Autopsia (reiterata) – Dario Talarico

Può un libro di versi, al giorno d’oggi, condurre coloro i quali ne leggeranno a disarticolarsi, indagandosi il più aspramente possibile durante la lettura? Ebbene, a questa e altre domande correlate rispondere non è mai facile, tanto meno immediato. Come subitanea non è la lettura di un libro del genere – per lo meno per chi ha avuto tanta fortuna da trovarsene uno fra le mani, di carezzarne il dorso con curiosità e impiegare mesi e mesi senza poterne mai concludere la lettura con piena soddisfazione. Dal momento che il bisogno di cominciare a rileggerlo, un libro del suddetto calibro, diventa tanto impellente quanto più inopinatamente si è stati crettati da ogni singola pagina letta in precedenza. Ci vuole coraggio per non lasciare il segno, eppure ce ne vuole ancora di più per lasciarlo, un segno, soprattutto se le intenzioni di un autore coincidono – per contrasto e a suon di paradossi – con la volontà di non aspettarsi che un segno, se non quello letteralmente tracciato sulla pagina, possa essere tracciato.

Un dissidio inusitato tratteggia i componimenti de Il coraggio di non lasciare il segno (Puntoacapo), libro licenziato da Dario Talarico nel 2019, la cui sezione centrale coincide con una parte di Autopsia (reiterata). Poema logico-filosofico (Puntoacapo, collana Altre Scritture, postfazione di Alessandro Pertosa, 2022), ch’al tempo era ancora in gestazione. Quest’ultimo libro di versi di Talarico (classe 1990), successivamente pubblicato nel 2022, consolida la direzione in cui già procedeva la ricerca del Nostro giovane poeta romano. Costantemente in bilico fra il taglio aforistico-proverbiale e l’andatura tipica del sillogismo o della sentenza, le poesie di Dario Talarico sono tutt’altro che copiose di aggettivi. Non sono ostruite da orpelli poiché l’alter ego del poeta, l’anatomopatologo, il quale è il protagonista allegorico del libro, effettua costantemente delle analisi, ovvero delle autopsie, sul corpo del testo, finendo inevitabilmente per scavarlo e riducendo all’osso la versificazione. L’indagine sul ‘cadavere’ letterario – ch’è pure un’indagine psicologica compiuta dentro sé soprattutto proseguendo a ritroso –, s’accartoccia quando l’anatomopatologo intuisce d’esserne il principale responsabile oltreché l’artefice:

cxx.
 
Ora il morto che guardi da morto sei tu.
Aspetta fino a dimenticare, e pubblica
solo ciò che non ti appartiene: scrivere
è soltanto affare – di chi sa cancellare.

Colpisce la chiusa di questo frammento – peraltro forma predominante del libro, che alle volte presenta e/o assembla uno o più distici –, chiusa che induce a meditare sulla felice tradizione aforistica italiana (e non solo – si pensi a Karl Kraus, a Cioran oppure a Ramón Gómez de la Serna). Dunque, ciò che cattura l’attenzione di chi scrive cade sulla plausibilità dell’errore che sottende al paradosso dello scrivente; ovvero all’ipotesi che la scrittura sia affare di chi è capace di cancellare e dunque di chi riesce a operare su di sé, come l’anatomopatologo, in maniera anche abbastanza spietata, finendo così per ‘cancellarsi’ nel tentativo di riscrivere sempre per sottrazione. Difatti, in punta di verso, sia nel terzo che nel quarto verso del frammento cxx., i verbi sono «scrivere» e «cancellare», che in tal modo appaiono visivamente in primo piano. Ad ogni modo, nella consapevolezza della suddetta plausibilità risiede probabilmente non solo la logica e lucida capacità d’analisi dimostrata dal poeta, bensì una sorta di freudiana coazione a ripetere, come se il poeta stesso esistesse «solo in quanto cancellazione di se stesso»1.

