Si vive divisi in due – Antonio Bux


Si vive divisi in due di Antonio Bux (Lamantica Edizioni, 2018).

Vedere tutto è il titolo dato ad alcuni versi di Antonio Bux, poeta e direttore di collane letterarie, che ci sembra ideale per esplicitare l’acuta osservazione del mondo e di sé che egli ha ormai raggiunto con una certa profondità, come dimostra la recente pubblicazione (contenente la poesia di cui sopra) Si vive divisi in due – versi scelti (2000-2018) uscita per i tipi della bresciana Lamantica, piccola casa editrice che il suo direttore e fondatore Giovanni Peli promuove tramite un catalogo di opere scelte a tiratura limitata e numerata. Il volumetto, in elegante carta azzurra, ricomprende un’ampia selezione di versi composti in diciott’anni di attività, editi da svariate realtà editoriali, alcuni dei quali tradotti in lingua spagnola e qui sapientemente raccolti. Si rinviene talvolta nell’ampio respiro della scrittura quell’operazione di sottrazione ideale che Calvino riteneva precipua del fare letteratura: è così per Bux che necessita di osservare l’altra persona nelle orme della sua assenza, nel dire ciò che manca, ciò che è deminutio (con malcelati echi bertolucciani), ma il poeta resta comunque smarrito lungo il filo dei giorni e più non sa quale sia “la data da cui rientrare” in questo “mondo che sopporta il rumore” e che “forse non cambia”. C’è un’universalità nella poesia dell’autore che gli fa abbracciare territori spazialmente lontani eppur intimamente collegati alla propria esistenza e altrettanto è costante nel dipanarsi del verso un’esigenza di immaginazione, rafforzata dalle sfaccettature di una mente affastellata di ricordi e di fantasia. L’amore sovrasta il pensiero, ne inghiotte ansia e perdizioni, viene enucleato fino a farsi quasi eterno (“Vorrei dormire di te per altri cento anni”) di fronte al “gioco della solitudine” in “cui saremo in molti coi fantasmi promessi e le chiese piene di discepoli”. Anche per Bux citando Arminio c’è una terra-carne fortemente e necessariamente collegata allo snodarsi dei giorni, quella terra “tutta aperta”, “tutta viva”, onniveggente. Resiste nell’esperienza poetica di questo vivace letterato il senso di un oltre, il capovolgimento immaginato del mondo, bene esemplificato dai pochi ma incisivi versi di “Verrebbe da ridere” con il cielo che si trasforma in uno specchio a cogliere la pioggia provenire dalla terra. Si cela nella poesia quella maturità acquisita, una sorta di chiaroveggenza che è propria solo dei poeti capaci di andare oltre l’immanenza per travalicare tempo e spazio in un dialogo silenzioso con la divinità: così Bux auspica la possibilità di trascorrere serenamente anche la morte seppur sia conscio che “non c’è tempo per chi vive, non c’è scampo” poiché “i giorni sono rose, e le rose ammaliano” lasciandoci solo il profumo di un desiderio che non si riuscirà mai a cogliere appieno. Forse, allora, non resta che immaginarsi ancora piccoli di vita ché in questo modo “si scrive con l’occhio alienato e semplice come semplice il cuore”. Poesia, in fondo, dev’essere un’operazione pari se non coincidente a quella di “amare senza sapere”, confessa il poeta pugliese, che si sente strettamente intriso di scrittura tanto da definire le parole quale “mia famiglia”, forse la sola in grado di non mentire, di non deludere, di non tradire a dispetto delle difficoltà di cui è costipato il vivere di ciascuno di noi.

 

Federico Migliorati

 
 
 
 
SPECCHIO
 
Mi piace guardarti quando non ci sei:
vedo le pieghe sul divano dove affondavi
le tue gambe, appese tra le domande
fatte ai muri, su come poterti proteggere
dalla mia ombra minacciosa sul soffitto
quando ti guardavo per sembrare più vero,
quando per guardarti dimenticavo il pensiero,
come adesso, che ti guardo per vedermi diverso
 
 
 
 
 
 
VEDERE TUTTO
 
Cos’era un pomeriggio
se non un pretesto per non morire
troppo ogni sera, o invece arrivare
all’alba di ogni luogo sfiniti e sperare
nel tempo, per ricominciare. Ma tornava
il buio a scoprire i volti, come una sorpresa
te ne stavi rannicchiata nel mio palmo
e tacevi fino a quando non si spariva.
Come allora noi non esistiamo davvero
possiamo solo l’ombra sugli oggetti
e lasciare la nostra polvere a testimone
di quel che non potremo ripulire da noi
rimanendo nell’alone dello sguardo
un riflesso che luccica se non quando
aprendo le mani verso il cielo dell’altro
chiudiamo gli occhi e vediamo tutto.