Speciale Angelo Maria Ripellino: intervista ad Alessandro Fo


 

In occasione del centenario della nascita di Angelo Maria Ripellino (Palermo 4 dicembre 1923 – Roma, 21 aprile 1978), la redazione di Laboratori Poesia ricorda il poeta e slavista siciliano attraverso uno Speciale a cura di Vernalda Di Tanna. Trattasi di un focus triangolare realizzato attraverso un’intervista di Vernalda Di Tanna ad Alessandro Fo (uno dei curatori del volume Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, Einaudi, 2007), il notevole contributo di un collaboratore esterno, Michele Paladino (Ripellineide – note, convergenze, stratigrafie, QUI), una Poesia al microscopio di Fabio Barone (Quanta fatica per raggiungere la gioia, QUI). La redazione di Laboratori Poesia ringrazia il Prof. Alessandro Fo per avere accettato l’intervista.

 
 
 
 

Vernalda Di Tanna: Lei ha curato diverse edizioni delle opere di Angelo Maria Ripellino, sia autonomamente sia in gruppo, come avvenne per Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde (Einaudi, 2007), il volume della ‘bianca’ curato assieme a Federico Lenzi, Antonio Pane e Claudio Vela. Può raccontarci com’è sbocciato in Lei l’interesse per l’autore di Praga magica?

Alessandro Fo: Mi sono laureato in lettere alla «Sapienza» di Roma; sapevo che vi insegnava russo questo eccezionale maestro, di cui conoscevo per varie ragioni la grandezza (fra l’altro, sono cresciuto in una famiglia di teatranti e seguivo la rubrica di eccentriche e geniali recensioni teatrali che Ripellino teneva su «L’Espresso»). Avevo comprato vari suoi libri, di saggistica e di poesia, che mi riservavo di leggere quando ‘un giorno’ sarei stato libero dagli esami e dai successivi impegni del mio curriculum di classicista. Andavo occasionalmente a seguire lezioni di corsi tenuti da celebri e riconosciuti intellettuali, per il piacere di avere l’occasione di vederli all’opera. Così feci per Ripellino, all’inizio dell’Anno Accademico 1977/78: ma a quella prima, affollatissima lezione, si presentarono solo gli assistenti e una di loro, in lacrime, annunciò che Ripellino era molto malato e non avrebbe tenuto il suo corso (si sarebbe poi spento il 21 aprile del 1978).

Vari anni dopo, il 5 aprile del 1986, a Trieste, frugando fra i libri di una libreria antiquaria, trovai la sua raccolta Lo splendido violino verde (Einaudi 1976), di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza. L’acquistai, quella sera stessa la lessi, e mi innamorai profondamente di quelle poesie: era venuto il momento di accantonare i ‘miei’ classici e dedicarsi alle letture ripelliniane per tanto tempo rinviate. Ero in corrispondenza con un poeta e studioso casualmente incontrato a un premio di Poesia, Antonio Pane: anche lui nutriva da tempo una passione per Ripellino. Iniziammo allora a coltivare un progetto di ‘riscoperta’ e rilancio dell’autore da noi tanto amato. Nel 1988 incontrammo sua moglie Ela che ci aiutò ad approfondirne la figura, e da allora abbiamo mantenuto vivo (ed esteso, per fortuna, ad altri amici) questo fuoco.

 

V.D.T. Ne Il Malpensante. Lunario dell’anno che fu di Gesualdo Bufalino leggiamo: «Amici che avrei voluto avere: Théo van Gogh, il dottor Čechov, Angelo Maria Ripellino». Quali sono gli scrittori e i poeti del passato che Lei avrebbe voluto avere come amici?

A.F. Ripartirei da qui e direi «il dottor Čechov, Angelo Maria Ripellino…» (mi stupisce la scelta di Théo van Gogh), cui potrei associare moltissimi altri nomi; aggiungerò i principali: «Saffo, Lucrezio, Catullo, Virgilio, Petronio, Rutilio Namaziano, Dante, l’Ariosto, Teofilo Folengo, Shakespeare (ho una passione per La tempesta)» e, più avanti nel tempo ‒ mi rendo conto dell’esagerazione, e confido nell’aldilà ‒ «Giacomo Leopardi, Fryderyk Chopin, Thomas Hardy, Guido Gozzano, Clara Schumann, Jane Austen, Gustav Mahler, Gustav Klimt, Costantinos Kavafis, Ernesto Ragazzoni, Marcel Proust, Hermann Melville, Anna Frank, Cesare Pavese, Primo Levi, Carlo Emilio Gadda, Antonio Pizzuto, Sandro Penna, Margherita Guidacci, Jorge Luis Borges, Marguerite Yourcenar, Iosif Brodskij, Bruno Barilli, Giorgio Strehler, Wisława Szymborska, Fosco Maraini, Toti Scialoja»…

 

V.D.T. Lei, come Ripellino, è anzitutto un poeta. E le sue poesie evocano i versi che l’hanno profondamente segnata, come quelli di Gozzano e Ripellino. Potrebbe riportarci una sua poesia ‘ripelliniana’ e raccontarci un aneddoto sulla stessa?

