La colpa al capitalismo – Francesco Targhetta


La colpa al capitalismo, Francesco Targhetta (La nave di Teseo, 2022).

La qualità dell’individuo e il suo tempo sono gli estremi entro cui si muove il libro La colpa al capitalismo (La nave di Teseo, 2022) di Francesco Targhetta. Il titolo, subito replicato nella sezione e nella poesia incipitarie, sembra suggerire una forte connotazione sociologica, tuttavia tra i due termini, colpa e capitalismo, il primo appare emotivamente dominante e orienta il senso verso la psiche e il pensiero del soggetto. Perciò la poesia eponima è una sorta di summa tematica dell’intero libro: la vanità dei sogni di fuga da una realtà senza interesse, la resa a un quotidiano incolore eppure confortevole, la tristezza da abitare come una dimora naturale, il sentimento di una colpa preesistente da espiare o da attribuire a un sistema dove tutto è merce (in primis l’individuo stesso), la conclusione che tra colpa e innocenza “a rimanere è un vuoto immenso”.

La scrittura di Targhetta ha una decisa inclinazione narrativa, variamente interpretata nelle sezioni in cui è suddiviso il libro, secondo un’architettura perfettamente calibrata, con cinque sezioni di liriche e cinque poemetti che si succedono in alternanza. Qualunque sia la misura dei versi prescelta, la tipologia delle scene e dei protagonisti è la medesima: ritagli di esistenze comuni, individui solitari e taciturni che arrancano nei meccanismi del vivere associati, vite esteriori disallineate dai desideri più intimi. I personaggi che popolano le poesie sono come sorpresi dallo sguardo-videocamera dell’autore, hanno un nome e una storia, ma sono quasi sempre marginali, indistinguibili dallo sfondo su cui agiscono, con un mondo interiore inimmaginabile da parte degli altri. Perciò si ha l’impressione che l’obiettivo sia puntato dal basso, che la luce – che per un attimo li sottrae all’invisibilità – provenga da una profondità nascosta (“perché sanno di essere belli / sfilatisi dall’unica fede // sanno che tutta la luce del mondo / si riflette su chi non la vede”). Eppure queste figure (a volte possibili alter ego dell’autore), per quanto inadeguate e votate a mancare il centro delle proprie vite, non sono disperate: basta un dettaglio, una predilezione in apparenza irrisoria, per impedire la deriva (“Restano queste ipotesi di grazia / nel disagio di sneakers seminuove / così da avere le prove / in giorni non troppo lontani / di aver preso parte, almeno a intervalli, / al gioco degli esseri umani.”). Emblematica su tutte la poesia dal titolo Vito, giocata con destrezza palazzeschiana sulle varianti e le implicazioni di senso del lemma vita, per lasciare che sia l’ironia a disinnescare un altrimenti paralizzante senso di “svuotamento” e di “inadeguatezza”: “Vito evita la vita da una vita: / gli mette ansia, come tutto il resto, / e per riuscire a viverla non resta / che un suo incondizionato disinnesco. // […] // Il suo nome è la vita al maschile, / così porta scritto in fronte l’equivoco.”. La perizia compositiva, che si avvale di una strumentazione ritmica e retorica articolata e di un lessico contemporaneo, conferisce un segno stilistico inconfondibile a ogni testo; basti pensare all’inventiva dall’aria gozzaniana di alcuni accostamenti sonori: pochi/Nokia, bordeaux/bersò, mai più/abat-jour.

Un rilievo a parte va dato ai poemetti. La morte seconda apre la sequenza con il racconto di una riunione di genitori e maestre d’asilo, in cui centrale è il contrasto tra l’entusiasmo e il perbenismo sentimentale dei molti e lo straniamento (esistenziale/dubitativo/metafisico) del soggetto narrante, irrisolto fino alla fine: “Ed è poi con un viso di pietra / che vai a sbattere sul cuscino, / il sonno pesante sul petto, / il mattino già bianco / pronto a salire dai fossi”. Tiziano tra le bandiere è la storia di un uomo che per lavoro riveste di vegetazione esotica i luoghi spogli degli abitanti di città, ma è incapace di dare una chance di felicità alla propria vita (la chiusa fulminante è una variazione zanzottiana). Sullo stesso tono, Nora dei fantasmi racconta di un distacco amoroso mal vissuto che stride per contrasto con i cliché del divertimento a tutti i costi delle vacanze al mare. Elegia per Marghera è una ballata lunga e dolente sui luoghi dell’abbandono, la descrizione potente di un territorio e dei guasti inflitti dall’uomo, più efficace di tante analisi storico-sociologiche (“Marghera è da maceria che deriva, / ed è, per ricostruire, tutto quello che serve.”). Infine Per Zero è il testo dedicato a una figura d’uomo vissuto ai margini, tra disagio e fallimento, la cui storia si conclude col suicidio.

