POESIA A CONFRONTO: Venezia

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POESIA A CONFRONTO: Venezia
FUSINATO, MARINETTI, CARDARELLI, ZANZOTTO

 
 

Il fascino di una città unica come Venezia non necessita di alcuna argomentazione: ne deriva, con evidenza assoluta, il fortissimo ascendente che Venezia ha da sempre avuto sulla poesia.

Partiamo da un testo, molto noto, che fa parte della letteratura risorgimentale patriottica, un genere poetico che negli anni recenti è stato per lo più dimenticato, anche se ha avuto una considerevole popolarità per buona parte del XIX e del XX secolo, sempre presente nelle antologie scolastiche. Il testo di Fusinato si riferisce all’assedio austriaco ai tempi della Repubblica Veneta (1848-1849) e esprime con i versi la drammaticità della situazione: una città sfiancata (“l’ultimo gemito / della laguna”) che non può se non arrendersi, sventolare “bandiera bianca” (verso questo ripreso anche da Franco Battiato in un suo celebre brano). Il tono celebrativo si combina con una metrica da canzonetta incalzante che grazie alle ripetizioni amplifica il messaggio, ribadisce la gloria e il valore della resistenza e della lotta per la libertà, ma anche l’amarezza per il destino da esule che l’autore prospetta per sé.

È ben noto, invece, come agli occhi dell’avanguardia futurista, Venezia, proprio come “il chiaro di luna”, rappresenti invece il simbolo di tutto ciò che è obsoleto, stantio, decadente: un retaggio del passato che va cancellato definitivamente per lasciare spazio ai nuovi temi della contemporaneità (la velocità, l’azione, le parole in libertà). Il “Manifesto contro Venezia passatista” bene riassume il programma futurista e con particolare acrimonia e sfrontatezza offre la sua ricetta perché si diventi “costruttori dell’avvenire”.

In quegli stessi anni Cardarelli, con ben altro tono, tutto elegiaco e di una compostezza classica controllatissima, compone questi versi dedicati a Venezia, in un settembre che è al tempo stesso lento declino dell’estate e annuncio di un autunno imminente. C’è un tono malinconico che serpeggia per tutta la composizione, dominata da un cromatismo flebile e pallido, da un senso di decadenza progressiva che si compie: solo il ricordo delle “grandi sere”, nutrito dalla “fantasia”, potrà concedere, più avanti, grazie alla memoria, la sensazione di una “felicità” “vera e calma” (tema questo di matrice evidentemente leopardiana).

Chiudiamo con una poesia in dialetto veneziano di Andrea Zanzotto, un recitativo dedicato a Venezia che vede la ripetizione alla fine di ogni strofa della formula invocativa: “aàh Venessia aàh Regina aàh Venusia”. Usando un linguaggio “ruspante” e, a tratti, irriverente, Zanzotto ci offre una composizione particolarmente fresca e incisiva, dove la musicalità ha un ruolo preponderante, creando un affresco in cui è evidente tutto il legame sentimentale che lega l’autore a questa città.

 

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
ARNALDO FUSINATO
(19 agosto 1849)
 
L’ULTIMA ORA DI VENEZIA
 
È fosco l’aere
è il flutto muto
ed io sul tacito
veron seduto
in solitaria
malinconia,
ti guardo e lagrimo,
Venezia mia!
 
Fra i rotti nugoli
dell’occidente
il raggio pèrdersi
del sol morente,
e mesto sibila
per l’aria bruna
l’ultimo gemito
della laguna.
 
Passa una gondola
della città.
“Ehi dalla gondola,
qual novità?”.
“Il morbo infuria,
il pan ci manca
sul ponte sventola
bandiera bianca!”.
 
No, no, non splendere
su tanti guai,
sole d’Italia,
non splender mai;
e sulla veneta
spenta fortuna
si eterni il gemito
della laguna
 
Venezia! L’ultima
ora è venuta;
illustre martire
tu sei perduta…
Il morbo infuria
il pan ci manca
sul ponte sventola
bandiera bianca!…
 
Ma non le ignìvome
palle roventi,
né i mille fulmini
su tre stridenti,
troncaro ai liberi
tuoi dì lo stame…
Viva Venezia!
Muore di fame!
 
Sulle tue pagine
scolpisci, o Storia,
l’altrui nequizie
e la sua gloria,
e grida ai posteri
tre volte infame
chi vuol Venezia
morta di fame!
 
Viva Venezia!
L’ira nemica
la sua risuscita
virtude antica.
Ma il morbo infuria,
ma il pan ci manca…
Sul ponte sventola
bandiera bianca!
 
Ed ora infrangasi
qui, sulla pietra,
finché è ancor libera
questa mia cetra,
a te, Venezia,
l’ultimo canto,
l’ultimo bacio,
l’ultimo pianto!
 
Ramingo ed esule
in suol straniero,
vivrai Venezia,
nel mio pensiero;
vivrai nel tempio
qui del mio core,
come l’immagine
del primo amore.
 
Ma il vento sibila,
ma l’onda è scura,
ma tutta in tenebre
è la natura.
Le corde stridono
la voce manca…
Sul ponte sventola
bandiera bianca!
 
 
 
 
 
 
FILIPPO TOMMASO MARINETTI
(dal Manifesto “Contro Venezia passatista”, 1910)
 
Veneziani!
 

