Identificazione di un poeta: Dante attraverso alcuni “suoi” personaggi – Massimo Seriacopi

Identificazione di un poeta: Dante attraverso alcuni “suoi” personaggi di Massimo Seriacopi (Pietre Vive Editore, 2021, a cura di Roberto R. Corsi).

 

Il 9 dicembre del 1920, sul quotidiano peruviano El Tiempo, uscì un articolo del corrispondente dall’Italia José Carlos Mariategui (autore che vale davvero la pena di conoscere), nel quale, in breve, viene riportata una riflessione sul rifiuto dell’allora ministro della pubblica istruzione Benedetto Croce di elargire due milioni di lire per le celebrazioni del VI centenario dantesco. Croce fu ovviamente travolto dalle critiche, e addirittura il comitato delle celebrazioni fiorentine si dimise.

Croce argomentò che sarebbe stato opportuno che il Paese, appena uscito dalla catastrofe della Grande Guerra, non spendesse due milioni per “commemorare farsescamente Dante”; si renderebbe maggior onore al Poeta con “un omaggio prevalentemente spirituale” e non con discorsi, fanfare o “pellicole cinematografiche”. L’auspicio di Croce, insomma, era di celebrare Dante “ispirandosi al suo esempio”.

Altri tempi, nel bene e nel male. Ma mi piace pensare che, nella legittima valanga di pubblicazioni a tema dantesco per questo VII centenario, il libro di Massimo Seriacopi si collochi come autorevole contributo agli auspici crociani di un secolo fa. Identificazione di un poeta. Dante attraverso alcuni “suoi” personaggi (Pietre Vive editore, 2021, a cura di Roberto R. Corsi), è una breve e densa raccolta di saggi dell’illustre accademico dedicati ad alcuni personaggi e vicende della Commedia, o meglio, di ciò che da questi personaggi e vicende può scaturire in termini di riflessione etica ed estetica: l’arte e la bellezza prendendo a pretesto il confronto tra Giotto e Cimabue (e dunque tra Cavalcanti e Guinizzelli); il “nichilismo” (definizione brillante!) di Belacqua; e poi Piccarda Donati, l’episodio del “folle volo” di Ulisse… e basta. Ma l’esiguità del libro, come detto poco sopra, è compensata dalla profondità della riflessione. Del resto non serve altro. Nell’introduzione al libro viene espresso il filo rosso che unisce i quattro saggi, e cioè l’indagine di tre stati umani, corrispondenti ad altrettante Cantiche: l’annullamento del sé, il riconoscimento (della fragilità, della finitezza ecc) del sé ed infine l’esaltazione nobilitante. Del resto già Pound, nelle sue carte dantesche, osservava che la Commedia è “[… il viaggio dell’intelletto di Dante attraverso quegli stati d’animo in cui gli uomini, di ogni sorta e condizione, permangono prima della morte; inoltre, Dante, o intelletto di Dante, può significare “Ognuno”, cioè “Umanità”…]” (Ezra Pound, Dante, p. 36, Marsilio, 2015). Dante riflette alla luce dei personaggi che incontra (o meglio, “mette in scena”) e si identifica con essi, così come dovrebbe chiunque si metta a leggere la Commedia. Gli exempla indicati e analizzati da Seriacopi sono luminose, dottissime fessure per meglio scrutare la caleidoscopica natura del Poema che ha voluto farsi Cosmo.

Chiude il volume uno sguardo sull’esegesi e la ricezione di Dante da parte di Pascoli, del fisico rumeno Horia-Roman Patapievici (che vede, nella concezione cosmica di Dante, l’universo così come si è venuto concependo nel XX secolo) e infine del notissimo scrittore albanese Ismail Kadare, del quale mi piace riportare, a chiusura di questa nota, la citazione usata da Seriacopi:

«Il nostro pianeta è troppo piccolo per permettersi il lusso di ignorare Dante Alighieri. Sfuggire a Dante è impossibile come sfuggire alla propria coscienza. Nessun’altra creazione letteraria colloca a tal punto la coscienza umana, o meglio i suoi tormenti, nel proprio epicentro»

 

Federico Rossignoli

 
 
 
 
 
 

Un estratto e l’indice del libro in presentazione il 3 luglio alle ore 18.00 a Una Scontrosa Grazia.

 
 
 
 

Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido:
arte e bellezza nel Purgatorio dantesco

 
 

Ponetevi davanti a un codice miniato di epoca medioevale, a una Divina Commedia “alluminata” come quella conservata all’interno della Biblioteca Trivulziana di Milano con la segnatura “Triv. 1080”, o a quella conservata all’interno della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze con la segnatura “Pluteo 40.7”; beatevi, magari, della bellezza ottenuta attraverso un accorto uso dell’oro zecchino, steso per trasporre la raffigurazione nella dimensione celestiale, del lapislazzuli tritato utilizzato per ottenere un blu intenso… Anche così, attraverso la contemplazione di due splendidi codici trecenteschi come quelli citati a esempio, avrete solo una pallida, seppur affascinante, idea di ciò che l’arte nel passaggio tra XIII e XIV secolo (l’età di Dante) è riuscita a creare.

