Premio Ossi di Seppia – Marco Maggi

Bozza automatica 65

 
 

In occasione del 24° Premio di Poesia Ossi di Seppia Laboratori Poesia chiede ai vincitori delle passate edizioni di recensire i vincitori della presente. Le uscite saranno a cadenza domenicale. In quest’uscita il nuovo libro Il quadrato delle radici (Ensemble Edizioni 2018) del terzo premiato Marco Maggi recensito dal vincitore della 20° Edizione del Premio Ossi di Seppia Gianni Priano.

 
 
 
 

Si fanno quadro e fanno quadrato, le radici, nell’opera di questo poeta che ha notti tagliate dalla luna, nel contempo luce e filo di scimitarra. Nell’universo dei petali sparigliati Marco G. Maggi fa fronte al destino di morte (senza decoro né bellezza) a cui l’ uomo è chiamato prendendosi cura delle parole come se si trattasse di eseguire un compitino a casa. Padre di famiglia e uomo di lavoro sa bene quanto la cultura (che è coltivazione di pensieri e aratura profonda di se’) possa rappresentare un rischio: Kafka, per esempio è una pistola carica. Eppure soltanto la rischiosa cultura, la riflessione (che è un flettersi su di sé) e la copertina blu cielo del quaderno perso ma non scordato possono qualcosa contro le fauci di nebbia, l’ospedale genovese di San Martino, la voragine.

Mi pare che in questo concetto -pienamente novecentesco- di scrittura come resistenza (si pensi alle agavi e alle anguille) e credo che proprio qui sia possibile scorgere il significato più intimo dell’opera poetica di Maggi il quale, fedele alla struttura etico religiosa dell’uomo borghese che lo precede e lo intride -si guarda dall’ alto mentre nel basso (nel terra-terra) apprezza (e, di più, ammira con quello stupore che con l’alto è imparentato) il cuore friabile delle castagne.

Un’ultima cosa: leggendo Maggi mi è tornato in mente -quasi sicuramente non a caso- Vladimir Jankelevitch quando scrive che l’uomo luminoso indica alla ronda notturna la direzione dell’aurora.

 
 
 
 
Premio Ossi di Seppia – Marco Maggi
Il tronco e i rami
 
Recita così l’opuscolo che parla dei miei avi
− anno 1961 −
una famiglia di industriali
che diede lavoro quasi a un paese intero
per più di cent’anni.

 
Nelle ultime pagine la foto del nonno,
conservo ancora l’articolo di giornale,
del giorno in cui è morto,
titolava:
“Uomo di studio e di lavoro”
 
Lo rivedo nell’enorme biblioteca
l’aria severa vecchia maniera
disciplinatamente forgiata alle rinunce
di chi chiede più a sé stesso che agli altri.

 
Si sapeva che aveva sempre fatto del bene
ma dopo si trovarono molte lettere
in cui si prestava a dare aiuto agli indigenti
borse di studio per i ragazzi.

 
Io ero ancora adolescente
quando la nonna mi raccontò che,
facendosi prossima la fine,
lui si chiedeva il perché di quei sacrifici
il motivo di tanti strapazzi
senza mai godersi niente.

 
Capì allora quale prova mi attendeva:
un destino, già scritto,
di responsabilità e fatiche
e, lo riconosco, ne ebbi paura

 
forse piansi
 
 
 
 
A volte…
 
A volte vite certe risorgono
come da una foiba nella terra
con le sembianze che si sgretolano
tradite dall’orpello delle cose
da un’impronta senza amore
statue di gesso che aspettano
di fermare il passo sulla pietra
accarezzando quel che resta
e cercano di salvare qualcosa
nell’attimo di vivere se stesse
 
 
 
 
Il quadrato delle radici
 
Le mattine avevano fauci di nebbia
inghiottivano prima dell’ingresso
e ti buttavano come una risacca
nelle sineresi dei neon sul linoleum
fino a dileguarsi nel buio dei passi
 
Si camminava rasenti alla vita
sognando un orizzonte lontano
– e qualcuno sarà poi anche andato
a cercare altrove la sua speranza –
ma i più sono ancora qui dove
anche uno zero ha la sua importanza
 
aggrappati alle nostre radici
siamo rimasti.
 
 
 
 
Kafka
 
È con me alla Rizzoli di Milano
il mio figlio ormai ragazzo
con un maxi-buono regalo
adesso indeciso come spenderlo
dopo un Quasimodo e un Pirandello
 
Quando indico La metamorfosi
mi guarda con sospetto
«Per te che aborri i pregiudizi
e sei aperto alle diversità»
con orgoglio gli dico
«vedrai, ti piacerà!»
 
Adesso è solo col suo libro
 
e io mi sento incosciente
sciagurato come un padre
che ha lasciato la pistola carica
in mano a un bambino.