Una domanda al poeta: Emilio Di Stefano


 
 
 
 
Asterischi
 
C’era scritto sulla costa dell’ultimo libro,
lì, sulla destra, al quarto scaffale dell’esagono sacro:
“Paralipomeni”.
 
E dentro le pagine intonse,
in un quasi vergognosissimo romantico brusio,
le traversine, le aspre e sconosciute balze
posavano in uno slargo da confino.
 
Più avanti, rannicchiate, si raccontavano
le foto di Delia e di Guevara,
le ricette stilate a mano da Lucia,
l’adulta dottoressa adolescente
che si accaniva coi ragguagli sul mio cuore
 
Restavano tra i nodi gli “inutili davvero”:
i vinili da scartare per i graffi,
i rossi bevuti per piacere,
e quelli consumati
per volti e seni da tempo senza nome,
compitati nei disegni infantili alle pareti.
 
Tra quei residui inanimati,
argenteo il pesciolino dei libri
aveva lasciato la sua traccia;
e l’asterisco pareva rimandare
alla nota concludente,
la sinossi a piè pagina mancante.
 
 
da Asterischi (Samuele Editore, 2021)
 
 

La poesia come una “sinossi a piè di pagina”, una cosa marginale, un “asterisco” (da cui il titolo del tuo libro). Ma la canzone? Hanno come radice unica e condivisa le parole, e proprio quest’anno, a Sanremo 2022, dimostrerai che un poeta può occuparsi anche di musica componendo un testo che sarà addirittura tra i big di quest’anno, cantato da Iva Zanicchi. Che distanza c’è quindi tra poesia e canzone?

Alessandro Canzian

 
 
 
 

Procediamo con ordine. La mia poesia è chiaramente una nota a piè pagina. Vuole essere una postilla. Lo ha quasi come statuto perché non intende porsi, anzi non “intendo pormi”, come sacerdote. Solo come spettatore, accolito, come ho detto in altre mie poesie. E quindi è una postilla, le mie cose sono asterischi.

Con le canzoni la cosa è un po’ diversa. Il testo di una canzone non può rimandare ad altro, non può essere una postilla ad un qualcosa, ad un non detto. Deve essere molto esplicita, e questa è la prima grossa differenza tra la scrittura poetica e la scrittura nella forma di una canzone.

Esistono poi altre differenze. Innanzitutto nella canzone si è molto più condizionati dalla stesura, proprio dalla forma che significa rispetto assoluto della metrica, delle strofe, e questo implica un lavoro di costruzione piuttosto lungo, laborioso, serio. La poesia è molto più libera da questo punto di vista.

Musica e poesia hanno la stessa radice? Si. È inevitabile che a livello di sensibilità, a livello di lettura del mondo e delle cose, si riverberi anche in un testo che ha una forma e una caratteristica sua, peculiare. Però il mondo di chi scrive inevitabilmente finisce con il trasferirsi nel contesto della canzone come della poesia.

Che differenza c’è tra poesia e musica? La differenza è veramente sostanziale per certi aspetti. Innanzitutto perché, e soprattutto perché, bisogna tenere conto del fatto che la canzone ha almeno tre livelli compositivi. Non è solo di chi scrive il testo, ma anche del musicista e poi dell’arrangiatore. Per cui sono tre persone che cooperano per la realizzazione di un pezzo. E non è detto che queste tre persone lo facciano contemporaneamente né che queste tre persone siano sempre d’accordo. Bisogna saper contemplare le esigenze di tutti. Siccome io scrivo le parole, poi queste parole andranno da un musicista, poi andranno da un arrangiatore, è inevitabile che il musicista mi dica per esempio che per l’esigenza di un accento ritmico, laddove magari non lo avevo pensato, sia necessario riscrivere il testo, fare in modo che questa sua esigenza venga rispettata. Poi alla fine arriva l’arrangiatore che dirà la sua, e di conseguenza bisogna tornare indietro per sistemare il testo eccetera.

La differenza più importante però è un ulteriore elemento: l’interprete. La poesia si legge ad alta voce, l’io lirico finisce a volte con il coincidere con l’autore, quindi i piani in qualche modo si sovrappongono. Nella canzone è diverso, bisogna tener conto dell’interprete, bisogna fare in modo che le cose che uno dice siano adeguate nel tono, negli argomenti, con chi sarà poi l’interprete. Perché quest’ultimo sia credibile nelle cose che dice. E non è finita qui, bisogna anche tener conto del target dell’interprete. Non posso far cantare, che so ad Iva Zanicchi perché di lei e della nostra canzone tanto si parla in questi giorni, un testo che parli di sesso sfrenato, o delle dinamiche cittadine, perché il suo pubblico è quello di persone che si aspettano da lei certe cose. Insomma, a differenza della poesia, bisogna tener conto dell’orizzonte di attesa di quelli che sono i fruitori di una possibile canzone.

Emilio Di Stefano