Speciale Dylan Thomas: Visione e preghiera (a cura di Tommaso Di Dio)


Visione e preghiera, Dylan Thomas (Giometti & Antonello Editore, a cura di Tommaso Di Dio)

È da poco uscita con Giometti & Antonello Visione e preghiera, una selezione di quarantatre poesie di Dylan Thomas curata, tradotta e annotata da Tommaso Di Dio. I componimenti selezionati sono presentati al lettore in ordine cronologico abbracciando l’intera attività poetica dello scrittore gallese; dai versi della giovinezza e dei primi capolavori degli anni ‘30 (And death shall have no dominion / E la morte no, non sarà più sovrana), alle poesie di guerra (i calligrammi di Vision and prayer / Visione e preghiera del 1944, che dà il titolo a questa raccolta), fino ai vertici formali della maturità (Author’s prologue / Prologo dell’autore del 1954).

I temi, o per meglio dire, le ossessioni di Dylan Thomas, il passaggio reiterato dalla vita alla morte, della creazione e della distruzione, il processo ciclico e universale della natura, sono tutti rievocati e rivisitati pagina dopo pagina:

The force that through the green fuse drives the flower
Drives my green age; that blasts the roots of trees
Is my destroyer.

La forza che attraverso il verde innesco guida il fiore
guida la mia verde età; quella che esplode la radice degli alberi
è il mio distruttore.

Così come in ogni strofa, la poesia si rianima al ritmo incessante della parola che precede ogni struttura metrica e che, nel suo lavoro di infaticabile artigiano, l’autore forgia attraverso le vibrazioni della carne:

And from the cloudy bases of the breath
The word flowed up, translating to the heart
First characters of birth and death.

e dai nebulosi basamenti del respiro
la parola fluì, in alto, traducendo al cuore
i primi caratteri della nascita e della morte.

Non è cosa da poco leggere Dylan Thomas, farlo ad alta voce, come lui faceva con sé stesso nei suoi “reading tour” in America nei primi anni ‘50. Impresa ardua è certamente tradurlo e accompagnare il lettore in quel laborioso viaggio agli albori delle “forme del suono”, dei “colori delle parole”, delle “schiere di immagini” da dove la sua poesia prendeva corpo.

Proprio per questo ancora più necessario incontrare di nuovo oggi la voce visionaria e pulsante di chi scriveva per amore dell’uomo e in lode di Dio.

The gentle seaslides of saying I must undo
That all the charmingly drowned arise to cockcrow and kill.

Io devo disfare l’amabile scivolo marino del dire
affinché tutti gli annegati per incanto risorgano per far cantare il gallo e uccidere.

Andrea Carloni

 
 

Per approndire l’operazione di Visione e preghiera abbiamo intervistato il curatore Tommaso Di Dio.

Andrea Carloni: Quali criteri hai voluto considerare per la selezione delle poesie da includere in questa raccolta?

Tommaso Di Dio: Sono partito dal desiderio di rappresentare la difficile situazione di Thomas durante gli anni della Seconda guerra mondiale, che mi pareva particolarmente rappresenta non solo dalle straordinarie poesie sulle vittime dei bombardamenti nazisti su Londra, ma anche – e forse soprattutto – dal poemetto Vision and prayer (1944), scritto proprio nell’attesa e nella speranza di una pace ritrovata, non solo dall’orrore delle armi. Una volta tradotto tutto ciò che il poeta aveva scritto in quegli anni, ho però sentito l’esigenza di costruire un percorso diverso. In Italia infatti si sono sempre privilegiate – e giustamente – le raccolte d’autore, con un’enfasi molto forte sul materiale che Thomas aveva deciso di pubblicare in vita; era interessante, a mio avviso, una raccolta che facesse qualcosa di diverso: raccontasse lo sviluppo cronologico dello stile di Thomas, dai manoscritti giovanili alle poesie sinfoniche e pastorali degli ultimi anni. Per questo, ho aggiunto al nucleo iniziale di poesie scelte fra il 1939-1945, alcune poesie particolarmente significative legate agli anni precedenti e a quelle successive: ho cercato di concepire il libro come una sorta di diario dello stile e della vita di Thomas, grazie al quale il lettore può cogliere la grande varietà di forme che il poeta ha esplorato lungo la sua vita, la sua costante evoluzione, il suo desiderio di non arrestarsi mai in una sola forma, pur all’interno di una coerenza straordinaria di temi e motivi, che accompagnano tutto l’arco cronologico della sua vita.