A.F. La ringrazio per questa associazione e per questa domanda. In effetti, in più di un caso mi è capitato di avvertire un qualche ‘spunto’ di provenienza ripelliniana a fare da motore a qualche mio testo, fin dalla mia prima raccolta (Otto febbraio, All’insegna del Pesce d’oro, 1995), che gli dedica la sezione Resistenza del violino, in cui compaiono, fra l’altro, una poesia dedicata a sua moglie Ela, connessa alla silloge ripelliniana La Fortezza d’Alvernia (Rizzoli 1967), e un acrostico relativo a un ex allievo di Ripellino molto ‘umorale’, che, ogni volta che può, cerca di sminuire il lavoro del gruppetto di appassionati di cui faccio parte. Ancora nella mia ultima raccolta, Filo spinato (Einaudi 2021), ci sono almeno tre testi che riguardano Ripellino: Garage da sgomberare in Liguria, su un possibile recupero di sue lettere, purtroppo poi sfumato; In morte di un amico di facebook, che ricorda Ohannes (Giovanni) Choukhadarian, un appassionato del nostro poeta, conosciuto esclusivamente su quel social; e Laura alle Poste di Via A. M. R., dove, se la via intestata a Ripellino è da me inventata, il ricordo di un’impiegata postale di Roma che, vedendomi spedire poesie, mi chiedeva quando avrei finalmente scritto «un libro vero», favorisce una riflessione sulle sorti della poesia di Ripellino e mia.

Ma, di fronte a questa vostra gentile richiesta, penso che il documento più pertinente possa essere un testo apparso nel mio Giorni di scuola (Edimond 2000), e nato subito dopo una trasmissione radiofonica della serie Lampi, dedicata a Ripellino, cui fui invitato accanto a altri studiosi (e suoi ex allievi!), pronti a introdurre riserve e distanze. Quel loro atteggiamento ‘di superiorità’ mi suscitò un certo sdegno, ma in compenso ‒ e che compenso! ‒ in quella trasmissione ebbi per la prima volta l’occasione di ascoltare, con profonda commozione, la voce di Ripellino, grazie a una registrazione recuperata da Rai Teche. Oltre all’epigrafe, tratta dalla raccolta einaudiana del 1969, il testo che mi permetto di proporvi richiama allusivamente un celebre ‘lamento’ dell’ultimo libro di poesie di Ripellino (Autunnale barocco, Guanda 1977, poesia n. 17: «Non si accorgeranno nemmeno/ di quello che hai scritto./ Getteranno i tuoi versi tra gli stracci vecchi./ Resterai sguattero, guitto/ in questa fiera di gattigrù delle lettere […]»):

Lampi per Ripellino
(via radio il 13 novembre 1998)

L’amabile arte di farsi dei nemici
pascendosi di fumo di poesia
Notizie dal diluvio, 63

La Vostra voce finalmente intesa
la prima volta, tanto attesa, insignita di
naturalezza, profondità, una lesa
consapevolezza della vita;
seguita dai gorgheggi petulanti
di saputelli slavisti pedanti
montati sui di Voi, penna e pavone,
ma in gran fastidio per la Vostra lezione
e ansiosi solo di liquidare il peso
di un Angelo e Maria così ingombranti.
 
Impagabile la remunerazione:
che vi sia un luogo, da oggi, in cui venate
di uguale accento nasale e malinconico,
circonflesso a un sublime anche ironico
(e, qua e là, corrucciato
dal futile meló dei gattigrù
stonati in chiave d’io e non già di lui)
stian l’una in fianco all’altra le due voci
Vostra e del Vostro, Maestro,
qua e là maldestro,
sguattero, guitto avvocato.

 

V.D.T. Lo splendido violino verde è la quinta – e penultima – raccolta di versi di questo poeta «imbrattato delle fuliggini del Mitteleuropa» che amava compiere un «esercizio di giocolería e di icarismo sul filo dello spàsimo». Quali sono i versi che preferisce di questa raccolta e perché?

A.F. Come ricordavo sopra, Lo splendido violino verde è stato per me un vero libro da conversione: è sulla spinta di quella lettura che il mio percorso intellettuale ha operato una autentica ‘diversione’ (ne ho scritto più in dettaglio nella postfazione alla prestigiosa, fondamentale edizione commentata dell’opera, preparata da Umberto Brunetti, Artemide 2021, con prefazione di Corrado Bologna). Ne ho avvertito forte l’impatto dal primo componimento (in cui il poeta scrive di sé: «non riesce più a stringere i nodi,/ affoga nell’immensità dei propositi,/ si perde in fumose giràndole,/ sente di essere ormai l’improprio, il superfluo,/ un fuori tempo, una sperduta Groenlandia») alla splendida chiusa dell’intero libro, con quell’acrobatica rima:

[…] Avanzare con grandi falcate di goffa pavana,
gonfiarsi come una rana.
Riempire di propri scartafacci la stiva,
sognare che il nome
fra tanto oblio sopravviva.
 
