Prima di nascere, Claudio Damiani (Fazi Editore, 2022)
L’ultimo libro di Claudio Damiani, Prima di nascere (Fazi, 2022), è un libro di versi agostiniani e oraziani; i testi sono raccolti all’interno di undici sezioni (È strano, io che ho sempre avuto paura; Le farfalle mi venivano incontro; D’un tratto il licenza scorre; Quando ero piccolo avevo le vertigini; Dal mio terrazzo guardo l’universo; Scusate, scusate, dove mi portate?; Cari amici, mi chiedo questo; Ero uscito sul terrazzo; Sto quasi per addormentarmi; Campi elisi; Forse nella natura).
L’incipit della prima sezione del libro avvicina sia il lettore di poesia più accanito sia ogni potenziale narratario, risucchiandoli in una narrazione intima, delicata: «Quando ero piccolo, quattro o cinque anni,/ mi immaginavo prima di nascere/ come sospeso nel cielo»; «non capivo come potevo stare, così in alto nel cielo,/ dove potevo poggiare i piedi». Se ogni narratario è un potenziale narratore, chiunque sia stato bambino può probabilmente riuscire sì a figurarsi nei panni del Damiani che poeta le sue domande al mondo, ma può anche provarsi a riformulare nuovamente quelle che furono le sue, di domande; giacché, come ribadito nella settima sezione, noi esseri umani «Non sappiamo niente/ solo ipotesi». Dunque, siamo l’ipotesi di quel che prima non eravamo? È vero che prima di nascere non c’eravamo affatto?
Procedendo nella terza sezione, «Femio e Demodoco, i due cipressi in fondo al giardino», spingono il poeta ad ipotizzare che sia il tempo a mutare «e non la storia». Ed è qui che Damiani torna a poetare su Fraturno, quel piccolo lago sabino situato nei dintorni della villa di Orazio (a Licenza), sulla scorta delle sue precedenti fatiche letterarie (a tal proposito, Damiani stesso rimanda al suo primo libro: Fraturno, Roma, Il Melograno – Edizioni Abete, 1987, con due disegni di Beate von Essen). È grazie ai luoghi ameni e a Fraturno, nel bel mezzo della natura, che per la sensibilità di Damiani «il lago era la scienza/ e l’universo, il mondo».
Oltretutto, Prima di nascere è un libro di poesia cesellato sia da dialoghi onirici sia dall’insoddisfazione di un fanciullino urtato da risposte precostituite che rimette in discussione il mondo per mezzo di domande. Il libro è costellato di quesiti esistenziali che costituiscono un vero e proprio martello pneumatico che attiva e disarticola il mondo, che non è slegata dalla capacità e dal desiderio di restare sempre in ascolto; desideri e bisogni dettati dalla curiosità, dal bisogno di conoscere e disvelare il più possibile ricorrendo pure alla fantasia. In Prima di nascere, infatti, ritroviamo l’incredula prospettiva ad «orecchio nudo» che Damiani definì in un pugno di componimenti di Rifacendo tutti i calcoli, prima sezione di Endimione (Interno Poesia, 2019): qui il poeta non si privava né del sogno né di varcare la seconda delle porte di quella grande casa che è la vita; cioè la porta del “Pensiero Fanciullo”, come la definì John Keats in una lettera datata 3 maggio 1818.
«Dubbi atroci», «questioni irrisolvibili» e quella «relazione» che intercorre «tra le forme degli alberi» – così come tra foglie ed esseri umani –, finiscono per mischiarsi tra loro, in un ramingo reiterarsi del volto ancipite della coscienza di chi è giunto alla conclusione che «la speranza è la nostra scienza».
Vernalda Di Tanna
Quando ero piccolo, quattro-cinque anni,
mi immaginavo prima di nascere
come sospeso nel cielo (non so se qualcuno mi aveva detto
queste cose, o me l’ero immaginato io),
mi sembrava incredibile non essere esistito prima
e mi sembrava incredibile pure di essere esistito,
non capivo dove potevo stare, così in alto nel cielo,
dove potevo poggiare i piedi.
Quando ero piccolo avevo le vertigini
a pensare dove ero stato prima
di nascere, mi vedevo come sospeso
nel non essere, un infinito abisso,
ora invece so che ho vissuto
tutto il tempo per tutto il tempo che è stato
e non c’è nessuna cosa che non ho veduto.
Il mistero è così fitto
e noi così fragili che non ci sono speranze
o meglio, possono esserci solo speranze,
la speranza è la nostra scienza.
– Ma ti ricordi di quando ti preoccupavi da bambino
(avevi 4 o 5 anni) del fatto che ti sembrava impossibile
che ci fosse stato un tempo prima di te che tu non c’eri?
E ti venivano le vertigini a pensare questa cosa, ti sembra-
va di avere l’abisso sotto i tuoi piedi.
– Sì, lo ricordo molto bene.
– Ebbene, quella è la cosa più importante che hai pensato
in tutta la tua vita.
– A 5 anni?
– Sì, a 5 anni. E sai perché ti venivano le vertigini, e ti
sembrava di non respirare, e stare su un abisso?
– No. Perché?
– Perché non è vero che prima di nascere non c’eri.
Il nostro essere come ogni essere,
uomo, animale, cosa
ha uno spazio e un tempo e in questo spaziotempo
tutto esiste e la sua esistenza è unica
non confondibile con altre esistenze
e al tempo stesso legata a tutti gli altri esseri
in un tutto unico che è la totalità divina
eterna e indivisibile,
quello che voglio dirti è che ogni essere è eterno
perché ogni istante,
ogni atto del suo esistere
rimane incancellabile nella totalità dell’essere
come una traccia che non puoi nascondere,
infatti se ci pensi – è anche molto semplice –
quello che è stato non lo puoi cancellare,
è come se la nostra vita e tutto lo spaziotempo
è registrato e niente si può perdere,
neanche un atomo sfugge a questa necessità
neanche il più piccolo istante.