Una domanda al poeta: Mary Barbara Tolusso

foto di Dino Ignani

 
 
 
 
Una famiglia felice
 
Ho sognato un letto e due cuscini, di farmi
crescere le mani di traverso per soffocarli
nel sonno. Non che non li conoscessi,
qualche fotografia, forse, qualche parente,
un gatto avrebbe potuto saperne di più.
Esitavano sull’immagine
aperta in confronto all’amore la vita
sembra solida.
A tavola, sul divano, sotto una luna
d’intonaco loro mi amano con dieci miliardi
di cellule. Solo così vivere, né si può chiedere
il riso matto dei Penati, il giocattolo di Caino.
 
Da Disturbi del desiderio (Stampa2009, 2018)
 
 

La vita, la felicità, la famiglia felice. Temi che non di rado affronti nei tuoi versi. In questo stesso libro, edito da Stampa2009 nel 2018, scrivi “Ma la vita / mica è una questione di cuore”. Nel precedente, Il freddo e il crudele (Stampa2009, 2012) scrivi, in relazione a un’altra famiglia: “è un quadro orribile / ma è una storia bellissima”. Cos’è quindi questa felicità, questa “storia bellissima ma orribile”, questo “sogno” nel quale però non “si può chiedere / il riso matto dei Penati, il giocattolo di Caino”?

Alessandro Canzian

 
 
 
 

È ciò che ci ha distrutto a causa dell’«educazione dei preti», per dirla come Giudici. O è «l’obbedienza ai precetti vescovili» di Erba. È insomma quell’educazione piccolo borghese di cui la maggior parte di noi ha goduto, credere in un bene assoluto quando la vita, nella maggior parte dei casi, riserva noia, ripetitività, piccole ombre indaffarate al lavoro e in famiglia, conformi a ciò che ci è stato insegnato. Ma l’uomo non è dio, la vita non è fatta solo di cuore e dietro alle pareti grigie delle case i Penati se la ridono. Detto ciò la felicità forse esiste, per lo più ne conserviamo memoria, difficilmente incontro persone che esprimono felicità al presente, mentre è facile sentire individui che ricordano i momenti felici. Quindi dove sta questa benedetta felicità? Se accade è per barlumi di illuminazione, rari e miracolosi istanti di beatitudine, neppure la letteratura ce la fa. Non ho mai letto un romanzo o una poesia persuasivi sulla gioia. D’altra parte come si fa? Nel mio ultimo romanzo c’è una cosa che suona così: «Come fai a spiegare a qualcuno la felicità? C’è gente che sembra abituata alla felicità e questo non può essere, perché la felicità è nota per fregarsene dell’abitudine. Uno può tentare di descriverla. “Mi sento felice”, senti ripetere a un sacco di persone. Ma mostrami la tua felicità, non voglio che mi dici che sei felice, prova a mostrare a qualcuno la tua felicità. Non sarai mai abbastanza convincente». Così i miei testi in versi si avvalgono di strutture antifrastiche, dicono appunto di una «storia bellissima» per esprimere il contrario.

Mary Barbara Tolusso