Quanta enfasi, quanta arroganza cetrulla.
O vita, o Hanna Schygulla,
sciantosa di varietà, sulla riva
del Nulla.

E tuttavia se dovessi indicare il punto apicale, quello in cui ho interiormente deciso che avrei mollato tutto e mi sarei dedicato a leggere a tappeto Ripellino, non potrei che additarlo nella poesia 67 (solo in seguito ho appreso come nascesse: faceva parte di una serie di poesie, disseminate lungo varie raccolte, ricavate dalle mestissime lettere che da Praga, occupata dai Sovietici, la loro amica di sempre, l’attrice Zora Jiráková, indirizzava a lui e sua moglie; l’ho ripercorso in Angelo Maria Ripellino, Il ‘ciclo di Zora’, nel volume di Marco Albertazzi e Marzio Pieri, Gli invisibili. Antologia-saggio del 900 poetico italiano alternativo, Lavìs-Tn, La Finestra Editrice, 2008, pp. 179-200). Mi permetto di riportare il bellissimo testo:

È tanto che non ti scrivo. Non ho tue notizie. Ma sempre
spero che un giorno tu possa tornare
nella città che hai cantato.
Come stupide navi si dissolvono gli anni.
Io recito al Wolker. Sono serena. Il passato
lo tengo lontano, sui margini, come un intruso.
C’è solo un filo di ignobile malinconia,
che trapela talvolta di sotto una porta,
ma io riesco a tagliarlo, fingendomi ottusa
e decrepita come una mummia di Strindberg.
La primavera ha inondato di bionde forsythie
la piccola casa in cui vivo, in cui studio le parti.
Com’è duro parlarsi a distanza,
quando l’armadio del cuore
vorrebbe aprirsi in un fiotto di chiacchiere.
Eppure vedrai, se verrai: dopo secoli
non avremo che dirci, vi sarà solo un attònito,
goffo, appallottolato, bruciante silenzio.

 

V.D.T. Per concludere: un consiglio ai giovani lettori che si avvicinano per la prima volta a Ripellino?

A.F. Il capolavoro assoluto è giustamente ritenuto Praga magica, il grande saggio sulla cultura boema che Ripellino scrisse sull’onda della nostalgia, dopo che l’occupazione sovietica lo tagliò fuori dalla città che aveva così profondamente amato e in cui ‒ come scrive ‒ avrebbe voluto trascorrere il tramonto della propria vita (un ulteriore approfondimento del sostrato di questa mirabile e poetica rêverie è la raccolta di articoli sulla cosiddetta Primavera di Praga: L’ora di Praga. Scritti sul dissenso e sulla repressione in Cecoslovacchia e nell’Europa dell’Est (1963-1973), Le Lettere 2008).

Sulla base della mia personale esperienza, non posso che suggerire ‒ se si vuole scoprire il poeta ‒ di cominciare da Lo splendido violino verde, magari proprio nella ricordata edizione con commento di Umberto Brunetti, che ne svela molti ‘segreti’.

Se i giovani lettori sono maggiormente interessati al teatro, allora suggerirei di partire da Il trucco e l’anima, I maestri della regia nel teatro russo del Novecento (Einaudi 19651) o dalla raccolta delle recensioni teatrali Siate buffi, Cronache di teatro, circo e altre arti, Roma, Bulzoni 1989.

Piccoli capolavori di intelligenza, acume, scrittura (leggere Ripellino significa anche arricchire radicalmente i propri mezzi espressivi, imparare a selezionare ciò che conta e a formularlo in maniera mirabile) sono i singoli, brevi, ma spettacolari capitoli, di Letteratura come itinerario nel meraviglioso (Einaudi 1974) e Saggi in forma di ballate. Divagazioni su temi di letteratura russa, ceca e polacca (Einaudi 1978). Tutte le corrispondenze giornalistiche sono raccolte in Iridescenze, Note e recensioni letterarie (1941-1976) (Aragno 2020), che ‒ come Siate buffi ‒ si traduce, per i giovani amanti della letteratura, anche in un manuale di metodo su come condurre la critica breve senza incorrere in quello che Ripellino stesso definì «il tiravìa giornalistico».

Da qualunque parte lo si accosti, il ricco e così nutritivo mondo di Ripellino si muove all’insegna di un motto che esprime anche una forma di resistenza e opposizione alla bassezza di tanta parte dell’attuale assetto della nostra società (Notizie dal diluvio, n. 22): «Aridità, ti respingo con tutta l’anima:/ proterva aridità, mia coetanea».

 
 

In copertina: Angelo Maria Ripellino e Giulio Einaudi

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