Si resta sempre altrove – Stefano Vitale


Si resta sempre altrove - Stefano Vitale

Si resta sempre altrove, Stefano Vitale (Puntoacapo, 2022)

Il nuovo libro di Stefano Vitale, Si resta sempre altrove (Puntoacapo, 2022, prefazione di Alessandro Fo e postfazione di Alfredo Rienzi), si apre con una poesia-prologo che dispone a un dire epifanico, e già contiene una chiave di lettura della raccolta: “Ma siamo questa forma che rinasce / e si deforma nella necessità / del dire […]”. Ci troviamo subito nella rete di senso di una poesia che si interroga sulla natura dell’essere, e questa natura è cangiante, metamorfica, inafferrabile.

L’abbrivio è dato dai versi che compongono la sezione Nella quieta servitù dell’attesa, dominata dalla dicotomia luce/buio (“preferisco la luce rubata / dell’ombra imprevista”, “nel buio a scavare travasi di luce”) e soprattutto dal tema del tempo (“e tutti gli orologi / sono arrugginiti”, “in quest’ora d’indizi svaniti”). S’impone sin dalle prime pagine una folta presenza di poeti citati, che da un lato accompagnano i testi come numi tutelari o segnali di predilezione, dall’altro sono convocati a dialogare direttamente con i versi dell’autore. Un nome e un esempio su tutti è quello di Eliot, che campeggia non solo nel titolo della poesia Luce rubata (rileggendo Thomas Stearns Eliot) e nella citazione in esergo dai Quattro Quartetti, ma anche all’interno dello stesso componimento con tonalità e rimandi al capolavoro eliotiano: “Saremo nominati / per quello che non siamo, dispersi / sulla terra devastata del non detto”.

La dimensione temporale è strettamente connessa a quella spaziale, se in chiusura di sezione il termine altrove appare come un passaggio di testimone da un nucleo tematico all’altro: “Resterà l’orma muta / nell’attesa del ritorno / d’un seme disperso altrove / ovunque, invisibile” (Nella quieta servitù dell’attesa). Sono versi che anticipano la temperie della sezione Si resta sempre altrove, la cui centralità è ribadita dal titolo stesso del libro. L’accezione di altrove cui si riferisce Vitale non allude soltanto a una dislocazione fisica, ma anche e soprattutto a una condizione psichica di alterità del desiderio, a un senso di inquietudine e straniamento che coinvolge il nostro modo di essere al mondo. Si vive in un continuo “transitare da uno stato all’altro, da una condizione all’altra” – come spiega l’autore nella nota finale –, ossia “nell’infinito movimento / che ci sfugge e ci appartiene” (La Natura non sta ferma). Per converso l’opera del poeta sarà tutta in questo “coltivare fiamme di luce riflessa / arte discreta del richiamare dal buio // piccole cose senza più nome / intima traccia del nostro svanire” (Il colore del cielo), nel tentativo di fermare l’istante “oltre il flusso arrogante del tempo” (Miracolo della vita).

Dal punto di vista formale ogni testo è in sé un’architettura fitta di rime e assonanze, laddove l’intera raccolta è scandita da un ritmo serrato di interrogazioni, un incalzare di domande volte a scoprire “l’altro capo delle cose”, ma destinate forse a rimanere senza risposta: Si resta sempre altrove / dice la nera figura / chiusa nel mio occhio: / un essere remoto o la paura?” (Lyrische Suite).

Nelle successive sezioni, La voce, soltanto la voce e Lo stato dell’arte, l’indagine si concentra sul linguaggio del poeta, sulla sua costante ricerca della “parola esatta, àncora / che viene dal bene / che ci afferri come un destino” (Alfabeto muto). I motivi finora emersi qui si intersecano e si completano, la dialettica luce/buio si connette con quella silenzio/suono dando luogo a combinazioni inedite e scambi sinestetici: “[…] vita-suono che s’invola // scivolando nell’ingorgo / del silenzio-luce” (Phanes). La parola è suono che “disegna il mondo”, tuttavia bisogna fare i conti con l’inadeguatezza della lingua a esprimere esattamente l’idea che la muove: “Poveri strumenti di congiunzione / tra qui e l’altrove sono i versi”. Si rimane sempre sulla soglia della perfezione, “eppure tesa è la volontà del dire”, poiché quel che vale è proprio la tensione all’ineffabile.

I versi della sezione Circostanze accolgono la realtà e i suoi paesaggi, i dettagli del vissuto, presente o memoriale che sia, ma il dato cronachistico è sempre funzionale a uno sguardo lirico, proteso a indagare il significato riposto dell’occasione. Nella successione ordinaria degli eventi, nell’abitudine dei piccoli gesti si nasconde forse il senso più vero del nostro esistere: “Ogni giorno tocca fare / un po’ ordine nel mondo // […] / per non lasciare tracce di noi // come fossimo passati lì per caso / pioggia svaporata dopo il temporale / piccola fatica universale” (Ogni giorno tocca fare).

Il culmine emotivo del libro si tocca nel poemetto conclusivo dedicato alla figura del padre e intitolato Piccolo Requiem, una serie di strofe incastonate in quattro quadri, una parabola di versi lucida e drammatica al contempo. Una descrizione degli ultimi momenti della vita paterna che è anche una intensa meditazione sulla morte: “Noi restiamo uguali / a noi stessi / nella cosmica utopia / arrampicati al cielo / migriamo altrove / nell’immobilità del tempo / per essere l’esatto cristallo / della ripetizione infinita / di noi in noi”.

Daniela Pericone

 
 
 
 
Miracolo della vita
è la percezione di sé
di colpo riflesso
nella vetrina d’un bar la mattina
perché ti sei visto e sentito
a te stesso sorpreso
nell’istante presente ora svanito
oltre il flusso arrogante del tempo
anche se, lo sai bene,
non servirà a niente.
 
 
 
 
 
 
Phanes
 
Hai mai pensato
al balbettìo arioso e nervoso
del tempo prima del mondo?
 
Dove si nasconde la sorpresa
di una danza sgangherata
nostalgia del sonno
da cui tutti noi veniamo?
 
Battito d’ali e lingue
di serpenti accarezzano
il guscio dell’uovo d’argento
della vita-suono che s’invola
 
scivolando nell’ingorgo
del silenzio-luce
così come si andasse ad una festa
senza essere invitati.
 
 
 
 
 
 
Giochi di luce
 
I.
 
Si nascondono le cose in piena luce
misteriosa eclisse nell’evidenza di sé
scolpita nel fulgore dei contorni
 
eppure tesa è la volontà del dire
ribelle presenza che si oppone
al grumo malefico della natura
 
volgendo lo sguardo verso la sera
è sangue che lava il segno del fuoco
e scalda la terra con la mia cenere.
 
 
 
 
II.
 
Nel crepuscolo la luce ora disegna
Sul muro l’ombra delle foglie
 
Sarà questa la giusta prospettiva,
il giusto compenso del mio viaggio?