Properzio, il mito e l’amore come schiavitù


 

Il lettore curioso che nel 28 a.C. sbirciava nel rotolo di papiro appena acquistato in una delle tante librerie del Foro – e si trattava dell’opera prima di un giovane esordiente, tale Sesto Properzio – doveva restare alquanto sconcertato dai primi versi che cadevano sotto i suoi occhi. Quei versi parlavano dell’amore per una donna cantata con lo pseudonimo di Cinzia, ma la cosa, di per sé, non era una novità: già una generazione prima un altro poeta, Catullo, aveva celebrato la propria amante celandone l’identità sotto il falso nome di Lesbia. Ben più disturbante appariva il seguito del carme di Properzio: non solo l’autore alludeva a Cinzia con il termine domina, “signora”, lo stesso con cui a Roma uno schiavo si rivolgeva alla sua padrona, ma la seduzione esercitata dalla donna sul poeta era descritta con un verbo, capio, che significa alla lettera “prendere prigioniero”. Come se non bastasse, l’impressione di sudditanza totale alla passione e alla donna che l’aveva suscitata veniva confermata dall’immagine del dio Amore che schiaccia sotto i piedi la testa del poeta: un’immagine che al lettore romano non poteva non ricordare la condizione del gladiatore sconfitto o dell’atleta battuto in una competizione di lotta, o, il che è ancora più imbarazzante, quella del barbaro sottomesso dal legionario romano.

Ma le cose non finivano lì, perché Properzio andava avanti citando un mito molto noto, quello di Atalanta e Milanione. Il poeta venuto da Assisi – il lettore lo avrebbe scoperto continuando a srotolare il suo libro – sembrava in effetti particolarmente incline a ricorrere al mito in riferimento alle situazioni più varie della sua vita. Dietro questa tendenza, però, non c’era solo la volontà di nobilitare il proprio vissuto attraverso il riferimento a storie di dèi e di eroi; il fatto è che il mito era talmente ricco di situazioni e personaggi da offrire un patrimonio praticamente illimitato di forme in cui calare l’esperienza umana, di storie in qualche modo già pronte per organizzare ed esprimere il proprio vissuto individuale. Già solo per questo la scelta di un mito – o, all’interno dello stesso mito, di questa o quella variante – non era mai essere casuale o neutrale; e questo è tanto più vero nel caso del primo carme di Properzio.

Vediamo meglio. Il personaggio di Atalanta appartiene a una tipologia piuttosto diffusa: allattata da un’orsa, l’eroina è abilissima nella corsa e diventa da adulta un’impareggiabile cacciatrice; la sua vita è consacrata ad Artemide, la dea vergine che vive nei boschi, lontano dallo spazio civilizzato della città, della vita politica, del matrimonio e immersa semmai in quello selvaggio della natura. Anche Atalanta, in effetti, detesta le nozze; e poiché suo padre vuole invece indurla a sposarsi, organizza una singolare prova cui sottopone i suoi pretendenti: una gara di corsa, nella quale il premio della vittoria è la sua mano, mentre la sconfitta è punita con la morte sul posto dello sfortunato aspirante. Come succede fino al momento in cui a sfidare la bella e spietata cacciatrice non giunge Milanione.

Secondo la versione più diffusa del mito, durante la gara il giovane lasciava cadere alcune mele d’oro, dono di Afrodite, Atalanta si chinava a raccoglierle e Milanione riusciva così a battere l’eroina. Ma Properzio sceglie un’altra e meno nota versione, secondo la quale Milanione conquistò Atalanta solo dopo una lunga e umiliante esperienza di servizio, durante la quale accompagnava la vergine nelle battute di caccia attraverso i boschi, stanava per lei gli animali e la difendeva dalle aggressioni di altri pretendenti, svolgendo una serie di mansioni riservate di norma agli schiavi. Ed è proprio con questo personaggio che Properzio si identifica, additandolo anzi come modello di amante devoto e proprio per questo alla fine ricambiato.

Ecco perché i poeti d’amore come Properzio sono dei rivoluzionari, anche se nessuno di loro ha mai imbracciato le armi o cercato di conquistare il potere. Il modo in cui riscrivono il rapporto tra i sessi e la centralità che attribuiscono all’amore come l’unica esperienza in grado di dare senso e spessore all’esistenza sono infatti agli antipodi di una cultura che tendeva a colpevolizzare la passione e trattava le donne come eterne minorenni buone solo per partorire. Ed ecco perché Cinzia può ancora essere un’icona nella battaglia per rapporti di genere più equi.