Orazio

Orazio
 
 
Exegi monumentum aere perennius
regalique situ pyramidum altius,
quod non imber edax, non Aquilo impotens
possit diruere aut innumerabilis
annorum series et fuga temporum.
Non omnis moriar multaque pars mei
vitabit Libitinam: usque ego postera
crescam laude recens, dum Capitolium
scandet cum tacita virgine Pontifex.
Dicar qua violens obstrepit Aufidus
et qua pauper aquae Daunus agrestium
regnavit populorum, ex humili potens,
princeps Aeolium carmen ad Italos
deduxisse modos. Sume superbiam
quaesitam meritis et mihi Delphica
lauro cinge volens, Melpomene, comam.
 
 
 
 
 
 
Ho eretto un monumento eterno, più del bronzo,
più alto delle piramidi dei faraoni,
che non potrà distruggere la pioggia corrosiva,
il burrascoso vento del nord, gli anni che fuggono
infiniti nel tempo.
Non morirò del tutto e non avrà funerali
molta parte di me. Crescerò ancora, io,
dentro il cuore dei posteri, mentre sul Campidoglio
salirà con le vergini vestali, silenziose,
il grande sacerdote.
Diranno che dove Ofanto scroscia impetuoso,
dove Dauno regnò su gente di aride terre,
ho portato per primo, dal basso, il canto greco
nei ritmi dell’Italia. Canta orgogliosa i meriti
che ti sei guadagnata e, se vuoi, Melpomene,
coronami d’alloro.
 
 
Traduzione di Francesco Gulic