Speciale: in memoria di Louise Glück (New York, 22 aprile 1943 – Cambridge, 13 ottobre 2023)


 

Si è spenta Louise Glück, poetessa americana insignita del Premio Nobel per la letteratura nel 2020 con la seguente motivazione: «per la sua inconfondibile voce poetica, che con l’austera bellezza rende universale l’esistenza individuale». Nel discorso che scritto in quell’occasione Glück si ricorda bambina, a cinque o sei anni, intenta a decidere quale poesia fosse più bella tra Il bimbo nero di Blake e Swanee River di Stephen Foster. Nel suo discorso ricorda Emily Dickinson e quei versi che tanto l’hanno influenzata e indirizzata nella scrittura «Io sono Nessuno! Tu chi sei? / Sei Nessuno anche tu? / Allora siamo in due! / Non dirlo! Potrebbero spargere la voce, lo sai».
La poesia come un segreto, un atto intimo che si svela nella relazione tra autrice e lettore. Era spaventata dalla fama, Louise Glück, sebbene nel commento al Nobel disse: «Bene, mi comprerò una casa in Vermont». Era spaventata dalla notorietà che rischia di spegnere la poesia nella sua autenticità. Autenticità che indagò spesso anche nel suo Saggi sulla Poesia, nel quale si interrogava sulla cultura americana, sull’autenticità del messaggio artistico che si sperde nell’omologazione.

«Nel tipo di arte da cui sono attratta, la voce o il giudizio della collettività sono pericolosi», scrisse ancora Glück nel suo discorso per il Nobel. Un dialogo, quello con il lettore, che la poetessa riteneva indispensabile. Solo il lettore riesce ad amplificare la precarietà e la fragilità umana trasmessi nei versi, a risignificare la parola per renderla universale.

Glück fu insignita di molti premi – dal Pulitzer per L’iris selvatico nel 1993 alla National Humanities Medal nel 2016; dal National Book Award (nel 2014) al premio Bollingen nel 2001, fino al Wallace Stevens Award, conferitole dall’Academy of American Poets –, ma credeva nella solitudine e la considerava un propulsore per scrivere.
Concludeva il suo discorso al Nobel scrivendo che alcuni scrittori non desiderano raggiungere un grande pubblico, bensì di voler raggiungere i lettori a uno a uno, radunarli nel tempo.

Abbiamo scelto alcune poesie da l’Iris Selvatico e da Meadowlands e ve li proponiamo.

In Mattutino torna la tematica del potere che schiaccia i più deboli «Perdonami se dico che ti amo: ai potenti / si mente sempre perché i deboli sono sempre / spinti dal terrore». In questo redivivo giardino dell’Eden di Iris Bianco, Adamo ed Eva dialogano con Dio, con un Dio omologato «Devi vedere / che a noi non serve, questo silenzio che incoraggia a credere / che devi essere ogni cosa». Se sei tutto, non sei niente, non sei particolare, sembra scrivere nei versi Glück e ancora, senza un conflitto interiore, non c’è tensione, nel silenzio nulla può rivelarsi: «È questo / che vuoi che pensiamo, questo spiega / il silenzio del mattino, / i grilli che non sfregano ancora le ali, i gatti / che non si azzuffano nell’orto?».

Anche nella poesia Cana riemerge la forza dell’esistenza del semplice esserci. La poetessa sceglie un fiore, la Forsizia, un fiore che nasce prevalentemente in Asia, Cina e Giappone e in alcune zone Europee. Questo fiore giallo, esempio di resistenza, è quasi un’infestante ai bordi delle strade: «La forsizia / lungo la strada, presso / le rocce bagnate, sull’argine, / con sotto i fioriti giacinti». La forsizia come simbolo della multiculturalità degli Stati Uniti, dei popoli che la abitano che sono percepite come minoranze, simboli della resistenza come lo sono i giacinti. In questa poesia Glück esprime il suo dolore per ciò che non è più, ma con grande controllo ammette il cambiare delle forme come necessario passaggio di vita; «un qualche oggetto terreno trasformato». La dimensione del ‘per sempre’ non appartiene alla vita sulla terra.

In Parabola della bestia la Poetessa ritorna sul tema del potere e in Nostos Glück riprende le tematiche dell’infanzia come vero fulcro dell’esistenza: «Guardiamo il mondo una sola volta, nell’infanzia. / Il resto è ricordo». Tutto ciò che dobbiamo imparare, tutto ciò che conosciamo, lo vediamo solo con gli occhi sinceri dell’infanzia, con gli occhi che la poetessa, come abbiamo visto dal suo discorso al Nobel, fin da giovanissima aveva posato sulla poesia.

Nell’ultima poesia scelta, Otis, Glück indaga i sentimenti, la tensione delle relazioni che ha spesso indagato nei suoi scritti. La poetessa stringe un disco, forse il simbolo della poesia, della musicalità che rincorre e che è quello che le rimane quando le relazioni non sono più, simbolo dello strumento attraverso il quale può ricordare. La scrittura rimette al mondo e rende eterne anche le vite che sono sempre rimaste ai margini – sembra dirci.

