Nessun nome sulle cose – Wolfango Testoni

Nessun nome sulle cose – Wolfango Testoni

 
 
 
 
Ho sognato mio padre, era morto, seduto
al tavolino di un bar, già avvolto
da una luce maggiore tra i molti
                e guardava la strada.
Sembrava più alto,
pulito. Distratto guardava la strada
 
                e anch’io mi sentivo una cosa
che lenta si raffredda.
 
 
 
 
 
 

Noi amiamo sempre malgrado tutto; e questo “malgrado tutto” copre un infinito.
E. M. Cioran

 
Non guardare troppo le cose. Passa
veloce l’angolo del muro, entra esci
trasporta. Non guardare,
non fare d’ogni mensola una faccia
e appendi più lontano da te
                 il calore morto.
Annodalo, è uno straccio.
 
               Imballa,
chiudi l’acqua e non scrivere
nessun nome sulle cose
perché in te rimanga il segno
di una vecchia beatitudine.
 
Se fai trasloco
non contare i passi. Non voltarti indietro.
Chiudi la porta e consegna le chiavi ad altri.
 
05/12/13
 
 
 
 
 
 
Le gatte, previdenti, non sprecano nulla,
se il latte manca o un male solitario
minaccia la nidiata, divorano i gattini
               come topi.
Una saggezza a dir poco imperdonabile.
 
 
 
 
 
 
Così staccato, colpito, forse
con un rumore secco maturato
dentro
per giungere al traguardo
della stizza, dello schianto, la caduta
e un pomo di parole che rotola
di poco. Parla
 
parla pure. Oggi
nemmeno i tuoi capelli
                sembrano vivi.
 
 
(Wolfango Testoni, In un mutare o nel nulla, Stampa 2009, 2020)
 
 
 
 

Ereditiere della scuola lombarda, certamente Testoni sembra incarnare nella sua poetica una certa vena realista attorno alla narrazione poetica; ed è così che la parola risulterà cinica, se non anzi disincantata e tendenzialmente assuefatta dall’affaccendarsi della vita e delle questioni umane, conservandone la completa amarezza di un’esperienza mai completa e mai completabile.

Ma non per volontà intrinseca al dettato si riscontra quest’attitudine verista attorno alla realtà, quanto più sembra essere la necessità di afferire all’esperienza originale dei fenomi l’atteggiamento che anima l’ultima prova poetica di Testoni. Infatti, quando il dettato si distende sulla carta, lo stile che ne emerge si concretizza in modo equilibrato, seppur rigoroso, attorno alle occasioni del canto; senza eccedere in un’emotività esasperata, né disperando l’affanno di assumere una verità di fondo che esaurisca la ricerca in un componimento.

Quasi principiando da un’immagine, piuttosto che un concetto (onde non ricadere nella verbosità opaca, né cedendo alla tentazione sintetica e gnomica della conoscenza) il tema ricorrente dei componimenti sembra essere l’intrecciarsi della visione concreta dell’esperibile e dell’afflato narrativo che passa necessariamente per la sensibilità dell’artista, ben consapevole e della natura più intima della materialità, e del comandamento a cui è tenuto ad obbedire ogni componente della esistenza.

Questa compenetrazione degli accadimenti, controcanto della certezza dolorosa e inevitabile, sembra aderire alla compostezza ed alla compitezza della versificazione – come forma intesa a contenere nella loro completa rassegnazione alla fine ineluttabile gli eventi, sottoposti alla presenza costante della morte che ogni essere vivente, coerentemente al proprio esistere, conserva.

E sarà nell’apparentemente insignificante da cui si apprende la genesi delle parole di Testoni che si indova una fiducia sincera nella parola, non escludendo anche che questa come ragione ultima (ed unica) dell’umanità. In effetti, piuttosto di fornire una cura – o quantomeno una compassione, ovvero un moto che sia di conforto o consolatorio – il verso di Testoni sembra offrire un disciplinato metodo tramite il quale approcciare serenamente il pensiero della morte.

Perciò, non cercando vie di fuga né esorcizzandone né le cause né gli effetti, e nella piena coscienza della precarietà dell’essere umano, l’autore afferma l’anelito desideroso di penetrazione della fabbrica reale. Proprio in forza di questo, il canto trattiene una funzione sostanzialmente pratica, come se originasse dalla necessità di comprensione e di razionalizzazione del paradigma esistenziale.

Quasi seguitando una modalità impressionista della rappresentazione, e pur tuttavia non lesinando in una certa produzione ecfrastica descrittiva della narrazione, dall’opera si approda da un rapporto sostanzialmente intimo tra poeta e realtà, ad un controllata (seppur sofferta) distensione della campitura di significazioni che Testoni riesce a squadrare.

 

Carlo Ragliani