Il demone mediatore nel De mysteriis di Giamblico


 

Sulla scorta del precedente articolo (QUI), in cui abbiamo presentato la teoria del demone mediatore in Plutarco e Apuleio, proseguiamo il percorso di scoperta di questa singolare figura attraverso l’opera di Giamblico di Calcide, interessante e complesso intellettuale e scrittore di un’epoca altrettanto sfaccettata e affascinante, la tarda antichità.

Il siriaco Giamblico, vissuto tra il 250 e il 325 d. c. circa, scrittore e filosofo appartenente al filone neoplatonico, fu un pensatore profondo e innovativo, capace di conciliare speculazioni metafisiche rigorose con il misticismo religioso di tradizione pagana. Maestro in una scuola filosofica ad Apamea, dall’età tardoantica al Rinascimento godette di una notevole fama, dovuta senza dubbio alla sua attività di commentatore dei dialoghi di Platone, come pure alla sua vasta produzione originale: una Vita pitagorica, un trattato Sulle statue e l’epistola I misteri degli Egiziani, che sarà oggetto di considerazione in questa sede. Il titolo dell’opera proviene dalla traduzione dell’umanista Marsilio Ficino, denominata De mysteriis Aegyptiorum Chaldaeorum Assyriorum. In realtà il titolo originario, tradotto dal greco, è Risposta ad Abammone, suo maestro, alla lettera inviata da Porfirio ad Anebo, e spiegazione delle questioni che essa pone. Si tratta quindi di un’epistola dal contenuto filosofico, volta ad argomentare uno scritto di Porfirio di Tiro, noto pensatore neoplatonico contemporaneo di Giamblico. Oggi si ritiene comunemente che Abammone, il presunto autore del De mysteriis, sia uno pseudonimo dello stesso Giamblico. Il fatto che Porfirio non sia al corrente della risposta alla sua Lettera ad Anebo permetterebbe di datare il De mysteriis ad un momento successivo alla sua morte, avvenuta nel 303. Alla luce della tradizione platonica antecedente e contemporanea, degli Oracoli caldaici e degli scritti ermetici, nei dieci libri che compongono la sua opera Giamblico affronta i seguenti argomenti: la conoscenza del divino in generale; le manifestazioni e gli influssi di dei, demoni ed eroi; l’arte divinatoria; il culto degli dei; la causa prima, l’astrologia e il libero arbitrio; il demone protettore dell’uomo; il destino; la felicità.

Esamineremo ora nel dettaglio la figura ed il ruolo del daimon mediatore nel De mysteriis. Per comodità seguiremo la suddivisione del trattato in dieci libri, senza dimenticare che, in quanto risposta all’epistola suddetta, la sequenza delle questioni proposte è determinata da Porfirio. Passeremo in rassegna solo i primi sei libri, in quanto la figura del demone mediatore è pressoché assente negli altri, sostituita dalla crescente attenzione al rapporto tra enti superiori e fato, in relazione alla discussione sul demone protettore del libro nono.

Fin dal libro primo ci si rende facilmente conto che, in conformità con la tradizione, demoni ed eroi sono considerati “medietà” tra le due estremità dei – anime. Gli eroi, pur superiori alle anime per potenza e virtù, sono comunque affini ad esse. I demoni sono inferiori agli dei, li seguono come servi del loro buon volere e ne manifestano l’invisibile bontà. Esprimono quanto di essi è inesprimibile, riducendo a parole esplicite quello che è al di sopra di ogni parola; ricevono la partecipazione al bene e la trasmettono ai generi inferiori. In sostanza, quindi, se nella sfera del trascendente ha luogo la desemantizzazione del linguaggio, l’opera mediatrice del daimon è in grado di risemantizzarlo.

Questi generi intermedi, prosegue l’autore, costituiscono il legame del divino con le anime, effettuano un intreccio indissolubile e una indivisibile comunione di tutte le cose; fanno avanzare la processione degli esseri migliori verso quelli inferiori e una risalita dei più deboli verso i primi.

Un contributo innovativo del nostro autore rispetto alla tradizione precedente consiste nell’affermare che tutti generi superiori (compresi i demoni e l’anima) sono esenti da passione e mutamento. La teoria di Eros mediatore formulata nel Simposio di Platone implicava uno status di medietà morale, poi compiutamente formulato nell’Epinomide, per cui il daimon si trovava a prender parte alle passioni umane; questa caratteristica era stata data per certa da medioplatonici come Plutarco e Apuleio e, lo stesso Plotino non l’aveva contestata. Quale può essere ora la ragione che induce Giamblico a prendere così vistosamente le distanze da predecessori tanto illustri, e a considerare il demone impassibile al pari di un dio? La motivazione di fondo la fornisce egli stesso poco più avanti: sarebbe inammissibile che una parte del culto venga rivolta a dei e a demoni sottoposti a passione. La teoria dell’impassibilità del demonico è adottata per ribadire l’incontestabile supremazia dello spirituale sul materiale, e nel contempo, in funzione di un’apologia della pratica cultuale pagana, che non potrebbe realizzarsi per mezzo di entità corruttibili.

