Variazioni sul barile dell’acqua piovana – Jan Wagner


 

Oggi la redazione di Laboratori Poesia celebra il 52° genetlìaco di Jan Wagner, scrittore saggista poeta e traduttore tedesco di fama internazionale, vincitore del prestigioso Premio Georg Büchner nel giugno del 2017. Lo speciale dedicato a Wagner si articola attraverso la presente nota ne Il Cavaliere Jedi espandendosi grazie a un focus in altre due rubriche, a partire dall’intervista esclusiva al poeta amburghese, a cura del giornalista Fabio Barone, in Speciali – Xenia, proseguendo con la traduzione di alcuni haiku a cura di Rocío Bolaños e Vernalda Di Tanna ne L’Arte del Quasi. Lo speciale è arricchito dagli scatti di Alessandro Battista che venerdì 26 maggio 2023 ha avuto modo di immortalare Jan Wagner, giunto a Pescara per ritirare il Premio “Città di Pescara – Sinestetica”. La redazione ringrazia il prof. Luigi Colagreco, direttore artistico del Concorso Sinestetica.

 

Nato il 18 ottobre del 1971 ad Amburgo, Wagner ha studiato anglistica prima nella sua città natale, poi a Dublino e infine a Berlino, dove risiede attualmente. I primordiali passi sul terreno della scrittura in versi Wagner li ha mossi durante l’adolescenza per poi iniziare a lavorare a una ‘scatola letteraria’ in qualità di co-editore e curatore. Dal 1995 ha pubblicato il cofanetto insieme a Thomas Girst – docente di storia dell’arte presso la Ludwig-Maximilians-Universität München e alle Accademie di belle arti di Monaco e Zurigo –, finché, dopo l’undicesima edizione, il progetto si è concluso nel 2003. Die Außenseite des Elements: questo il nome del progetto sperimentale ispirato a Duchamp e curato dagli editori Wagner e Girst, i quali si erano dati come obiettivo quello di superare i confini nazionali e storico-culturali, creando un raccoglitore letterario a metà strada tra una rivista, un libro e un oggetto d’arte. Die Außenseite des Elements, in effetti, è una raccolta a fogli sciolti realizzata con un gruppo di giovani autori (Georg Klein, Schuldt, James Tate e molti altri). All’interno della scatola si alternano, dunque, poesia e prosa narrativa, frammenti drammatici e opere grafiche, collage e puntesecche su oltre un centinaio di fogli. I fogli sciolti non sono stati certo una casualità: il format è stato appositamente ideato per evitare di imporre un ordine di lettura precostituito a chiunque si trovasse a fruire del contenuto della scatola. È stato un modo per rispondere concretamente a quel bisogno di porre tutti gli autori coinvolti in Die Außenseite des Elements sullo stesso piano, a quel bisogno di non dare maggiore visibilità a qualcuno a discapito di qualcun altro, e così via. E questa necessità di trattare tutti allo stesso modo, probabilmente, si riflette anche in un’altra rivoluzionaria scelta operata qualche anno più tardi da Jan Wagner all’interno delle sue poesie: ovvero, abolire le lettere maiuscole, che in tedesco vengono usate per distinguere tutti i sostantivi. Se la prima lettera di un sostantivo non è scritta in maiuscolo, ecco che in tedesco siamo davanti ad un vero e proprio errore; ebbene, Wagner scrive spericolatamente, è un illustre poeta che si concede il lusso di una licenza poetica, a discapito dell’ortografia, certo, ma pur sempre in nome dell’uguaglianza delle parole, di tutte le parole a prescindere dalla loro funzione, dal loro ruolo. Al contrario, a non essere spericolato è il «gioco delle analogie e dei salti di senso» con cui Wagner «lascia sempre una porta alla trasparenza dei possibili significati» (come leggiamo in Variazioni sul barile dell’acqua piovana). Dunque, ignorando un tratto distintivo della sua stessa lingua, della lingua tedesca, Wagner riconferma che uno dei suoi obiettivi è scavalcare le apparenze, senza fermarsi all’immediato, a quel tutto e subito che tanto caratterizza l’odierna società liquida; il tutto senza discriminare le parole o gli eventuali ulteriori, ultimi significati a cui esse possono condurre.

