Un nuovo modo di presentare libri e poeti. Abbiamo chiesto ad alcuni amici di ritornare sui loro editi non per raccontarli ma per stroncarli, per ammetterne e dichiararne le debolezze, i difetti. Nasce così la rubrica Riletture che ha come focus appunto la rivisitazione critica dei testi pubblicati.
Ricordo che ho scritto Il colore dell’acqua (Samuele Editore 2016) in momenti temporali diversi e assolutamente slegati tra di loro. Come spesso sono solito fare sono partito dall’ultimo lavoro (Canzoniere inutile, Samuele Editore 2010) per portare avanti una ricerca sul linguaggio, sullo stile. Un qualcosa che assomiglia più a una sperimentazione che spesso imita alcuni autori che considero maestri, senza avere paura o imbarazzo di dichiararne appunto la mimesi, l’ispirazione a monte.
E ancora oggi non rinnego tale azione, che credo necessaria in un percorso poetico, solo trovo la declinazione dell’intenzione ancora troppo legata e relegata all’io. Non posso non essere soddisfatto del superamento di un certo manierismo evidente ed eccessivo nell’edito precedente, una caratteristica molto legata alla lettura ad esempio di Ferruccio Benzoni, ma il limite resta l’autobiografismo più gretto e limitato. Più miope.
Faccio un esempio:
In un abbraccio…
di pioggia abbandonata in una sera.
Guancia a guancia, le mani
tra le mani asserrate nella voglia
postuma di comprendere un sorriso.
Muta e gerbida non resta, che tra
le ciglia un segno, una dolcezza.
Nei tuoi occhi ruvidi una crepa,
al di là del fondo, una tristezza.
da Canzoniere inutile
Ho una voce di vuoto in gola.
Una chiarezza buia, uno spazio.
Ho una pozzanghera nel cuore
dove tu più non ci cammini
– con le tue caviglie
snelle come grandine –.
Ho una stagione arrugginita
negli occhi, in attesa di cosa.
da Il colore dell’acqua
Per quanto il percorso sia di pulizia, il tentativo sia di maggiore naturalezza, il limite continua ad essere una facile esperienza personale. Che tenta anche di diventare universale, questo si, ma senza riuscirci mai veramente.
Anche un rumore di finestre
sbattute può essere parola.
Il rumore di una donna in filigrana.
Anche i panni stesi e gli abbracci
da lasciare ad asciugare
fanno un camminare nella sera
che ne ricuce il senso, se c’è.
da Il colore dell’acqua
L’io in poesia è sempre un soggetto ingombrante difficile da oltrepassare. Perché ne dobbiamo tenere conto e superarlo pur rimanendovi ancorati. In poesia non possiamo parlare di cose che non conosciamo, eppure dobbiamo andare oltre. Ne Il colore dell’acqua tratto sostanzialmente delle relazioni amorose che finiscono, di ciò che avviene dopo. Da Histoire d’O ad Aftermath. E questo rappresenta il limite dell’opera che non è capace di immaginare significati altri, più alti, forse anche più duraturi dell’amore stesso.
Sono tornato al laghetto dopo più
di un anno dalla nostra apocalisse.
Tutto era come allora.
Gli stessi steli d’erba le stesse
papere
– almeno credo – la stessa polla
d’acqua dove ti regalai la stessa
rosa.
Mancavano solo i nostri baci
lunghi,
il tuo sentirti bella dopo
aver fatto l’amore e il mio
sentirmi l’unico uomo
per te.
Mancavano anche i tuoi occhi
dello stesso colore dell’acqua.
Da Histoire d’O ne Il colore dell’acqua
Il ragazzo lascia un curriculum
nel baretto dove mi sono fermato
e penso potrei farlo anch’io. Ci
scriverei che ti ho amata tanto
e che ti ho persa con altrettanta
perizia. Ci scriverei
la misura dei tuoi piedi,la conta
millimetrica delle tue dita, forse
alla barista perfino piaceresti.
Da Aftermath ne Il colore dell’acqua
Devo ammettere che oggi fatico a riconoscermi in questa vena erotico-romantica basata sul corpo altrui. Una vena forse troppo dolciastra, troppo ingenuamente adolescenziale (di quell’adolescenzialità che non ti abbandona fino alle porte dei quarant’anni) che cerca l’idealizzazione ovunque. E come ogni idealizzazione tale atteggiamento porta ad allontanarsi dalla realtà, non ad affrontarla.
