Pordenonelegge 2022: Martin Rueff e la terza lingua

Pordenonelegge 2022: Martin Rueff e la terza lingua

 
 

Sabato 17 settembre
A cura di Elisa Longo

 

Durante la presentazione del suo libro Verticale ponte. I poeti sconfinati edito da Modoinfoshop, Martin Rueff ci parla di come nasce questo libro. Citiamo dalla quarta di copertina “Questi versi sono nati da una discussione con mia figlia Lia, nove anni, quaranta a suo dire, che fece spallucce leggendo sui giornali alcune poesie scritte da professionisti all’inizio della pandemia. Dichiarò il suo disappunto in termini assai precisi, per non dire presi da Mallarmé, quando condannava la gazette: «Ma a cosa serve ripetere malamente un notiziario?». Per me è stata una sfida intima rispondere per le rime. Poi è diventato un gioco serio.

Il titolo ci porta subito alla profondità che l’autore trova scrivendo queste poesie in italiano, parole che non appartengono alla sua lingua madre, ma a una lingua che lui ama profondamente.

Il libro già nel formato richiama al dialogo tra un padre e una figlia. La grafica è volutamente semplice e molto curata, una semplicità e una cura che ciascun genitore cerca di portare nel dialogo con i propri figli. Le poesie raccontano del periodo storico che hanno attraversato, ma in modo del tutto originale e senza mai fermarsi alla superficie delle parole stesse. Si potrebbe definire una comprensione, “un fare proprio”, di un padre e di una figlia anche attraverso la parola, Una parola che appartiene al padre e alla figlia e che trova una terza mediazione. In quel territorio attraverso un italiano scardinato tutto è compreso, tutto è possibile e accolto. Questo nuovo linguaggio, questa lingua ibrida riesce ad arrivare alla verticalità che Rueff imprime alle sue poesie.

 
 

Abbiamo dialogato con Martin Rueff di linguaggio e di dove la lingua incontra la voce del poeta.

Un libro dal linguaggio ibrido nato da alcune conversazioni che ha avuto con sua figlia che è diventato un ponte, cosa ne pensa?
Non sono poesie di un italiano, però sono scritte in italiano e questo italiano, con il francese, con il latino è una terza lingua. Non è una lingua di comunicazione, non è l’esperanto. Non ci avevo mai pensato, ma in effetti è la lingua stessa a fare da ponte. Io amo la lingua, amo molto l’italiano, non solo perché è parlato da gente che amo, non solo perché è scritto da gente che amo, ma perché per me è una lingua che mi ha fatto scendere in me a dei livelli di rapporto con il mondo che non avevo ancora avuto con il francese.

 

La voce del poeta come punto d’incontro tra vocalità e pensiero.

Quando si scrive, si scrive con una voce che non è la voce mia o la sua. La voce della poesia è sotto la nostra voce. Quando si sentono dei poeti come ad esempio le registrazioni di “ La case dei doganieri” di Montale la voce del poeta ha un modo di recitare che è quasi ridicolo per noi, poi quando si legge la poesia si sente la sua voce aldilà della sua voce. Ecco la poesia quando funziona ti porta sempre a una nuova profondità che è oltre vocalità e voce.

 
 

Martin Rueff (1968) insegna presso l’università di Ginevra la letteratura del Settecento e la letteratura comparata. Poeta, critico, e traduttore, è caporedattore della rivista Po&sie fondata da Michel Deguy. Ha tradotto le prose di Giorgio Agamben e di Carlo Ginzburg e le poesie di Zanzotto, Luciano Cecchinel, Eugenio de Signoribus e Guido Mazzoni. Ritraduce per Gallimard l’opera d’Italo Calvino. Ha pubblicato vari libri di poesia in francese, fra i quali Icare crie dans un ciel de craie (2008 e 2010) e La Jonction (Nous, 2019). Verticale Ponte (Bologna, Modoinfoshop, sett. 2021) è la sua prima raccolta di poesie italiane.