Una domanda al poeta: Cristina Annino

Cristina Annino
 
 
 
 
C’è un cane in questa casa
 
C’è un cane in questa casa,
azzurro quasi una lampada,
il collo pieno d’odori,
che gira e s’aggrappa
e sul cranio
ha un inizio di tetra ansietà.
Diritto, dimentica
il viso nell’ombra
sul cumulo della schiena;
pensa all’aria, a scatti,
dove arriva, a gatti interminabili
che nella sua azzurra testa
lasciano occhi e saliva.
 
(da Anatomie in fuga, Donzelli 2016)
 
 
 
 

Gentilissima Annino,

per lei l’ispirazione è come un vento che scompiglia le carte? E gli animali? Ha sempre avuto questa bellissima propensione a ospitarli nelle sue poesie? Uno dei versi più belli e strani che ha scritto è infatti questo: “io amo la mamma e i topi!”

Paolo Polvani

 
 
 
 
 
 

Rispondo con piacere, anche se non mi è chiara la prima domanda. Che poi sarebbe una metafora.

Dunque: chi mi conosce sa che per me l’ispirazione non esiste. E che se qualcuno ci crede è per il gusto di rendere falsamente liturgico l’atto creativo. Quando dico che il mio cane sembra una lampada, è perché, guardandolo, ho quest’impressione. Così come nelle altre poesie composte per lui (si chiamava Gustav) se le immagini sono diverse, è perché differenti erano i momenti del nostro rapporto. Avrei potuto scriverne all’infinito.

Nessuna ispirazione, la cui presenza – ammessa da altri come non sempre disponibile – è per me paragonabile a quella invasiva di una badante o, nel migliore dei casi, all’imbustata supervisione di un Devoto-Oli.

Continuo a non capire cosa significhi “scompigliare le carte”.

Da sempre ho amato gli animali in modo quasi doloroso, se si può dire; di conseguenza, da sempre ho scritto di loro come ho parlato di mia madre e soprattutto di tanta gente conosciuta o appena vista. Non invento mai nulla, perché mi interessa la vita e questa, ad essere onesti, non si inventa.

Sempre mantenendo nei confronti degli animali una indubbia venerazione. Soprattutto per quelli “non amati”( i topi ricordati da lei), per quelli non capiti, per la loro comunque bellezza equivocata, pestata, resa un proverbio o una paura, una superstizione. Quegli animali insomma vittime privilegiate dell’ignoranza umana, che ancora non ha capito bene da chi noi discendiamo.

Con simpatia.

Cristina Annino