Va bene, dico, se su noi restano frammenti, la vita, insomma – Alberto Toni

Alberto Toni 2

foto di Dino Ignani

 
 
 
 

a Mario Benedetti

 
E dire: non c’è parola. Un tornaconto non c’è.
Si è perso tra un messaggio e l’altro,
giusto il tempo di dirlo allora,
praticato nell’imprevisto del
rito fraterno dell’incontro.
Sul muro che rode, a piombo
come fosse il capo reclinato
appena, o allineato alla prima
festa del riconoscimento.
Perché è di questo che
dovremmo dire: essere
presi per mano un giorno.
 
 
 
 
 
 
Su un tema di Andrea Zanzotto
 
Sii, mondo, esisti e basta.
Esisti per noi e per me, apri,
apri la tua grandezza di costellazione,
trema, ripaga, custodisci sogni
e misteri in confabulazione.
Come una sfera che appaga
in luce e in penombra, nel
mio ragionamento adesso.
 
Tutto adesso, perché giusto
è il tempo. E non c’è tempo,
se non nel restare, mondo.
 
Trema dunque al partire per mare sconosciuto.
Musica del mare fatta
improvviso silenzio.
Su, non partire, ti dico,
se non per puro caso.
Su fallo per me, per noi.
 
                Su, Stockhausen.
 
 
 
 
 
 

a Giovanna Sicari

L’umano al suo apparire sopra l’ala della giovinezza.
Mostra i denti nel sorriso, per un po’ alza la voce,
come una cena degli anni ’70. Poi la tensione cala,
riprendiamo. Allora, solo allora vengo a te nel pensiero,
non tremavamo all’ombra dell’idea, del destino veloce,
della sfida ogni giorno e della passione. Tu lo sapevi?
Ci coglieva all’improvviso il silenzio delle parole,
la giusta dimensione, e nuova anche nell’impegno.
E un mondo grande, sempre più grande, le copertine
di tutti i libri.
 
 
 
 
 
 

a mia sorella Alba

Scrive.
Con il cuore, l’altro tempo su fili di ghiaccio
come Živago o la Cvetaeva o la Achmatova.
Poesia come un albero, se parliamo della Guidacci,
o come il giallo verticale di Serpenta su fondo verde
della mia amica Teresa in Galleria al Ferro di Cavallo,
l’86 per Bellezza vivo, sarebbe morto dieci anni dopo.
A tenerci per i nostri novembre, gennaio, Amelia
a casa nostra con una fetta di torta in mano, Giovanna
in via Galazia, Elena, Rosella,
e se vogliamo, Marina, Beppe
sul 46 in piattaforma a parlare,
lui proseguiva e l’incedere
nell’impermeabile crema.
Va bene, dico, se su noi restano frammenti, la vita, insomma.
 
 
da Tempo d’opera di Alberto Toni (Il ramo e la foglia edizioni, 2022, a cura di Roberto Deidier)
 
 
 
 

Ricevo questo libro di Alberto Toni dopo una telefonata di Patrizia, la moglie, e per tutta una serie di fortunate/sfortunate circostanze mi trovo a scriverne immediatamente (un viaggio prolungato, l’incendio a Trieste, un piccolo problema da affrontare). Solo una nota, quello che in Laboratori Poesia il venerdì chiamiamo Poesia al microscopio (editi e inediti), in attesa di una recensione più ampia. Sono in un bar della Romagna di ritorno da Elba Book dove abbiamo tenuto una conferenza molto vivace sulle riviste indipendenti (tra cui Laboratori Poesia e “Laboratori critici”), e ho appena finito di rilasciare un’intervista a una gentilissima ragazza per La Nazione.

Sono in un bar, mangio un tramezzino e leggere questo ultimo libro di Alberto Toni, libro che avrei voluto pubblicare io dopo il grande successo de Il dolore (Samuele Editore, 2016, collana Scilla, prefazione di Roberto Cescon), è per me un ritorno al passato. Ricordo era il 5 maggio 2017 quando con Alberto sedevamo in un bar a Venezia, in attesa di Callisto. Un ciclo di incontri che quel giorno vedeva Alberto, Gian Mario Villalta e Giovanna Rosadini. All’incontro poi si presentò anche Tiziano Scarpa tra il pubblico, come all’appuntamento precedente si presentò Giorgio Agamben per conoscere Ivan Crico.

Eravamo in un bar a chiacchierare di Venezia, di poesia, di rigore e di stile. Lo avevamo già fatto, ricordo, a Roma.

Adesso Alberto non c’è più, ma restano i suoi versi. Roberto Deidier ha fatto un pregevole lavoro e su questo voglio immediatamente sottolineare alcuni testi, importanti, per quanto ho conosciuto Alberto. Dediche a personaggi conosciuti amati: Mario Benedetti, Giovanna Sicari, la sorella Alba oltre a uno straordinario testo su un tema zanzottiano. Alberto non c’è più ma resta una voce che voglio sottolineare per l’educazione sentimentale che porta in sé, e per l’enorme portata poetica di un sottovoce rigorosissimo.

Enjembement, allitterazioni, consonanze, rimandi colti e dialoghi. Tutto compresso in pochi versi che si chiedono cosa sia il vivere.

Mai un diktat, una sentenza, mai una deriva eccessivamente lirica o religiosa ma un laicissimo voler bene al mondo. Un mondo che lo ha amato ma non ancora doverosamente riconosciuto (almeno questo è il parere di chi scrive). Un mondo a cui si riferisce continuamente piegando l’io, la propria esperienza, in un fluire luziano verso l’altro.

Nessuna ascesi, sia ben inteso, ma un orizzontale guardare a ciò che si può vedere. Non un orizzonte lontano se non quello storico. Non un’idea romantica ma un patire la vita. Patire, un pathos, che nella misura contiene grandezza.

Leggendo di Mario, di Giovanna, di Alba, in questo bar romagnolo risento l’eco veneziana della voce di Alberto, dove risuonavano quei nomi e altri. E i suoi versi: Va bene, dico, se su noi restano frammenti, la vita, insomma.

Alessandro Canzian