L’umiltà di questo poeta, la sua ironica e commovente capacità di catturare qualcosa di più alto, di metafisico, a partire dalla quotidiana leggerezza o da un dato tanto concreto quanto naturale, vibra anche in Regentonnenvariationen, la sesta raccolta di poesie di Wagner; pubblicato in Germania da Hanser Berlin nel 2014, è stato il primo libro di poesie a vincere il Premio della fiera del libro di Lipsia. Tradotta dal poeta Federico Italiano per i tipi di Einaudi, Variazioni sul barile dell’acqua piovana è arrivata sugli scaffali italiani solo nel 2019. Il titolo in lingua originale è tanto lungo quanto suggestivo poiché si propone di richiamare una certa musicalità, insita già nello stile di Wagner, che attinge al metro classico senza disdegnare una forma ricca di espedienti stilistici quali sono la rima e il sonetto, seguendo la scia dei sonetti berlinesi tracciata da uno dei suoi maestri: Georg Heym.

Nel doppiofondo della poesia wagneriana troviamo una tendenza alla poesia-reportage, che prende avvio dai viaggi dell’autore per andare oltre; bellissima la poesia del tour siculo, intitolata tre asini, sicilia:

per come stavano lì, sembravano una parabola:
poco dietro gangi, che sbatteva come nuvola
di pietra contro la cima, erano il dipinto
di sé stessi, muti, dietro il recinto,
 
immobili. fino a qui le serpentine,
che insieme a noi scalavano le vette,
una frana ogni tanto, le slavine
delle pecore, che scivolando oltre la carreggiata
 
sparivano; ora, una natura morta con asini,
a portata di mano, con code a nappa
da tenda, le dure pastoie da ballerini,
 
le schiene incurvate da una zavorra
invisibile e ogni muso morbido e bianco
come l’avessero appena immerso in un sacco
 
di farina, in fiabesche farine.
ci sbracciammo, strepitammo, li punzecchiammo – loro fermi,
solamente impegnati nell’essere asini.
li attirammo, li lusingammo – loro fermi,
 
come se radicassero, crescessero nel limo,
come se partecipassero con tutti i sensi
a qualcosa. erano in ascolto di betlemme?
un decimo o un nono di loro si
 
trovava ancora sulla via di canaan,
scacciavano ancora mosche da cartagine,
dall’egitto? non era passato nean-
 
che un giorno, solo istanti, da quando
belliche schiere di arabi, normanni,
staufer, marciarono innanzi
 
al recinto? sembrava guardassero attraverso
la macchina e noi da parte a parte, mentre
una brezza gli ghermiva il manto,
ognuno dei sei occhi forte come un espresso…
 
più in là, le processioni, cani morti,
parole straniere in bocca a stranieri,
piantagioni, imprevisti, campi verdi
con un firmamento di mandarini –
 
e loro ancora immobili, una barra
di grigio, noi più giullari che eroi
e da tempo scordati e rimossi, mentre nel retrovisore
 
quella persistente, docile V delle orecchie
spuntava lungo tutte le serpentine,
una victory, victoire, vittoria.

È inoltre nota l’ammirazione di Jan Wagner per chi prova a osservare l’oggetto attraverso i sensi e da tutte le prospettive possibili così da spostare il centro dall’umano all’animale, alla cosa, fino all’oggetto inanimato (https://youtu.be/dsty2e4u5T0?si=lXAxPBg_Yy8VE6fY). In questi giorni, in Germania c’è grande attesa per il nuovo libro di versi di Wagner, Steine & Erden (Hanser Berlin, Berlino, 2023, pp. 112, €22), che uscirà il 23 ottobre, cioè a ventidue anni di distanza da Probebohrung im Himmel (prima raccolta di liriche del poeta di Amburgo, risalente al lontano 2001). Sin da questo nuovo titolo, Steine & Erden (Pietre & Terra), emerge un richiamo alla natura, sempre presente in Wagner, il quale – inchiodando i lettori con il suo timbro meditativo à la Larkin o alla Auden –, ha sempre subito l’influenza di un gigante come Seamus Heaney, Nobel irlandese per il quale «il medesimo rapporto tra Natura e Storia […] diviene il passo del poeta, il suo timbro singolare» (Matteo Bianchi, Seamus Heaney e la traduzione poetica italiana: una questione di affinità, in «Laboratori critici», III, 3, 2023, p. 13). Forse, il debito contratto con i maestri emerge proprio nei testi dedicati agli animali, come lontra, che riecheggia vagamente una poesia dello stesso Heaney. Tanti i contrasti sui quali si erge la poesia di Wagner, tanti i personaggi animati (animali, quali cavalli, asini, koala, alce, gufo, lontra, ecc…) e umani (clochard, centauri, ecc…), che inanimati (tazze, sapone, palline da tennis, lenzuoli, ecc…), così come non mancano poesie dedicate ai luoghi o alle opere d’arte.