 

AC: In che modo il processo di scrittura poetica di Dylan Thomas, basato su un assiduo esercizio della materia linguistica, si è riflettuto sul tuo lavoro di traduzione?

TDD: Tradurre Dylan Thomas è una sfida immensa, che mette in movimento ogni piano della lingua. Non c’è un punto del suo stile che non faccia tremare tutto il sistema dell’italiano. Il tentativo è stato quello di non cercare facili omologie né equivalenze, ma cercare di essere ossessivamente letterali senza nessun feticismo alla lettera di un supposto originale: sondare insomma quelle “superfici di iconicità” (come si esprimeva Antoine Berman) che ogni lingua evoca per provare a trasferirle nella propria, ben sapendo che ogni traduzione è un’interpretazione che parte immedicabilmente dai fantasmi stilistici del traduttore stesso. Si è, per paradosso, più autentici – come scriveva Vittorio Sereni – traducendo l’eco che quei testi hanno prodotto dentro di sé, facendo lavorare quel suono con ciò che si è divenuti grazie a quei testi, piuttosto che invocare una fallace autorità dell’originale. In questo senso, ho cercato di dare vita a un lingua poetica che fosse soprattutto una “lingua di poesia contemporanea” e che potesse stare con potenza sonora e capacità di incatenare alla dizione – insomma con desiderio – sulle labbra di chi oggi la pronunci. In questo sì, sento di aver tentato una fedeltà all’eredità di Thomas.

 

AC: Quale eredità pensi che le opere di Thomas possano lasciare ai giovani poeti e artisti di oggi?

TDD: Difficile dirlo. Lo diranno senz’altro i lettori, meglio di me. Posso soltanto suggerire che ciò che mi sembra più contemporaneo in Thomas – proprio perché non è attuale –, cioè ciò che mi sembra agire sul nostro tempo in maniera attiva, perfino aggressiva, è senza dubbio la radicale prossimità che abita ogni suo verso fra corpo, materia, lavorìo artigianale e realismo brutale, da una parte, e dall’altra spirito acustico, libertà formale, visionarietà assoluta. È un matrimonio rarissimo nella nostra poesia che di solito ha spartito questa tradizione in due rami in conflitto: il materialismo e l’ossessivo lavorio linguistico sulle forme è stato appannaggio della cosiddetta poesia di ricerca, mentre alla poesia cosiddetta lirica sarebbe andato tutta l’eredità dela dimensione visionaria e della libertà formale. In Thomas, troviamo invece un esempio mirabile di sintesi fra forma e visione, fra mistica e radicamento nel corpo del linguaggio: mi sembra uno spunto preziosissimo per indicare una strada, ancora, credo, fertile di scritture a venire.

 
 
Alcuni testi dal volume, per gentile concessione:
 
 
When you have ground
 
When you have ground such beauty down to dust
As flies before the breath
And, at the touch, trembles with lover’s fever,
Or sundered it to look the closer,
Magnified and made immense
At one side’s loss,
Turn inside out, and see at glance
Wisdom is folly, love is not,
Sense can maim it, wisdom mar it,
Folly purify and make it true.
For folly was
When wisdom lay not in the soul
But in the body of the trees and stones,
Was when sense found a way to them
Growing on hills or shining under water.
Come wise in foolishness,
Go silly and be Christ’s good brother,
He whose lovers were both wise and sensible
When folly stirred, warm in the foolish heart.
 
