Una domanda al poeta: Stefano Massari

 

 

l’elettrodo della croce destra    spezza il fratello
in parti sbagliate    una è il giorno radioso    creduto
da tutte le creature    l’altra è il buio    come una lunghezza
sconosciuta delle ossa    l’ultima è la pianura    senza ragione
dei bambini che ringhiano   il pianto della specie   a dio

 

 

 

 

Un testo che spazia all’interno del verso come una frattura, un enjambement non dichiarato eppure effettivo. Il ritmo sincopato ricorda certo Porta (Dietro la porta nulla, dietro la tenda, / l’impronta impressa sulla parete, sotto, / l’auto, la finestra, si ferma, dietro la tenda, / un vento che la scuote, sul soffitto nero / una macchia più oscura, impronta della mano, / alzandosi si è appoggiato, nulla, premendo, / un fazzoletto di seta, il lampadario oscilla, / un nodo, la luce, macchia d’inchiostro, / sul pavimento, sopra la tenda, la paglietta che raschia, / sul pavimento gocce di sudore, alzandosi, / la macchia non scompare, dietro la tenda, / la seta nera del fazzoletto, luccica sul soffitto, / la mano si appoggia, il fuoco nella mano, / sulla poltrona un nodo di seta, luccica, / ferita, ora il sangue sulla parete, / la seta del fazzoletto agita una mano) in una metafora d’immagini che integrano un’opposizione, una soluzione. Che significato hanno queste spaziature e questa soluzione che si proietta “a dio” (sottolineando il minuscolo)?

Alessandro Canzian

 

 

 

 

grazie per la domanda . grazie anche per il cenno ad antonio porta che è uno dei miei fari . sin dagli inizi . il suo non poter mai esaurirsi in un’unica forma continua a nutrirmi . a sostenermi . antonio porta è uno dei maestri che nel cammino ho scelto . una delle presenze cardinali nella mia modesta mappa .

provo a rispondere . ma non è semplice . mi costringe a un’immersione dove più che spiegare – devo capire .

come creare un corpo . accudirlo . condurlo verso una particolare sua specifica – ma poco decifrabile ed esigibile ‘esattezza’ . non c’è intenzione né discorso . neppure contenuto o senso o significato . niente di tutto questo accade ‘prima’ . bensì dopo . dopo che la voce in atto – l’ascolto e il movimento hanno esaurito il loro compito . i loro scopi ignoti . e io resto in quella scia – attratto e respinto di continuo . pieno di interrogativi . di detriti . di sensi e segni che devo portare a compimento . non posso sottrarmi .

devo poi riconsegnare tutto . non riprodurre . non rappresentare o allestire o spiegare .

certamente decido . rifiuto . resisto . correggo . isolo i punti di caduta . ne tesso angoli e linee . valuto densità . cortocircuiti . risonanze . mi convinco . soprattutto devo crederci . credere che quel corpo è determinante . svela o nasconde – guida o confonde – annuncia e traduce – toglie o restituisce . non lo so – ma sono già certo – assolutamente certo – che qualunque cosa farà sarà autentica . non mentirà .

le connessioni intuite – percorse – rivelate – devo poi tenerle aperte – ricettive – per quelle che ancora non riescono a svelarsi e che hanno bisogno di pazienza – della consunzione del tempo – dell’esperienza che il testo farà nel mondo . ci vorrà tempo .

intanto devo risalire al momento sorgivo . restargli fedele . piegare ogni segno accento e sillaba . devo costringere e convincere ogni elemento di questo corpo che dovrà infine obbedire solo all’urto iniziale . consapevoli che entrambi saremo sconfitti e traditi nel momento stesso in cui divenuto testo si consegnerà all’esperienza dell’altro da sé . all’esperienza del reale . ed è necessario che succeda . è vincolante – inevitabile – giusto .