Nel secondo libro, dedicato alle epifanie degli esseri divini, l’autore espone una complessa gerarchia del sovrasensibile: dei, arcangeli, angeli, demoni, arconti, eroi, anime. Qui i daimones si trovano di nuovo, non a caso, nel mezzo. È facile comprendere come questa vasta tipologia di enti determini un’incipiente difficoltà a distinguerne connotati e peculiarità, come hanno giustamente rilevato gli studiosi. Giamblico arriva a postulare una stratificazione del demonico, distinguendo il daimon propriamente detto dall’eroe, caratteristico della tradizione greca, e dall’arconte, che compare soprattutto in testi giudaici e gnostici.

Il terzo libro è dedicato nella sua interezza alla trattazione sull’arte mantica, denominata opera divina. È a proposito della divinazione che si realizza per arte umana, quella che, secondo Platone nel Fedro, si attua per mezzo dei segni, che Giamblico introduce in questa sezione la figura del daimon, presentando metodi divinatori tradizionali come l’analisi delle viscere, l’interpretazione del volo degli uccelli e dei movimenti astrali. Infatti, scrive l’autore, gli dei, servendosi di molti intermediari come strumenti, inviano i loro segni agli uomini; a tal fine essi impiegano i servigi dei demoni, delle anime, di tutta la natura e di tutti i fenomeni del mondo che obbediscono loro.

Nel libro quarto il Calcidese evidenzia una particolare mansione delle classi intermedie, che potremmo definire burocratico-amministrativa: esse hanno ricevuto in sorte il dovere di controllare il giudizio, consigliano su quanto si deve fare e su ciò da cui ci si deve astenere, contribuiscono alle opere giuste e impediscono quelle ingiuste. Oltre a una certa somiglianza con il daimonion socratico, che era solito dissuadere il celebre filosofo dal commettere azioni indegne, questa rigida ripartizione delle funzioni riporta alla mente la possibile similitudine tra le entità demoniche giamblichee e l’apparato amministrativo dell’Impero di Diocleziano, in un’età in cui la sempre crescente distanza del potere dall’umano richiede una moltiplicazione degli incarichi di raccordo.

I libri quinto e sesto (che in questa sede prenderemo in esame unitamente, a ragione di una particolare affinità e continuità tematica) hanno per oggetto, rispettivamente, sacrifici e preghiere e prescrizioni religiose e atti di rito. Il sacrificio perfetto, puntualizza il nostro autore, muove tutte le cause, quelle unite ai corpi, come i daimones, e quelle ad essi superiori, come gli dei. La collocazione dei demoni al livello mediano, precedente il grado infimo dell’umano, è alla radice della loro impossibilità di dipendere dalle offerte materiali: ogni essere ricava il suo nutrimento e la sua perfezione da quello da cui ha tratto origine, perciò non possono essere i nostri sacrifici a nutrire i demoni buoni. Vi è qui una netta presa di distanza dalla teoria delle esalazioni terrestri che avrebbero costituito il nutrimento dei demoni, precetto di origine pitagorica, poi ripreso dall’Antica Accademia e dagli stoici. Il riferimento ai daimones compare qui anche a proposito di quelle potenze intermedie che reggono i beni mediani, alle quali vanno accordati doni mediani; è infatti fondamentale che ogni classe abbia ciò che le spetta, poiché la presenza degli dei suscitata dal sacrificio è preceduta da tutti gli alti enti in schiera ordinata, e una sola omissione è sufficiente a sconvolgere la totalità. In ultimo ci si sofferma sul rapporto tra demone e animale nella divinazione; questa mantica può avvalersi dell’anima dell’animale ucciso in qualità di intermediaria: infatti essa è affine tanto agli uomini quanto ai demoni. Come di consueto, lo status di intermediario deriva da una somiglianza con due diverse nature; l’anima dell’animale fornisce così un legame comune tra demoni e uomini nella prassi divinatoria.

Tentiamo ora di trarre qualche nota conclusiva riguardo la nozione di demone mediatore nel De mysteriis. L’esposizione demonologica di Giamblico si inserisce appieno nel filone di pensiero inaugurato dal Simposio, che descrive Eros demone mediatore tra il divino e l’umano, connesso con la mantica e le pratiche sacrificali, al fine di garantire la partecipazione degli dei nel mondo senza porre in dubbio la loro trascendenza. Nel contempo, la figura del daimon nell’opera del Calcidese diviene massima espressione della gerarchia metafisica neoplatonica, strutturata sull’assiduo ricorso alle mediazioni dialettiche. Una accresciuta importanza delle funzioni di intermediario trova un probabile riscontro nell’attualità storica, l’età di Diocleziano, contraddistinta dall’imperante astrazione del potere sommo, in una realtà mondana che individua nella conoscenza degli dei l’unica felicità possibile; una felicità realizzabile, data la rigida stratificazione del sovrasensibile, solo grazie all’operato degli enti intermedi. Distanziandosi inoltre da quella concezione di “medietà morale” che aveva caratterizzato la tradizione precedente, Giamblico ci consegna l’immagine di un daimon intermediario impassibile, incorruttibile e del tutto libero da necessità di ordine materiale, dall’indiscussa natura benevola, nella ferma convinzione dell’estraneità degli dei al male.