 
 
 
Quando avrai macinato
 
Quando avrai macinato questa bellezza fino alla polvere
non appena volteggia davanti al respiro
e, a toccarla, trema della febbre degli amanti
o l’avrai sezionata per guardarla più vicina
e l’avrai magnificata e resa immensa
perdendone una parte,
rovésciati e a colpo d’occhio guarda
la saggezza è follia, l’amore no,
la ragione non può che menomarlo, la saggezza sfregiarlo,
la follia lo purifica e lo rende vero.
Perché la follia è stata
quando ancora la saggezza non giaceva nell’anima
ma nel corpo degli alberi e delle pietre,
è stata, quando la ragione trovò fino a loro la propria via
mentre crescevano sulle colline o brillavano sotto le acque.
Diventa saggio nella follia,
vai ad ammattire e sii un buon fratello di Cristo
i cui amanti erano saggi e sensibili
quando la follia si svegliava, calda nello stupido cuore.
 
 
 
 
 
 
The hand that signed the paper
 
The hand that signed the paper felled a city;
Five sovereign fingers taxed the breath,
Doubled the globe of dead and halved a country;
These five kings did a king to death.
 
The mighty hand leads to a sloping shoulder,
The finger joints are cramped with chalk;
A goose’s quill has put an end to murder
That put an end to talk.
 
The hand that signed the treaty bred a fever,
And famine grew, and locusts came;
Great is the hand that holds dominion over
Man by a scribbled name.
 
The five kings count the dead but do not soften
The crusted wound nor pat the brow;
A hand rules pity as a hand rules heaven;
Hands have no tears to flow.
 
 
 
 
La mano che ha firmato la carta
 
La mano che ha firmato la carta ha devastato una città;
cinque dita sovrane hanno tassato il respiro,
raddoppiato il globo dei morti e dimezzato il paese;
questi cinque re hanno ucciso un re.
 
La possente mano conduce ad una spalla cadente,
le articolazioni delle dita sono un crampo di gesso;
una penna d’oca ha dato fine all’omicidio
che ha dato fine alle parole.
 
La mano che ha firmato il trattato generò una febbre
e la carestia crebbe e le locuste vennero; gigante
è la mano che trattiene sovrana
l’uomo per un nome scarabocchiato.
 
I cinque re contano il re morto ma non ammorbidiscono
le croste della ferita né accarezzano la sua fronte;
una mano governa la pietà come una mano governa il cielo;
le mani non hanno lacrime.
 
 
 
 
 
 
Where once the waters of your face
 
Where once the waters of your face
Spun to my screws, your dry ghost blows,
The dead turns up its eye;
Where once the mermen through your ice
Pushed up their hair, the dry wind steers
Through salt and root and roe.
 
Where once your green knots sank their splice
Into the tided cord, there goes
The green unraveller,
His scissors oiled, his knife hung loose
To cut the channels at their source
And lay the wet fruits low.
 
Invisible, your clocking tides
Break on the lovebeds of the weeds;
The weed of love’s left dry;
There round about your stones the shades
Of children go who, from their voids,
Cry to the dolphined sea.
 
Dry as a tomb, your coloured lids
Shall not be latched while magic glides
Sage on the earth and sky;
There shall be corals in your beds,
There shall be serpents in your tides,
Till all our sea-faiths die.
 
 
 
 
Dove una volta le acque della tua faccia
 
Dove una volta le acque della tua faccia
si avvitarono alle mie viti, il tuo essiccato fantasma respira
e il morto apre gli occhi;
dove una volta i tritoni attraverso il tuo ghiaccio
spinsero in alto le loro chiome, il vento secco sterza
attraverso la radice, il sale, le uova del mare.
 
Dove una volta i tuoi verdi nodi affondarono la loro giuntura
nella corda della marea, lì va
il verde sbrogliamatasse e vanno
le sue forbici oliate, il suo floscio coltello
a tagliare i canali alla loro sorgente
e stendere i frutti umidi sulla terra.
 
Invisibili, le tue maree a orologeria
irrompono sul letto d’amore delle alghe;
l’alga dell’amore è lasciata a secco e là
intorno alle tue pietre, le ombre
dei bambini procedono dal loro vuoto urlanti
al mare dei delfini.
 
Secche come una tomba, le tue palpebre colorate
non saranno inchiavardate mai mentre la magia scivola via
saggia per la terra e per il cielo;
ci saranno coralli nei tuoi letti,
ci saranno serpenti nelle tue maree,
finché saranno sterminati tutti i nostri oceanici destini.
 
 
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