Non gonfiamoci però di superbia, pensando a queste alte realizzazioni umane, all’unione di versi sublimi e decorazioni raffinatissime a essi ispirate: l’episodio al quale si riferiscono le parole estratte dal Purgatorio citate nel titolo del presente intervento (canto XI, versi 94-95) è infatti inerente a quanto “messo in bocca” a un penitente – un miniaturista, per l’appunto, conosciuto in vita dall’Alighieri: Oderisi da Gubbio, che durante la vita terrena troppo confidò in quelle capacità di artista che, non dimentichiamolo, sono un dono “gratis dato” e che va ri-donato. Un dono, comunque, sempre sottoposto al confronto con una “pietra di paragone”, il che ci deve insegnare quell’altissima dote che è l’umiltà.

Ma non esitiamo nemmeno a capire a quale nobiltà, a quale altezza creativa l’uomo possa arrivare: Cimabue e Giotto, i due pittori citati dal personaggio, meritano di essere ricordati nei secoli. Proprio come i grandi letterati che subito seguono in questa “carrellata” di exempla di acume artistico – peraltro, si denuncia, di continuo sopravanzato: presumibilmente, con i versi Così ha tolto l’uno all’altro Guido/ la gloria della lingua ci si riferisce a Guido Guinizelli, superato da Guido Cavalcanti; e con i successivi, e forse è nato/ chi l’uno e l’altro caccerà del nido, in senso quasi indubitabile, si accenna a Dante Alighieri stesso. Per tutti loro varrà la pena di proporre qualche osservazione riguardo ai talenti artistici e alla produzione, in relazione anche alla figura dell’artista che li sta cantando, il poeta-pellegrino esule fiorentino.

 
 

[…]

 
 

Bellezza come armonia
– e il suo contrario –
nel Paradiso dantesco
Con una redazione inedita del commento
di Francesco da Buti al canto III

 
 

La dolcezza e la sicurezza con le quali il poeta-pellegrino attesta di avere ricevuto, da parte di Piccarda Donati, informazioni sull’identità e sulla condizione della beata e delle altre anime collocate nel cielo della Luna, ben si prestano a rappresentare il senso della bellezza come armonia nel Paradiso (e nell’intero universo, in definitiva), in contrapposizione alle “brutture” che inquinano la realtà terrena sperimentata dal cristiano della Chiesa militante.

Infatti – attraverso le percezioni sensoriali della vista e dell’udito, ma anche a un livello extrasensoriale, che va diritto verso la dimensione intellettiva e insieme dell’anima – Dante testimonia di avere ricevuto, in occasioni come quella in esame, un accrescimento, un potenziamento percettivo attraverso una sorta di “educazione alla bellezza” come capacità di comprensione di luminosità, musica e canto armonizzati; del resto, quello della bellezza era un tema già caro a Platone, per cui la capacità percettiva di essa era, a rigore di quanto affermato nel Simposio, il primo gradino per indirizzare l’anima verso la conoscenza. Bellezza che permette al vivente, a sua volta, di armonizzarsi col creato e con la volontà divina che gli dona l’impulso a tendere verso di sé, per controbattere provvidenzialmente la disarmonia che caratterizza il mondo che mal vive.

E dunque, volendo partire dal dettato dell’Alighieri, si pensi alla prima, ancora distorta e limitata percezione che il viandante ha delle anime che gli si presentano all’interno del cielo della Luna, nel canto III del Paradiso: dopo l’esaltazione di Beatrice, paragonata a un sole (chiara allusione alla valenza di figura Christi assunta dalla beata Beatrix) che scalda il petto con la virtù d’amore – ma su questo aspetto torneremo grazie al commentatore trecentesco –, e dopo la correzione dell’errore nel quale il pellegrino era incorso riguardo alla natura delle macchie lunari, ecco che un ulteriore errore nel quale la limitatezza umana cade va corretto da un’ennesima bella verità.

Il pellegrino Dante, infatti, solleva la testa di quanto è conveniente in quell’occasione (per una questione di rispetto) per dichiarare la sua rassicurazione, ma… Ecco già pronto il successivo “passaggio sapienziale” da sperimentare e del quale far tesoro, poiché a sorpresa la sua mente e la sua facoltà visiva insieme vengono trattenute dal loro proposito da una visione nuova che – racconta il discente – ritenne/ a sé me tanto stretto.

 
 
 
 

Indice

 
 

  • Introduzione
  • Belacqua o del “nichilismo”
  • Credette Cimabue ne la pittura/ tener lo campo, e ora ha Giotto il grido: arte e bellezza nel Purgatorio dantesco
  • Bellezza come armonia − e il suo contrario − nel Paradiso dantesco (con una redazione inedita del commento di Francesco da Buti al canto III)
  • Il folle volo di Ulisse come modello “puro ma impossibile” di virtute e canoscenza
  • Esempi di ricezione dantesca: Pascoli, Patapievici e Kadare