La vita è un tempo che ridonda
sempre pari nel suo vuoto. Così tu
dolce apparsa in una pioggia
d’una sera inattendendo. Perché il
vuoto non pesa più del pieno
quando togli le scarpe e già sappiamo
che significa l’amore.
da Canzoniere inutile
Curo la casa come tu fossi
con me, spazzo la polvere,
ti chiedo d’aiutarmi con lo
straccio, ma tu non rispondi.
E prendo anche il tuo sedere
tutto tra le mani ma tu
non dici nulla, non dici
«dobbiamo lavare a terra, dai».
da Il colore dell’acqua
Erotismo che devo ammettere nello stesso Il colore dell’acqua diventa più maturo, più linguaggio di osservazione della mediocrità umana quando si sveste del romanticismo adolescenziale:
La ragazza Olga è una ragazza
che veste sempre ben curata,
raffinata, fin nelle fessure.
Parla correntemente quattro lingue
o cinque, non l’ho mai sentita.
Viaggia spesso per lavoro.
È dalle intercapedini del muro
che conosco la sua fede, notturna,
quando prega Dio con le ginocchia.
Un altro elemento che trovo ormai assolutamente insopportabile è il rimestare in un concetto di tristezza correlato a uno pseudosentimento amoroso che, per quanto monotematico e monotono, non viene mai effettivamente affrontato. Solo dichiarato, lagnato:
Oggi ho visto un uomo che
sembrava felice.
Usciva dal lavoro correndo
col sorriso slanciato.
E mi sono chiesto se anche lui
torna a casa in questo modo.
Dove tu lo aspetti, le calze
prese all’Adriatico di Portogruaro
e il reggiseno sotto
col brillantino luminoso in mezzo
– tutte cose che abbiamo comprato
assieme, ma tu non gliel’hai detto -.
A volte
siamo così banali nei pensieri.
Da Histoire d’O ne Il colore dell’acqua
Scrivere non basta a esorcizzare
le paure, nemmeno le colpe.
Guido dice che dopo una bella
poesia c’è meno dolore, da dire.
Che la fame delle braccia è in
fondo simile agli abbracci.
Ma la gola brucia a parlare
come un macello dentro al cuore.
Da Aftermath ne Il colore dell’acqua
Anche la diversità di stili, che riprendendo l’incipit di questa autolettura deriva dall’accostamento di tre opere diverse (Histoire d’O, Aftermath e La ragazza di nome Olga) che in qualche modo stanno assieme appiccicate, non rappresenta un’armonia ma appunto un qualcosa di improbabilmente incollato.
Solo l’ultimo periodo de Il colore dell’acqua lo posso ancora considerare adeguato. Una sorta di precursore del Condominio S.I.M. al quale sto attualmente lavorando. Opera che non perde il punto di vista personale ma non narra il sé. Si raccontano le vite altrui. Opera nella quale l’amore sostanzialmente non esiste, non sussiste, a differenza di un sesso che acquisisce il suo vero nome: sesso (ovvero quella realtà che resta dopo le romanticherie adolescenziali).
La ragazza di nome Olga tenta il superamento del libro stesso riuscendoci in parte. Nei contenuti forse si, nella forma arriva però a fare un passo indietro. Arriva a calcare troppo sul didascalico esagerando le sentenze di chiusura che devo ammettere ancora mi legano e mi chiudono in una critica che, a ragione, spesso mi viene mossa.
La ragazza di nome Olga
ancora non è tornata.
Perché l’appartamento dove vive,
quello appena sotto le sue scapole,
ha il suono duro delle cose
che sono fatte per durare.
Come il vuoto, le conchiglie rotte,
o suoi piedi bianchi la mattina.
Da La ragazza di nome Olga ne Il colore dell’acqua
L’odore di Olga passa in mezzo al piano
anche se lei è assente ormai da giorni.
Fa la tromba delle scale, l’ascensore
che non funziona,fa l’entrata
che sembra quella di un albergo
anno sessanta, non esiste, come Olga,
anche se si ostina a credere il contrario.
Da La ragazza di nome Olga ne Il colore dell’acqua
Alessandro Canzian