Nove, Carlo Selan (Edizioni volatili 2020, collana Cervi volanti, a cura di Giorgiomaria Cornelio e Giuditta Chiaraluce, partiture visive di Giuditta Chiaraluce).
Sarebbe gioco facile appoggiare questo esile ma raffinatissimo libello di Carlo Selan ad analisi numerologiche o derivazioni filosofiche. Al di là, ovviamente, dei debiti poetici già ampiamente dichiarati fra le pagine. Nove, tre alla seconda, ovvero tre per tre. Numero che simboleggia la perfezione, ribadito nel cristianesimo dall’idea di trinità. Ma anche una struttura dialogica che vuole i testi dell’autore appoggiarsi ai versi del maestro Mario Benedetti. Il ricordo non può che andare ai dialoghi platonici. Non che tutto questo non sia presente e costitutivo della poesia, giovanissima, di Selan, ma rischia di portare l’analisi a un livello troppo superficiale rispetto ai meriti della stessa.
Carlo Selan è un ragazzo di 24 anni (di lui ci eravamo già occupati, per un suo precedente edito, qui), età che a pensarla fa venire i brividi per gli esiti e la strutturazione della ricerca, che conosco da alcuni anni e che ho fortemente voluto ne Una Scontrosa Grazia accanto a Mario Famularo e Federico Rossignoli. Autore giovanissimo, lo ribadisco, che riporta in superficie il dibattito sul valore dell’età in poesia alcuni giorni fa discusso, tra gli altri, da Marco Amore su facebook.
Personalmente sono convinto che la poesia si nutra di esperienza, di vita vissuta e non possa prescinderne. Pur non potendo negare alcuni astri luminosissimi che talvolta appaiono nell’ambito letterario. Che Carlo sia o non sia uno di questi astri non importa, lo dirà il tempo, ma in Nove sottolinea un aspetto in qualche modo risolutivo all’interno di tale dibattito.
Claudia Crocco: Sembra che ti stiano molto a cuore questioni epistemologiche. Un problema è l’incertezza dell’esistenza delle cose, che per esistere realmente hanno bisogno di essere ricordate, quasi incise, attraverso una continua rimodulazione verbale: è quanto accade spesso in Umana gloria.
Mario Benedetti: Sì, è così. È tutto molto provvisorio in maniera forte, è così pregnante la parola «provvisorio» per me. È così tutto. Forse anche perché mi sembra di aver vissuto epoche diverse. Sono nato in un Friuli molto arcaico, arretratissimo; ho sentito molto la trasformazione della società, del paesaggio – che era tutto per me, allora. Molte volte sono andato via da diversi luoghi, ma lì è davvero cambiato tutto. Qualche anno dopo il terremoto si sono modificati il torrente, le case, la gente. Già gli uomini della generazione precedente la mia avevano i loro ricordi; ma io ne ho molti di più, perché ho filtrato i ricordi di mio padre, più tutta la mia vita, attraverso la cultura «libresca». L’idea del tempo storico viene quando hai un po’ di cultura; mia madre non ne aveva, né mio padre. Nella mia prospettiva tante cose non sono solo guardate (perché anche mio padre guardava le stelle), ma rimodulate da scienziati, da poeti. Poiché tutta l’esperienza umana è per definizione provvisoria, quel che si può fare è cercare di testimoniarne piccole parti.
Tale è l’incipit di Nove, che riprende un’intervista di Claudia Crocco a Mario Benedetti apparsa su Materiali di un’identità (Transeuropa 2010) e che spiega importanza e valore dell’esperienza. Le cose guardate oggi non sono più solo guardate ma rimodulate da scienziati e poeti. L’esperienza di un ragazzo di 24 anni, che affonda le sue giornate nello studio, non è più solo un’esperienza privata ma collettiva, sunto di diverse esperienze e che quindi porta in sé un bagaglio molto più ampio di quello che, da solo, potrebbe.
Tale prospettiva risolve il nodo della giovinezza e spiega anche la mediocrità di alcuni esiti di autori ben più anziani. Perché l’esperienza e la capacità di rimodularla diventa chiave di volta e strutturazione della propria identità.
Ma Carlo Selan resta un ragazzo di 24 anni che si approccia a un testo che va a capo, con la consapevolezza dell’esistenza imponente dei maestri, e soprattutto di un maestro (Benedetti). Ecco allora che trovo ancor più pregevole e valido l’approccio dialogico che nel libello diventa un’architettura precisa:
Quattro dei componimenti di questa plaquette sono strutturati in modo tale da far dialogare parti testuali differenti: una formata da stralci di poesie di Mario Benedetti contenute in Umana gloria, l’altra costituita da materiali scritti da me […] Altri quattro componimenti sono liberi esperimenti di googolism incentrati sul tema del paesaggio […] Un componimento è una riscrittura parola per parola della poesia Dedica di Mario Benedetti.
Il dialogo immaginario col maestro, l’appoggiarsi allo scoglio sicuro dello stesso, appare non solo come un apprezzabile atto d’umiltà e omaggio, ma anche base ferma per affrontare il tema dell’esperienza, che altro non è che uno stare al mondo.
La poesia questo fa, dice come si sta al mondo. E Selan ne scrive scorporando il semplice fare esperienza in un comprendere, ricordare, capire e interpretare l’esperienza. Affrontando purtroppo la provvisorietà della medesima e di se stessi. Tale provvisorietà (tema che apprezzo particolarmente) non diventa motivo d’angoscia ma di testimonianza, con non rari accenni di tenerezza.
Le cose capitano, si smarriscono, non trovano da dirsi eppure sono, anche se la domanda sottesa è restano? Una poesia solida eppure leggera, definita dall’esperienza a cui tende senza supponenza, senza conclusione, che appare bellamente sferzante anche quando non lo vuole essere. Come in chiusa: Siete bravi nei giochi di memoria | visiva? Riuscite anche a parcheggiare | sempre la vostra auto dove vorreste?.
Alessandro Canzian
Allora, il tempo della vita dopo. Allora.
Eri lì o una di queste sere. Ma ci vuole affetto
per parlare, dell’affetto per scrivere.
Cose fuori pagina, che si vivono e basta.
Pensieri. E comunque, stai bene? Hai
studiato? Come passano gli anni,
vedi, come passano gli anni
e i tuoi sono ancora pochi. E il volere
che non si parli più, non si scriva più
per andare a capo. Una sola voce lontana…,
quando sarò non presente a me…
Solo offuscati… e piano piano andarcene…
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