nella metrica ma sperimentale nella morfosintassi, combinata a un pensiero poetante, assoluto e incendiario per l’epoca massificata e inautentica che sempre più viviamo, il quale ama la vita fin dentro la sua “malattia”, se tale si deve intendere il veleno di un’esistenza che nel proprio ritmo umano non sa eternare gli attimi di pura gioia.

 
 
Alcuni testi dal volume, per gentile concessione dell’Editore:
 
 
When once the twilight locks no longer
 
When once the twilight locks no longer
Locked in the long worm of my finger
Nor damned the sea that sped about my fist,
The mouth of time sucked, like a sponge,
The milky acid on each hinge,
And swallowed dry the waters of the breast.
 
When the galactic sea was sucked
And all the dry seabed unlocked,
I sent my creature scouting on the globe,
That globe itself of hair and bone
That, sewn to me by nerve and brain,
Had stringed my flask of matter to his rib.
 
My fuses timed to charge his heart,
He blew like powder to the light
And held a little sabbath with the sun,
But when the stars, assuming shape,
Drew in his eyes the straws of sleep
He drowned his father’s magics in a dream.
 
All issue armoured, of the grave,
The redhaired cancer still alive,
The cataracted eyes that filmed their cloth;
Some dead undid their bushy jaws,
And bags of blood let out their flies;
He had by heart the Christ-cross-row of death.
 
Sleep navigates the tides of time;
The dry Sargasso of the tomb
Gives up its dead to such a working sea;
And sleep rolls mute above the beds
Where fishes’ food is fed the shades
Who periscope through flowers to the sky.
 
The hanged who lever from the limes
Ghostly propellers for their limbs,
The cypress lads who wither with the cock,
These, and the others in sleep’s acres,
Of dreaming men make moony suckers,
And snipe the fools of visions in the back.
 
When once the twilight screws were turned,
And mother milk was stiff as sand,
I sent my own ambassador to light;
By trick or chance he fell asleep
And conjured up a carcass shape
To rob me of my fluids in his heart.
 
Awake, my sleeper, to the sun,
A worker in the morning town,
And leave the poppied pickthank where he lies;
The fences of the light are down,
All but the briskest riders thrown
And worlds hang on the trees.
 
 
 
 
Quando le serrature del tramonto non rinchiusero
 
Quando le serrature del tramonto non rinchiusero
Più il lungo verme del mio dito
Né il maledetto mare che sfrecciò sul mio pugno,
La bocca del tempo succhiò, come una spugna,
L’acido lattico da ogni giuntura
E prosciugò completamente le acque del seno.
 
Quando il mare galattico fu risucchiato
E tutto l’arido fondale marino dischiuso,
Inviai la mia creatura a perlustrare il globo,
Quello stesso globo di capelli e ossa
Che, cucitomi addosso con nervi e cervello,
Aveva incordato la mia fiasca di materia alla sua costola.
 
Programmate le mie micce per innescargli il cuore,
Esplose come polvere pirica alla luce
E tenne un breve sabba con il sole,
Ma quando le stelle, prendendo forma,
Attirarono nei suoi occhi le paglie del sonno
Sommerse in un sogno gli incantesimi del padre.
 
Corazzato di ogni male, dalla tomba,
Il cancro dai capelli rossi ancora in vita,
Le cataratte agli occhi a velarne i tessuti;
Alcuni morti spalancarono le folte mascelle,
E fuoriuscirono mosche da sacchi di sangue;
Lui conosceva a memoria l’alfabeto cristico della morte.
 
Il sonno naviga per le correnti del tempo;
L’arido Sargasso della tomba
Abbandona i suoi morti in un mare così energico;
E il sonno scivola muto sopra i fondali
Dove il cibo dei pesci nutre le ombre
Che come periscopi floreali guardano al cielo.
 
Gli impiccati che dondolano dai tigli,
Spettrali agitatori dei loro arti,
I ragazzi dei cipressi che appassiscono con l’uccello,
Questi, e gli altri negli acri del sonno,
Trasformano sognatori in romantici perdenti
E sparano alle spalle dei folli visionari.
 
Una volta allentate le viti del tramonto
E il latte materno addensato come sabbia,
Inviai alla luce il mio personale ambasciatore;
Per scelta o per caso si addormentò
E prese forma di carcassa per
Derubarmi dei miei fluidi nel suo cuore.
 
