POESIA A CONFRONTO: La brevitas
UNGARETTI, CIORAN, CAPRONI, GNEDOV
Proponiamo in questo confronto di oggi una selezione di testi caratterizzati dalla brevità, dalla concisione estrema. La capacità di sintesi, la concentrazione del senso, epurato da tutto ciò che è superfluo e accidentale, è infatti una delle qualità essenziali della poesia: vero è che è di pochi la capacità di riuscire in uno o due versi a essere tanto incisivi da risultare memorabili, qualità questa che è riconoscibile negli autori oggi proposti.
Partiamo con una delle composizioni più celebri di Ungaretti: il titolo serve a dare la traccia per la comprensione, il testo dà evidenza dello stato interiore in una forma epigrammatica. Il distico si compone di due versi apparentemente liberi, ma in realtà si tratta di una coppia di trisillabi di cui il primo sdrucciolo, i quali uniti insieme formano un settenario: la metrica tradizionale, in apparenza abbandonata, si ripropone con una formula nuova, ma senza forzature, con la sensazione di un pensiero che si esprime senza lacci, in assoluta spontaneità.
Maestro della sintesi è stato Cioran, di cui proponiamo una selezione di aforismi, genere questo che fa della brevità e della incisività la sua cifra stilistica. Cioran si contraddistingue per la sua capacità di essere sferzante e ironico insieme, mettendo alla berlina tutte le contraddizioni e le ipocrisie che ci caratterizzano come uomini, mettendo a nudo le questioni e i grandi dubbi esistenziali, tutti irrisolti, che ci riguardano.
Di Caproni proponiamo un testo tratto da I versicoli del controcaproni, opera che già nel titolo dà una chiara informazione programmatica; si tratta di composizioni in versi che hanno un chiaro sapore satirico e aforistico. La forza espressiva del testo proposto consiste nella sua capacità di riprendere un’epigrafe nota a tutti perché presente in ogni aula di tribunale, capovolgendola nel secondo verso, fra l’altro messo tra parentesi, come si trattasse di un controcanto. La rima istituita fra “tutti” e “farabutti” mette in luce con una forza lapidaria limiti, ipocrisie e abusi che una giustizia amministrata dagli uomini inevitabilmente comporta.
Con il Poema della fine di Gnedov arriviamo al grado zero della scrittura: un poema che è una pagina bianca, privo di versi. Eppure, come il bianco assomma in sé tutti i colori, anche il silenzio è la soppressione di qualunque voce e suono nella reciproca interferenza che li annulla; il poema vive allora di tutti i riverberi che la pagina bianca è in grado di smuovere nel lettore. Del poema si è già data una lettura approfondita su Laboratori Poesia, parlando anche della sua recente traduzione da parte di Mattia Tarantino: rimandiamo il lettore desideroso di approfondire all’articolo citato.
Fabrizio Bregoli
GIUSEPPE UNGARETTI
(da Allegria di naufragi, 1919 – in Vita di un uomo, Mondadori – 2016)
CIELO E MARE
M’illumino
D’immenso
EMIL CIORAN
Non si abita un paese, si abita una lingua. Una patria è questo, e niente altro.
(Traduzione di Mario Andrea Rigoni; citato in Quaderni dell’Atlante lessicale toscano, volumi 5-8, Leo S. Olschki Editore, 1987, p. 205)
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Gli uomini si dividono in due categorie: quelli che cercano il senso della vita senza trovarlo e quelli che l’hanno trovato senza cercarlo.
L’ignoranza è una condizione perfetta. Ed è comprensibile che chi ne gode non voglia uscirne.
La storia dell’uomo e di Dio è la storia di una delusione reciproca.
(Da Quaderni 1957-1972, traduzione di Tea Turolla, Adelphi, 2001)
GIORGIO CAPRONI
(da I versicoli del controcaproni (1969-19…), in Tutte le poesie, Garzanti, 1993)
NELL’AULA
La legge è uguale per tutti.
(Farabutti!)
VASSILISK GNEDOV
(Da Poema della fine, Terra d’ulivi, 2020, traduzione di Mattia Tarantino)