Il solitario lavoro letterario di Louise Glück è l’esempio che c’è uno spazio dove la lingua si rafforza e riesce a non omologarsi, questo spazio pretende un passo a lato rispetto alla cultura di massa per aprire uno spazio intimo dove la lingua può lavorare attingendo dall’infanzia.

Elisa Longo

 
 
 
 

Segue un estratto da L’Iris Selvatico, raccolta del 1992, nella traduzione di Massimo Bacigalupo, edito da Il Saggiatore nel 2020:

 
 

 
Mattutino
 
Perdonami se dico che ti amo: ai potenti
si mente sempre perché i deboli sono sempre
spinti dal terrore. Non posso amare
ciò che non posso concepire, e tu non riveli
praticamente nulla. Sei come il biancospino,
sempre la stessa cosa nello stesso luogo,
o sei piuttosto la digitale, imprevedibile, prima apparsa
come stecco rosa sul pendio dietro le margherite,
e l’anno dopo, violacea nel roseto? Devi vedere
che a noi non serve, questo silenzio che incoraggia a credere
che devi essere ogni cosa, la digitale e il biancospino,
la rosa vulnerabile e la margherita resistente: finiamo col pensare
che non potresti esistere. È questo
che vuoi che pensiamo, questo spiega
il silenzio del mattino,
i grilli che non sfregano ancora le ali, i gatti
che non si azzuffano nell’orto?
 
 
 
 
 
 

Segue un estratto da Meadowlands, raccolta del 1996, nella traduzione di Bianca Tarozzi, libro edito da Il Saggiatore nel 2022:

 
 

 
Cana
 
Cosa potrei dirti che non sai
per farti di nuovo tremare?
 
La forsizia
lungo la strada, presso
le rocce bagnate, sull’argine,
con sotto i fioriti giacinti —
 
Per dieci anni sono stata felice.
Eri là; in un certo senso
eri sempre con me, la casa, il giardino sempre illuminati,
non con la luce che c’è nel cielo
ma con quegli emblemi di luce
che sono più potenti, essendo
implicitamente un qualche oggetto
terreno trasformato —
 
Ed è tutto svanito,
riassorbito nel processo impassibile. Poi
cosa vedremo,
ora che le gialle torce sono diventate
rami verdi?
 
 
 
 
 
 
Parabola della bestia
 
Il gatto si aggira in cucina
con l’uccello morto,
sua nuova acquisizione.
 
Qualcuno dovrebbe discutere di
etica col gatto mentre quello
indaga sull’uccello afflosciato:
 
in questa casa
non sperimentiamo
la volontà in questo modo.
 
Questo dillo all’animale
coi denti già affondati
nella carne di un altro animale.
 
 
 
 
 
 
Nostos
 
C’era un melo nell’orto —
saranno stati
quarant’anni fa — dietro,
soltanto pascolo. I petali
del croco sull’erba umida.
Ero a quella finestra:
fine aprile. I fiori
di primavera nell’orto dei vicini.
Quante volte, davvero, l’albero
è fiorito per il mio compleanno,
esattamente quel giorno, non
prima, non dopo? Sostituzione
dell’immutabile
con quel che muta, che evolve.
Sostituzione dell’immagine
con la terra incessante. Cosa
so di questo luogo,
il ruolo dell’albero per decenni
sostituito da un bonsai, voci
che giungono dai campi da tennis —
Prati. Odore dell’erba alta, tagliata da poco.
Come ci si aspetta da un poeta lirico.
Guardiamo il mondo una sola volta, nell’infanzia.
Il resto è ricordo.
 
 
 
 
 
 
Otis
 
Una bella mattina: non è morto
niente durante la notte.
I Lights stanno montando i telai per i fagioli.
Rinascita! Rinnovamento! E attraverso il cortile,
molto in sordina, qualcuno sta suonando Otis Redding.
 
Ora i grandi temi
si riuniscono di nuovo: ho ventitré anni, sono in metropolitana
all’inseguimento di Chassler, del mio amore perduto, mi tengo stretto
il mio disco, perché voglio sentire
questo esatto suono ovunque io approdi, in qualsiasi
appartamento — di chi erano gli appartamenti
che visitai quell’estate? Non ho idea
di dove sto andando, sto per lasciare New York, per vivere
in paradiso, a quel tempo
non concepisco il cambiamento, non posso sapere cosa
accadrà a Chassler, al mio ossessivo bisogno, il mio unico pensiero è
che il solo dolore simile al mio è il dolore di Otis.
 
Guarda, i telai
sono sistemati: Steven
li ha messi in equilibrio al primo tentativo.
Ora i semi entrano nel terreno, ecco Anna
seduta per terra con il pacchetto aperto.
 
È finita, non è così? E
tu sei qui con me di nuovo, ascolti con me: il mare
non mi tormenta più; quello
che desideravo essere è quel che sono.