Vivi al mondo – Daniela Attanasio

Con questo ultimo gesto poetico, Vivi al mondo (Vallecchi, Firenze, 2023), Daniela Attanasio ci conduce nel regno di quei vivi che silenziosi, attorno, ci abitano. Attorcigliate su sé stesse, in preghiera, restando mute: le anime qui citate sono presenti, eppure non visibili a tutti. Vivi al mondo. Già nel titolo, quest’opera somiglia a un’esortazione all’esistenza. Un dettato dal cuore capace di aprire altri universi.
Diviso in diverse sezioni, l’autrice si cala nella parte dell’osservazione: scruta questi corpi camminare lungo i portici di Piazza Vittorio Emanuele, ne ruba le gesta, memorizzando i contorni.
«Ecco ora un uomo curato nella persona – / giacca cravatta calzoni scuri e ai piedi / grandi scarpe da ginnastica bianche».

Attanasio non possiede solo l’occhio del poeta, ma dimostra – toccando in quest’opera l’apice della sua scrittura – una profonda capacità di ascolto.
«Siamo i nostri simili / abbiamo la stessa libertà di morire».
Molti sono i testi dedicati ai poeti e alla poesia. A loro, ella riserva dei veri e propri capitoli.
E non solo. Non esiste soltanto l’immagine del poeta in quanto tale, la poesia che cerca di impregnare tra i fogli di carta vive già dentro i protagonisti delle sue parole.

Attenta, allora, come un’esperta ricercatrice, il suo sguardo si posa su ogni sussulto di vera vita.
Sul rumore assordante di quell’Uomo che ha bisogno di carezze e parole:

«in cielo una striscia amaranto cade dietro il palazzo umbertino
è un’immagine triste come le lenzuola singole del senza amore

tornare a vivere alla luce dell’alba sarebbe un salto all’indietro
sarebbe tornare ai giorni dei nostri anni
un miracolo terrestre tra chi è ancora qui e chi è andato via
un modo di pensare la vita come una stagione mancata».

Un linguaggio a tratti prosastico, fatto di versi lunghi e che non utilizza nessuna punteggiatura, se non qualche lineetta per determinare una pausa o mettere in evidenza un periodo. Il risultato è quello di un flusso sgorgante che non tiene a bada l’emozione scaturita da un evidente e autentico amore per la Poesia.

Patrizia Baglione

 
 
 
 
la cosa che chiamiamo anima non si è accorta subito
della tua scomparsa il corpo sì
all’inizio qualche puntura una frustata al petto come
bere acqua ghiacciata con quaranta di febbre
ero interdetta dai colpi di silenzio che riempivano la stanza
sempre più vicina a cedere all’inganno della fede
all’eco che arriva dalle onde elettromagnetiche del cosmo
ricordo le tue parole poco prima di morire-
lascio – hai detto – vado da un’altra parte
esco dalla città
ha una sua solitudine lo spazio una solitudine il tempo –
sono due idee che si curvano ma non si toccano
come le tende che scendono sui vetri della finestra
i libri schierati nelle loro rastrelliere
come le braccia quando si chiudono in un abbraccio
senza stringere nulla
 
solitudini inerti che non sanno niente delle mie paure –
non è la solitudine dell’aquila in montagna
né la solitudine di chi entra in clausura a spaventarmi
ma quella dell’acqua che nella cella del freezer
si cristallizza in un cubetto di ghiaccio
 
 
 
 
 
 
oggi vorrei che tu rintracciassi le mie orme
per custodire la parte giusta del cuore
dove il sangue è rosso e la morte dorme