Quando gridammo: «Uccidiamo il chiaro di luna!» noi pensammo a te, vecchia Venezia fradicia di romanticismo! Ma ora la voce nostra si amplifica, e soggiungiamo ad alte note «Liberiamo il mondo dalla tirannia dell’amore! Siamo sazi di avventure erotiche, di lussuria, di sentimentalismo e di nostalgia!» […].

Basta! Basta!… Finiscila di sussurrare osceni inviti a tutti i passanti della terra o Venezia, vecchia ruffiana, che sotto la tua pesante mantiglia di mosaici, ancora ti accanisci ad apprestare estenuanti notti romantiche, querule serenate e paurose imboscate!

Io pure amai, o Venezia, la sontuosa penombra del tuo Canal Grande, impregnata di lussurie rare, e il pallore febbrile delle tue belle, che scivolano giù dai balconi per scale intrecciate di lampi, di fili di pioggia e di raggi di luna, fra i tintinni di spade incrociate…

Ma basta! Tutta questa roba assurda, abbominevole e irritante ci dà la nausea! E vogliamo ormai che le lampade elettriche dalle mille punte di luce taglino e strappino brutalmente le tue tenebre misteriose, ammalianti e persuasive!

Il tuo Canal Grande allargato e scavato, diventerà fatalmente un gran porto mercantile. Treni e tramvai lanciati per le grandi vie costruite sui canali finalmente colmati vi porteranno cataste di mercanzie, tra una folla sagace, ricca e affaccendata di industriali e di commercianti!…

Non urlate contro la pretesa bruttezza delle locomotive dei tramvai degli automobili e delle biciclette in cui noi troviamo le prime linee della grande estetica futurista […].

Veneziani! Veneziani! Perché voler essere ancora sempre i fedeli schiavi del passato, i lerci custodi del più grande bordello della storia, gl’infermieri del più triste ospedale del mondo, ove languono anime mortalmente corrotte dalla lue del sentimentalismo?

Oh! le immagini non mi mancano, se voglio definire la vostra inerzia vanitosa e sciocca come quella di un figlio di grand’uomo o di un marito di cantante celebre! I vostri gondolieri, non potrei forse paragonarli a dei becchini intenti a scavare cadenzatamente delle fosse in un cimitero inondato?

Ma nulla può offendervi, poiché la vostra umiltà è smisurata!

Si sa, d’altronde, che voi avete la saggia preoccupazione di arricchire la Società dei Grandi Alberghi, e che appunto per questa vi ostinate ad imputridire senza muovervi!

Eppure, voi foste un tempo invincibili guerrieri e artisti geniali, navigatori audaci, ingegnosi industriali e commercianti instancabili… E siete divenuti camerieri d’albergo, ciceroni, lenoni, antiquari, frodatori, fabbricanti di vecchi quadri, pittori plagiari e copisti. Avete dunque dimenticato di essere anzitutto degl’Italiani, e che questa parola, nella storia, vuol dire: costruttori dell’avvenire?

 
 
 
 
 
 
VINCENZO CARDARELLI
(Da Poesie – Mondadori 1942)
 
SETTEMBRE A VENEZIA
 
Già di settembre imbrunano
a Venezia i crepuscoli precoci
e di gramaglie vestono le pietre.
Dardeggia il sole l’ultimo suo raggio
sugli ori dei mosaici ed accende
fuochi di paglia, effimera bellezza.
E cheta, dietro le Procuratìe,
sorge intanto la luna.
Luci festive ed argentate ridono,
van discorrendo trepide e lontane
nell’aria fredda e bruna.
 
Io le guardo ammaliato.
Forse più tardi mi ricorderò
di queste grandi sere
che son leste a venire,
e più belle, più vive le lor luci,
che ora un po’ mi disperano
(sempre da me così fuori e distanti!)
torneranno a brillare
nella mia fantasia.
E sarà vera e calma
felicità la mia.
 
 
 
 
 
 
ANDREA ZANZOTTO
(da Filò, 1976, Edizioni del Ruzante, ora Einaudi)
 
RECITATIVO VENEZIANO
 
Vera figura, vera natura,
slansada in ragi come’n’aurora
che tuti quanti te ne inamora:
aàh Venessia aàh Regina aàh Venusia
 
to fia xé ’l vento, siroco e bora
che svegia sgrisoli de vita eterna,
signora d’oro che ne governa
aàh Venessia aàh Venegia aàh Venusia
 
Testa santissima, piera e diamante,
boca che parla, rece che sente,
mente che pensa divinamente
aàh Venessia aàh Regina aàh Venusia
 
par sposa e mare, mora e comare,
sorela e nora, fiola e madona,
ónzete, smólete, sbrindola in su
nu par ti, ti par nu
aàh Venessia aàh Venòca aàh Venessia
 
Metéghe i feri, metéghe i pai,
butéghe in gola ‘l vin a bocai,
incononàla de bon e de megio;
la xé imbriagona, la xé magnona,
ma chissà dopo ma chissà dopo
cossa che la dona!
 
Mona ciavona, cula cagona,
baba catàba, vecia spussona,
Toco de banda, toco de gnoca,
Squinsia e barona, niora e comare,
sorela e nona, fiola e madona,
nu te ordinemo, in sùor e in laòr,
che su ti sboci a chi te sa tòr.