Dèstati al sole, mio dormiente,
Lavoratore nel paese mattiniero,
E lascia l’adulatore tossico dove giace;
Le barriere della luce sono abbassate,
I più rapidi cavalieri si sono quasi slanciati
E i mondi pendono dagli alberi.
 
 
 
 
 
 
Today, this insect
 
Today, this insect, and the world I breathe,
Now that my symbols have outelbowed space,
Time at the city spectacles, and half
The dear, daft time I take to nudge the sentence,
In trust and tale have I divided sense,
Slapped down the guillotine, the blood-red double
Of head and tail made witnesses to this
Murder of Eden and green genesis.
 
The insect certain is the plague of fables.
 
This story’s monster has a serpent caul,
Blind in the coil scrams round the blazing outline,
Measures his own length on the garden wall
And breaks his shell in the last shocked beginning;
A crocodile before the chrysalis,
Before the fall from love the flying heartbone,
Winged like a sabbath ass this children’s piece
Uncredited blows Jericho on Eden.
 
The insect fable is the certain promise.
 
Death: death of Hamlet and the nightmare madmen,
An air-drawn windmill on a wooden horse,
John’s beast, Job’s patience, and the fibs of vision,
Greek in the Irish sea the ageless voice:
“Adam I love, my madmen’s love is endless,
No tell-tale lover has an end more certain,
All legends’ sweethearts on a tree of stories,
My cross of tales behind the fabulous curtain.”
 
 
 
 
Oggi inalo questo insetto
 
Oggi inalo questo insetto e il mondo,
Ora che i miei simboli hanno sgomitato nello spazio e
Nel tempo degli spettacoli urbani, e uso metà del dolce
Sciocco tempo per rinviare la condanna,
Tra fiducia e fiaba ho diviso il senso,
Schiaffeggiato la ghigliottina, reso testimone
Dell’assassinio dell’Eden e della verde genesi
Il sanguigno duo di testa e coda.
 
Questo insetto, certo, è il flagello delle favole.
 
Il mostro del racconto ha una membrana amniotica
Di serpe, cieco nelle spire fila via in un profilo ardente,
Misura la sua lunghezza sul muro del giardino
E spacca il suo involucro nell’ultimo traumatico inizio;
Un coccodrillo prima della crisalide,
L’osso volante del cuore prima della caduta dall’amore,
Alato come un asino di sabato questo gruppo di bambini
Senza fede svende Gerico per l’Eden.
 
La favola degli insetti è la promessa certa.
 
Morte: morte di Amleto e i pazzi da incubo,
Un mulino mosso dal vento presso un cavallo di legno,
La bestia di Giovanni, la pazienza di Giobbe e le frottole della visione,
Nel mare d’Irlanda l’eterna voce greca:
“Adamo io amo, l’amore dei miei pazzi è infinito,
Nessun amante cantastorie ha fine più certa,
Tutti gli innamorati del mito in un albero di storie,
Il mio crocifisso di fiabe dietro il sipario di favole.”
 
 
 
 
 
 
A saint about to fall
 
A saint about to fall,
The stained flats of heaven hit and razed
To the kissed kite hems of his shawl,
On the last street wave praised
The unwinding, song by rock,
Of the woven wall
Of his father’s house in the sands,
The vanishing of the musical ship-work and the chucked bells,
The wound-down cough of the blood-counting clock
Behind a face of hands,
On the angelic etna of the last whirring featherlands,
Wind-heeled foot in the hole of a fireball,
Hymned his shrivelling flock,
On the last rick’s tip by spilled wine-wells
Sang heaven hungry and the quick
Cut Christbread spitting vinegar and all
The mazes of his praise and envious tongue were worked in flames and shells.
 
Glory cracked like a flea.
The sun-leaved holy candlewoods
Drivelled down to one singeing tree
With a stub of black buds,
The sweet, fish-gilled boats bringing blood
Lurched through a scuttled sea
With a hold of leeches and straws,
Heaven fell with his fall and one crocked bell beat the left air.
 
O wake in me in my house in the mud
Of the crotch of the squawking shores,
Flicked from the carbolic city puzzle in a bed of sores
The scudding base of the familiar sky,
The lofty roots of the clouds.
From an odd room in a split house stare,
Milk in your mouth, at the sour floods
That bury the sweet street slowly, see
The skull of the earth is barbed with a war of burning brains and hair.
 
