tati ale ed io – Gianmaria Giannetti


tati ale ed io, Gianmaria Giannetti (Collana iCentoLillo N.33, Pietre Vive Editore APS, 2023)

Sarebbe troppo semplice far rientrare questo ultimo lavoro di Gianmaria Giannetti sotto l’etichetta di “poesia di ricerca”, facendo riferimento a quell’insieme di esperienze poetiche contemporanee che hanno preso le proprie mosse prevalentemente dalla neoavanguardia degli anni 60, seguendo percorsi orientati allo sperimentalismo più eccentrico e originale. In realtà in tati ale ed io assistiamo a un’espressione poetica difficilmente catalogabile e quindi unica nella sua tipicità espressiva e nella sua modalità comunicativa, artistica nel senso più ampio. Gianmaria Giannetti ci mette di fronte ad una esperienza di poesia della reticenza, o meglio di poesia dell’indicibile o dell’inesprimibile, per quanto i temi trattati facciano riferimento evidentemente alla sfera più privata e autobiografica. Ogni esperienza personale che viene tradotta in versi è nel suo insieme difficilmente decifrabile, anche e soprattutto per il ricorso ad una forma espressiva ricca di omissioni, di ellissi, di non detto, di frasi sospese o al limite dello sconnesso, tutte espressioni linguistiche che lasciano il lettore costernato e incapace di una ricostruzione univoca del contesto semantico che sta alla base. Lo stesso uso della punteggiatura è equivoco, in una sorta di sgrammaticatura deliberata e consapevole. Gianmaria Giannetti porta il linguaggio fino alle estreme conseguenze della sua dicibilità e della sua indecidibilità creando un effetto di forte straniamento emotivo e cognitivo nel lettore, elementi che rappresentano la peculiarità della sua forma poetica.

Il punto di partenza di questa esperienza poetica è senz’altro rappresentato dalla regressione allo stadio infantile, eden primordiale smarrito e continuamente agognato, fatto riemergere con il tramite del recupero memoriale, per quanto qualunque tentativo di questo tipo sia sempre di per sé contraddittorio e non univoco nella rappresentazione della realtà che cerca di attuare: ne nasce quella naturale manomissione della realtà che spetta alla poesia portare alla luce e offrire denudata, senza diaframmi di sorta. Assistiamo allora ad una poesia del balbettio, delle possibilità inespresse, delle verità sommerse che solo con la lente interpretativa di ogni singolo lettore possono trovare uno spazio possibile di decifrazione e di intellegibilità. Non vi è nulla di confortante nella poesia di Gianmaria Giannetti, anzi per il lettore – come fa giustamente notare Fabrizio Miliucci nella sua nota esplicativa al termine del libro – si tratta quasi di un’esperienza autolesionistica e autoinflitta, ma l’unica strada possibile che il lettore ha a disposizione per un incontro plausibile con lo scrittore, e in definitiva con sé. La ripetizione ossessiva del titolo del libro (“tati ale ed io”) diventa allora una sorta di mantra o di formula apotropaica, l’unico punto saldo di riferimento in un linguaggio che sembra essere sempre al limite della sua deriva, sulla soglia di un naufragio dove solo il lettore può cercare di trovare un’auspicabile zattera di salvataggio.

Questa non è una poesia che va quindi compresa secondo i consueti strumenti razionali e interpretativi, ma una poesia che va vissuta interiormente secondo schemi assolutamente anticonvenzionali, nel dispregio di ogni luogo comune o di ogni facile ovvietà: percorso ovviamente condivisibile non necessariamente dalla cerchia più ampia dei lettori. Ogni dettaglio consueto, ogni parola, anche le più comuni e le più rassicuranti (come “letto”, “mare”, “mamma”), vengono completamente deformati, plasmati in funzione del ruolo eversivo e sussultorio che l’opera impone. Tutto, allora, diventa denotativo e simbolico al tempo stesso; ogni situazione, ogni riferimento temporale o topografico, ogni menzione di oggetti di uso comune diventa ambiguo e naturalmente polisemico, crea una frattura insanabile rispetto alla linearità del linguaggio e del suo sostrato semantico. È un viaggio in un cosmo in cui tutti i punti cardinali sono stati sabotati, in cui la realtà e il linguaggio stesso sono stati alterati dalla soverchiante forza gravitazionale della parola inespressa, che cerca la propria dimensione più congeniale e insieme necessaria. Il guanto di sfida lanciato al lettore è arduo, ma accettarlo significa cercare di aprire quel varco verso quelle possibilità inesplorate e per questo avvincenti che solo la parola poetica è in grado di offrire.

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
(pag. 18)
 
che non ci hanno mai detto perchè -e
e non mi sono dimenticato proprio tutto
perchè la memoria è come una bicicletta
pedala verso o contro il paradiso ma non ci sono
solo fiori farfalle nel mio stomaco
e negli occhi dei fiumi c’è un verso
 
 
 
 
 
 
(pag. 45)
 
perchè sono nato per saltare il mondo?
cadere il mondo
come un trapezista, il mondo tati ale ed io
e un mondo c’era, non, e non
m’illuminavo d’immenso disse g.g.
 
 
 
 
 
 
(pag. 51)
 
E, e al buio con le ragazze a toccarsi e
baciarsi
             e maschi e femmine e maschi e maschi
e femmine e femmine
senza sapere chi o come o perchè;
ale tati ed io; libertà di vivere senza pensare
a nulla, o il nulla,
 
 
 
 
 
 
(pag. 68)
13/09/2020 ore 14:08
 
ci guardiamo ma non ci vediamo ci vediamo ma
non ci guardiamo e non ci vediamo mai
come punti,
tigri molli che non sanno saltare
cane lupo e cane pesce e formaggio da spalmare
e nave da salvare e venti da dimenticare
 
 
 
 
 
 
(pag. 69)
 
siamo tutti disperati, dispersi, ora mai
come metalli morti e disegnati storti
come ombre e fantasmi: film in bianco e nero
al rallentatore:
 
 
 
 
 
 
(pag. 74)
 
e sono un astronauta dentro di te tati ale ed io
e dentro di; ma è tutto vero anche; è tutto vero
portami ancora, anche quando non mi ami:
e mai non mai più