Per tornare alle sezioni liriche, i testi raccolti in Vita associata e Individualismo occidentale applicato ragionano sul senso del vivere aggregati, sulle forze primigenie delle relazioni tra gli umani, con l’evidenza incontrovertibile che di violenza e di paura è intriso il nostro stare al mondo (“e di tutti quelli che incontri / senti addosso violenta la vita, // una lunga condanna a tremare / anche solo per un rapido sguardo”). L’ambivalenza degli impulsi, l’attrazione/repulsione nei confronti degli altri e l’impossibilità tanto della solitudine assoluta quanto della socialità spersonalizzante sono l’assillo di queste poesie (“è così, all’ora di cena, / sopra le sigle dei telegiornali, / che sente di vivere in società, / nell’abbraccio dei pianerottoli illuminati / e tra le chiacchiere e il respiro degli altri // e poi in treno sempre prega, / occupato il suo posto a inizio corsa, / che nessuno gli si sieda / davanti”). Ritorna alla mente l’invenzione estrema di Morselli di un solo uomo sopravvissuto sulla terra: “sono, a intervalli, fobantropo, ho paura dell’uomo, come dei topi e delle zanzare, per il danno e il fastidio di cui è produttore inesausto.” (Dissipatio H.G.). Sebbene frenati da un disagio o sull’orlo della sconfitta, i personaggi descritti da Targhetta mantengono una lucidità che consente loro di non affondare, un istinto pragmatico che induce a non inseguire false speranze: “Non sa se sperare che qualcosa cambi / e se sperare in assoluto qualcosa – / l’età ormai richiede / strategie conservative / controllati pessimismi / a coprire le paure”.

Nella sezione Ad altezza d’uomo l’essere umano è ormai messo a nudo, con le spalle al muro, dinanzi alla sua fragilità, alle sue paure, con “il peso per la prima volta in vita / di essere solo e arreso”. Una rappresentazione implacabile della presa di coscienza della sua impotenza, di un disincanto irrimediabile. Anche le parole sono inadeguate a dare conforto o riparo (“E non avresti parole buone, / non saresti un consolatore”, “Mai capirà se ridire il dolore / ne allenti la morsa davvero”); la facoltà di dimenticare appare come una tregua o forse come l’unica via d’uscita (“L’esperienza delle cose del mondo / lei / sta cercando di dimenticarla”, “aiutare soltanto a dimenticare, / come un auspicio affinché riesca / finalmente anche a te”). Eppure rimane vivo il desiderio, se ancora “è possibile una sera / alle cose riconoscere bellezza / […] / Come fare in acqua il morto / ma in piedi / all’altezza del mondo”.

L’epilogo è affidato alla sezione Nothing left to do list, composta di sole due poesie. Se il passo successivo alla dimenticanza è la sparizione, la poesia Sparire è il giusto congedo del libro. Ancora più perentoria, decisiva, inappellabile è la sparizione dello stesso sparire: “C’è dunque, a quanto pare, un momento / in cui persino sparire finisce: / è un istante, a viversi, impossibile / ma che vibrante si può immaginare / come l’acqua dietro alle navi / che ritorna a essere mare”.
Certo è questo il nostro destino, ma ora e qui la poesia di Targhetta lascia la sua scia.

Daniela Pericone

 
 

La colpa al capitalismo - Francesco Targhetta 1
Francesco Targhetta a Una Scontrosa Grazia – sabato 22 ottobre
 
 
La colpa al capitalismo
 
Data la colpa al capitalismo
sogna da sola una fuga in Transnistria
ma poi si accontenta
di essere triste
 
e di amare follemente le cose
tristi, certe strade, trattorie, pavimenti,
paesi piovosi di media montagna,
le giornate in cui nessuno la pensa,
il bitter, Faenza, il lago di Como:
 
è forse penitenza autoinflitta
o il suo modo di dire il dissenso?
 
Data la colpa al capitalismo
a rimanere è un vuoto immenso –
innocente non resta
che ciò che non è uomo.
 
 
 
 
 
 
Restrizioni #1
 
Tramonti da terrazze di resort
è ciò che pensa quando pensa
alle vacanze,
in quella tregua sospesa
tra la doccia e la cena
quando svestono i bianchi villaggi
le calci smagliate del giorno.
 
Della vita questo più di altro
gli manca, il resto
a ben vedere è contorno,
si dice mentre scruta il contapassi
un secondo prima di inoltrarsi
nel pugno di vie del buio isolato
da cui non può allontanarsi.
 
A dieci anni ebbe in regalo un criceto
ma nella gabbia mancava la ruota.
 
 
 
 
 
 
Individualismo occidentale subìto
 
Iscriversi a applicazioni di dating
non rientra nei piani di Alessia
che viveva già a scuola schiacciata
dall’insolente bellezza di tutti.
 
Si costruiscono tra brutti amicizie
meste, e allora meglio è leggere libri,
godersi soltanto non visti
l’ozio del sole sulla pelle nuda.
 
Esistono le cuffie, per il resto,
e il cupo conforto di ciò che sarà.
 
Il ritorno del lupo.
                              I cinghiali in città.
 
 
 
 
 
 
Ad altezza d’uomo
 
Sul ghiaccio, in bici, un gradino
non visto, e sempre una specie
di frenetico sgomento,
le poche volte in cui davvero
avviene per caso di cadere,
in volto la vergogna di una svista,
di una tara dimenticata.
 
Ma ieri sul pavimento hai scelto
di rimanere un pomeriggio
quasi intero, e da lì hai pulito, risposto
a chiamate, fatto pure, all’imbrunire,
qualche acquisto
 
finché, disteso, con la sera a lenzuolo,
la paura ti sei accorto che la dà
non l’idea di restare giù
ma quella di rialzarsi
ad altezza d’uomo.
 
 
 
 
 
 
Esitazione
 
Appoggiata d’inverno a un radiatore
Daria ricorda quanto da ragazza
fosse una moralista intransigente.
 
Solo un vago fastidio se qualcuno
per strada getta a terra una cartaccia
le è rimasto ora:
                         il resto è libertà.
 
Ci deve essere un preciso momento
in cui tutto inizia a
 
               ma non sa dire a fare cosa
 
e si consegna così di riflesso
all’impressione di averci perso.