Strike in the time-bomb town,
Raise the live rafters of the eardrum,
Throw your fear a parcel of stone
Through the dark asylum,
Lapped among herods wail
As their blade marches in
That the eyes are already murdered,
The stocked heart is forced, and agony has another mouth to feed.
O wake to see, after a noble fall,
The old mud hatch again, the horrid
Woe drip from the dishrag hands and the pressed sponge of the forehead,
The breath draw back like a bolt through white oil
And a stranger enter like iron.
Cry joy that this witchlike midwife second
Bullies into rough seas you so gentle
And makes with a flick of the thumb and sun
A thundering bullring of your silent and girl-circled island.
 
 
 
 
Un santo in procinto di cadere
 
Un santo in procinto di cadere
– Le superfici macchiate del paradiso colpirono demolendo
I bordi del suo scialle triangolare a forma di bacio –
Sull’ultima onda stradale glorificò
La canzone che si dipana dalla roccia
Del muro intessuto
Della casa di suo padre nelle sabbie,
Il dissolversi della melodica attività navale e le campane abbandonate,
La tosse sedata di un orologio conta-sangue
Dietro una facciata di mani,
Sull’angelico Etna delle ultime vibranti terre piumate,
Con un piede alato nel cratere di un vulcano
Inneggiò al suo gregge morente di sete,
Sulla cima dell’ultimo pagliaio presso fonti di vino versato
Cantò la fame divina e il rapido
Taglio del pane di Cristo, sputando aceto e tutti
I labirinti della sua lingua di lode e d’invidia furono temprati tra fiamme e scudi.
 
La gloria scoppiò come una pulce.
I santi candelabri dalle foglie di sole
Delirarono per un albero bruciacchiato
Con un moncone di nere gemme;
Le dolci barche branchiate portatrici di sangue
Ondeggiarono su un mare frenetico
Con una manciata di sanguisughe e paglia,
Si schiantò il paradiso al suo schianto e una campana rotta gridò al vento.
 
Oh destati in me, nella mia casa, nel fango
Della biforcazione degli strepitanti lidi,
Allontanato dal caos catramoso di città in un letto di dolori
Il cardine delle nuvole rapide del cielo conosciuto,
Le eccelse radici delle nuvole.
Da una strana stanza in una casa crepata fisso,
Come latte nella tua bocca, i diluvi acidi
Seppellire lentamente la docile strada, vedo
Il teschio della terra cinto delle spine d’una guerra di cervelli roventi e capelli.
 
Scocca l’ora della città-bomba-a-orologeria,
Solleva le travi vive del timpano,
Lapida la tua paura
Nell’oscuro manicomio,
Avvolto tra i vagiti degli Erodi
Mentre avanza la loro lama
Ché gli occhi sono già assassinati,
Il cuore ricolmo è artefatto e la sofferenza ha un’altra bocca da sfamare.
Oh dèstati a vedere, dopo un nobile schianto,
L’antico fango schiudersi di nuovo, l’orrendo
Dolore sgocciolare dalle mani stracciate e dalla spugna strizzata della fronte,
Il respiro ritrarsi come un bullone col lubrificante
E uno straniero irrompere come ferro.
Tu, così mite, grida la gioia che questa levatrice-strega
Forza dentro il mare in tempesta
E trasforma, col movimento del pollice e del sole,
La tua isola circolare, femminile e silenziosa, in una tonante corrida.
 
 
 
 
 
 
Last night I dived my beggar arm
 
Last night I dived my beggar arm
Days deep in her breast that wore no heart
For me alone but only a rocked drum
Telling the heart I broke of a good habit
 
That her loving, unfriendly limbs
Would plunge my betrayal from sheet to sky
So the betrayed might learn in the sun beams
Of the death in a bed in another country.
 
 
 
 
Ieri notte ho tuffato per giorni il mio braccio
 
Ieri notte ho tuffato per giorni il mio braccio
Nel suo seno a elemosinare un cuore assente
Solo per me, un tamburo di pietra che
Raccontava al cuore privato delle sue sane abitudini
 
Che le sue dolci membra ostili avrebbero
Precipitato il mio tradimento dalle lenzuola al cielo,
Per far comprendere al tradito sotto i raggi del sole
Cosa sia la morte nel letto di un paese straniero.
 
 
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