D’altronde, come ha scritto Fabio Barone nella sua brillante monografia intitolata La cosa, il nome e la conoscenza – uscita qui su Laboratori Poesia il 12 giugno 2023 –, il poeta di Amburgo «ha negl’intenti la sola fame spirituale di toccare un’espressione che la accresca, partendo come fa sempre Wagner da una figura, un dato di realtà, una vibrazione naturale che il suo intuito percepisce».

Vernalda Di Tanna

 
 
 
 
[Segue un estratto da Variazioni sul barile dell’acqua piovana]  
 
koi
 
dietro i timpani delle serre di palme, il brodo
primordiale dello stagno: koi, come incalzano,
come filamenti d’oro che intessono
 
il nero di un arazzo, le loro orbite
più imprevedibili delle comete;
la bocca tonda, che la forma solo ripete
 
del loro nome, quando il punto toccano
che separa l’aria dall’acqua, il tono
da camera, il loro per noi inudibile suono:
 
koi, monete sul fondo della vasca,
un firmamento pensile sotto di loro,
come ogni brace invaghito del fosco,
 
un covare, un fluttuare, presso la passatoia.
qualcosa dovrà pur riversarsi
in me della loro quiete gigantesca,
 
del loro saldo palpito, quando la mia mano si
immerge nel buio e attendo la fresca
collisione, gli ispidi lustrini; così inizia la vecchiaia.
 
 
 
 
 
 
hippocampus
 
ciò che rimase non fu il mezzo limoncello
di luna sopra napoli, nemmeno la suite
con vista sul golfo; a rimanere fu lo sfumare
della luce, il gorgogliare dietro spesso vetro
all’acquario dell’istituto, i cavallucci marini,
 
specchiantisi l’un l’altro; i due cavallucci marini
ognuno nella propria armatura, quasi di vetro,
che parevano piú stare in piedi che nuotare,
come se origliassero l’un l’altro, o una suite
di bach, come fori di risonanza in un violoncello.
 
 
 
 
 
 
lontra
 
talvolta morta nelle nasse del pescatore
al mattino, fredda come una sirena,
o come viandante eterna
saltellante per i campi, sul prato, pure
 
per le montagne, imprendibile
dalle trappole dentate, dall’orda
dei cani, nel suo interregno; in acqua è più mobile
dell’acqua, come onda approda
sulla terra da una qualche riva,
 
per andarsene tra i villaggi sotto
una cappa mimetica di pelo, inavvertita,
per origliare il respiro dei dormienti, di notte
 
le preghiere ad un tavolo, in un letto,
per scivolare altrove di nuovo nel suo riflesso,
il suo bianco baffetto
come corde di violino perfettamente teso.
 
la vedi nella sera caduca
nuotare sul dorso, quasi stesse giocando,
quasi in pace con sé stessa, sotto la nuca
il fondo, i flutti, un cielo secondo,
prima che la fame di nuovo la ghermisca
 
entrandole dentro come nel guanto
una mano, esatta e dispotica.
predatore di fiume, cane d’acqua –
 
nella sua tana ammucchia
un tesoro d’argento, il cui fulgore
inizia presto a puzzare, ora fischia
come innamorata, poi si mette a piangere
 
come noi, quando finisce.
scintilla desolato il lago – così fredda,
depredata è la sua opera, firmata
da una lisca levigata di pesce.