spesso tutto comincia con un grumo di suono o una particella di ritmo interno che si forma lentamente (a volte impiega settimane o mesi – anche anni) e inesorabilmente risale e si incide . si ostina fino a coagularsi dietro la gola – sotto la lingua – tra i denti e le braccia . batte implacabile e concentra su di sé ogni mia massima attenzione . fisica e mentale . determina ogni movimento vitale . deve assolutamente sgorgare . infine – per tutta una serie inesprimibile di nessi e concomitanze – comincia a dire . anzi comincia a dettare – in un campo di tensione finalmente dispiegato – che si prende tutto . è allora che il testo accade . la poesia – forse – solo in quel momento accade .

dovrò poi correggere . usare ferocia – umiliare ogni compiacimento – ogni vanità e limare . strappare – intagliare – gettare – decidere e trattenere solo ciò che funziona perché risuona . perché è fedele . non so bene ancora a chi o cosa – ma è fedele – e mi conduce dentro intenzioni che sempre restano oscure . lo fa per anni . eppure mi guida . mi conserva . mi divide e mi traduce . mi distrugge e mi conforta . mi spiega . lo fa da sempre . e per sempre . nonostante gli anni i repertori e anche i miei tentativi caparbi di silenzio e separazione .

le spaziature non sono vuoto o respiro . non sono messa in scena – non rappresentano – ma sono varchi – crepe – attraverso le quali è visibile e percettibile il campo di tensione dentro il quale il corpo/testo sta agendo . anche queste crepe si sottopongono con fiducia a tutto il lavoro generale e necessario di campitura sottrazione e perfezionamento .

da sempre – sin dal mio primo libro diario del pane ho come ritrovato una familiarità una sorta di comprensione con l’andamento orizzontale dei versi e con l’obbligo che ogni elemento di composizione e decomposizione sia presente dall’inizio sino all’esito finale .

nella fattispecie in questo testo – molto recente – quindi ancora poco ripercorso dalle necessarie consapevolezze – si coagulano movimenti di una vista dal balcone della mia casa a bologna – un mattino di qualche tempo fa . durante il confinamento .

guardo verso le prime colline dopo la pianura . è mattino molto presto . giunge un pianto di bambino – distante ma insistito . tenace . come sanno essere i bambini piccoli – a volte – di mattina . molto presto . affamati – nervosi o impauriti . forse poco riposo . forse un richiamo . una paura . una stizza . non so dire bene – ma quel pianto è ‘ringhiato’ – e attiva all’improvviso tutta una serie di miei elettrodi interiori – memorie impreviste di volti e destini – ormai lontani – si appalesano immagini e voci quasi perdute – trapassate – una manifestazione violenta e vivida di una serie di ricordi di fatti e affetti – ricordi tragici – come in una specie di corale – come in un movimento a spirale . non saprei dire meglio .

di sicuro ero predisposto . stavo scrivendo in quel periodo . ero immerso . e di sicuro loro erano già lì . da sempre . come sempre . eppure solo in quell’attimo – in quel pianto – si sono rivelati .

ricordo che tenevo in mano la batteria della mia videocamera . mi accingevo ai consueti preparativi per iniziare la mia giornata di lavoro . ho provato una paura – forse – ho sentito incombere quel pianto – sovrastare ogni suono altro di quel mattino – diventare un pianto ‘generale’ .
certamente si è alimentato in me un lembo di rabbia . un antico livore . del tutto personale . un’antica domanda di senso che è andata formandosi – tra le più alienanti e inutili che sanno formarsi quando il torace è in piena .

allora – forse – quel dio è quel tutto attraversato e ancora da attraversare . destini ? tempo e i suoi paradossi ? i suoi ritorni e rituali incomprensibili ? certo qualche dato del corpo autobiografico che ha intercettato un ‘sentimento’ della moltitudine . della polvere prima e dopo il vortice . quella soglia di vuoto che per il resto della giornata ha continuato a respingermi .

stefano massari
28 gennaio 2022