Soda caustica – poesie per il centenario del terremoto del 1915 è un progetto editoriale di Dimitri Ruggeri Di Nella (attualmente in ebook) che vuole, in qualche modo, riprendere il valore epico della poesia. Una definizione molto banalmente tratta da wikipedia vuole la poesia epica un componimento letterario che narra le gesta, storiche o leggendarie, di un eroe o di un popolo, mediante le quali si conservava e tramandava la memoria e l’identità di una civiltà o di una classe politica.
Dimitri Ruggeri non tradisce, a mio avviso, questa semplice definizione che si appoggia su ciò che in effetti è gesta, pur privando l’azione del suo soggetto. O perlomeno del suo soggetto umano. Perchè in questo caso le gesta sono della terra, vera e grande protagonista del libro, che ha tremato nel Centro Italia nel 1915 causando 30 mila morti in un periodo che è stato, per ironia della sorte, a pochi mesi dall’inizio della Guerra. E forse è proprio questa vicinanza accidentale e in qualche modo ricordata nel libro (Indarno le rondini s’apprestano a tornare / e senza nidi a vagare. / La terra, schiantata ancora dal maestrale, / accarnerà le umane bombe del male) a rendere particolarmente toccante questa vicenda degli uomini.
Lello Voce in prefazione parla di una una sorta di Spoon river, una dopo l’altra, si raccontano e raccontano il prima, il durante e il dopo del terremoto. […] La memoria dell’evento è precisamente in questo cortocircuito tra regola e caos, tra scandito ed imprevedibile, nel tentativo di progettare l’aleatorietà integrale della morte. Ma il caos sono in realtà quei personaggi secondari che si avvicendano in un’umanità più terribile del terremoto stesso, più crudele. Pur non minimizzando un solo attimo la tragedia. Alessandro Fo, nel suo commento al libro, in maniera del tutto azzeccata dice che Dimitri per lo più segue da vicino con partecipazione i paradossi e le singolarità cui ciascuno fu improvvisamente posto di fronte, raccontando vicende e ricostruendo atteggiamenti con una singolare vitalità. Il taglio corale che risulta dall’intreccio di storie fa sì che il libro si trasformi in monumento, e rappresenti così una particolare declinazione sociale e pubblica della voce di un poeta.
E se è vero che la poesia epica serve a raccontare un mondo inevitabilmente sottolineando quelle caratteristiche positive e negative mai tramontate nell’essere umano (rendendo, insomma, l’epica estremamente attuale), ecco che allora Soda caustica ha la grande e ardita aspirazione, in una qualche misura riuscita, di raccontare l’essere umano di oggi (tra tutti, attraverso i pugliesi che non trovando la presenza fisica di alcuno, depredarono ogni cosa rimasta e, in seguito, nel processo di ricostruzione, si comportarono come costruttori senza scrupoli). Di ricordare le cose già successe per dire le cose che succedono e che succederanno, in pieno accordo col significato che la storia ci ha insegnato avere la parola epos.
Un progetto, ripeto, molto ardito quello di Dimitri che è da considerarsi riuscito nel momento in cui lo si considera una buona tappa di crescita di un autore che sta seguendo una strada convincente, non del tutto inedita oggi, ma sicuramente promettente. In un percorso dove la caduta è sempre dietro l’angolo data la complessità della tecnica comunicativa che si è scelta, ma all’interno della quale Dimitri sta dimostrando già buona prova di sé. Una prova non conclusiva, lo ripeto, ma interessante.
Morto per un asino
Guarda l’occhiale con le montature in oro!
Ha le lenti frantumate come un rosario.
Volevi fuggire in groppa al tuo nobile ronzino?
Peccato! Ti è finita la trave addosso!
Volevi fuggire in groppa all’infaticabile asino del tuo servo?
Peccato!
Non fu casuale la zoccolata
che ti arrivò memorabile sul già fracassato naso.
Morto per il terremoto?
No!
Morto per un asino!
Baracche
Baracche risorte tra stracci squassate
su cave e muraglie stanno adunate:
è guazzo mortale!
Il prete s’arrende alle tende ammainate.
S’aspetta chiunque qui possa posare:
vanghette e zappette.
Innanzi, aiutare!
Puntella il geniere
a esplodere in cielo il buio tacere.
Recinge l’adunca dimora il ferroviere.
Un vagone scuoiato a morte risuona
e la neve, non lontana, la morte sorvola.
La putrella ritrovata
(a mio nonno che si salvò, a suo dire,
rimanendo immobile su una trave)
Sulla putrella accesa di diafana polvere,
immobile, fanciullo, tu stavi diagonale,
col piedino acciaccato e imbiancato
tra la cerniera della porta sbalzata,
come un vetro verde ammorbidito al Sole.
Immobile fu tutto il resto
insieme al treno che tanto amavi
di cui non sentivi più il tremore.
E giocavi, sull’abaco ritorto,
a “Tutti giù per terra”,
allegro e gioioso senza nenia acclamata.
(Come il girotondo perso
sulla forma dimenticata del gessetto
sbiancatosi a morte sulla bica delle nonne)
Scagliàti i disegni di altri bimbi tra i petardi,
come colpi di fucile;
chissà da chi schioppati.
In un quadro rimosso,
attoscato e sepolto,
giocavi a “Tutti giù per terra”.
Immobile fu tutto il resto
insieme al treno che tanto amavi.
Il gruzzolo pugliese
Un gruzzolo di monete avvolto in cenciosi stracci,
si raggomitola con cura e si rabbocca
sotto la mattonella della stufa a legna:
che pace che c’è!
Il caldo del metallo, il pane sfornato
e l’abitino per il malocchio appeso al collo.
Poi, un pugliese, dal ventre grasso,
lo raccoglie.
Poi, un pugliese, dal ventre grasso,
scatarra sui capelli
di tua moglie che ancora stringe le mani
trincerate sotto il masso.
Che pace che è stata!
Tutto in un istante, ma l’istante dopo:
quello esautorato.
Voci
Ho una gamba di pietra, l’altra – venosa – è recisa
come l’alito del fiore ammorbato dai squallidi grigi.
I colori rubano via i colori.
Il nero luttuoso porta via le ultime voci dei bambini
che mai più saranno bambini
ma morti che vivranno nei loro morti.
La dentiera
Bagorda dentiera!
Tremasti anche tu
tra l’acqua battente sul vetro di Murano.
Ma quante ne avevi?
Fracassàte a terra tra rigagnoli
di lucciole in mezzo alla caligine.
Che bella doveva essere stata quella notte!
I luciferini mugghiavano
e respiravano sui morti
e sbattevano i denti dalla paura.
Bagorda e ingorda fu quella notte!
Sfavillavi più delle farfalle
in mezzo a quella partita veneziana
andata a male che conta i secoli delle ferite
senza più valore,
senza più brillare, senza più balbettare.
Ingordi furono quei denti che mordono i morti.
Un rosario cementificato si intreccia
in sé stesso come una palla da giuoco rappezzata.