In sostanza, il percorso poetico tanto acre quanto obliquo imbastito dalla penna di Talarico disseziona il linguaggio evidenziandone le contraddizioni e soffermandosi sulla multi-testualità, ma osservando sempre la reiterazione. Trattasi d’una pratica che permette di somministrare al potenziale lettore quei tre referti del reale, a loro volta rigurgitati da ogni sezione antecedente la Diagnosi, sezione conclusiva di questo volume circolare tutto proteso a coniugare due mondi tanto distanti quali sono poesia e filosofia.

Autopsia (reiterata), in quanto poema logico-filosofico (così recita il sottotitolo), scacchia il sottobosco della poesia contemporanea, permettendo al suo autore di inoltrarsi con la sua opera al di là di esso, con la sola compagnia di tutta la disciplina che ne caratterizza l’essenza (e l’essenzialità), al fine di svelare e disvelarsi in una plaga del tutto priva di giudizi. Serbando un contegno spirituale, mistico a tratti, che ci permette di rintracciare delle considerazioni circa un presunto superamento del paradosso considerando una sorta di coniunctio oppositorum.

Ecco, dunque, come Talarico ha dato prova di lungimiranti e arditi versi di taglio aforistico poiché alcune delle ragioni che ne puntellano il carisma sono state rapidamente sovraesposte, ma bene analizzate dal postfatore del libro, Alessandro Pertosa. Oltretutto, si consideri un dato non trascurabile: la versificazione, scandita – diremmo sezionata – dalla punteggiatura (trattasi soprattutto di lineette e punti fermi), architetta la cadenza dei versi, suturandone sì la struttura, ma calibrando le possibili variazioni del medesimo percorso di lettura, viziato dalla reintroduzione del dubbio ivi inteso come sonda. L’anatomopatologo-poeta, senza compiacersi della sua consapevolezza, propende per l’opinione secondo la quale lo strazio del poeta è «il paradosso – di chi scrive sapendo / che non c’è libro che valga un albero» (Referto numero 3, cvi., p. 74).

Una investigazione retrospettiva sul linguaggio, sulla verità e sulla falsità delle cose e dell’universo, un invito a riappropriarsi del silenzio, queste le impressioni che in sintesi regalano le poesie di Dario Talarico, al quale auguro di continuare a giocare responsabilmente a questa seria partita che è la scrittura, benché «costretto – suo malgrado – a uscire dall’ombra» (Pertosa, cit. a p. 95).

Vernalda Di Tanna

 
 
 
 
x.
 
Sappilo serenamente: non è scapandosi
al qualcosa che si diviene tutto totalmente.
Ma sottraendo vero al vero, acqua all’acqua,
pelle alla pelle. — Siine consapevole:
vivere — è coincidere col niente.
 
 
 
 
 
 
xxii.
 
Non esistono turisti della verità.
Quando tu cerchi la verità, la verità non c’è.
Quando trovi la verità, tu non ci sei.
 
 
 
 
 
 
lxix.
 
La poesia in sé è amore della sconfitta.
Perché ciò che necessita di uno sguardo
per essere è fittizio. Perché ciò che parla
solo a un altro se stesso — è già estinto.
 
 
 
 
 
 
lxxii.
 
Non cercare il falso sul rovescio della verità:
il falso non è il suo contrario, ma una sua affinità.
 
 
 
 
 
 
cx.
 
La pace è il principio di tutte le guerre.
— Presta attenzione alla quiete: —
l’uomo che non è costretto a pensare
a come salvarsi la vita, si costringe
in pensieri — che la distruggono.
 
 
Leggi anche Autopsia (reiterata) – Dario Talarico, una recensione di Federico Migliorati
 
 

 
 
 
 

1 Riccardo Emmolo, Memoria e cecità: come Gesualdo finì dietro le quinte, in Gesualdo Bufalino e la scrittura felice, A. Sichera, (a cura di), Ragusa, EdiArgo, 2006, cit. a p. 75.