POESIA A CONFRONTO – Donne in poesia

foto di Dino Ignani

 
 

POESIA A CONFRONTO – Donne in poesia
PROPERZIO, CINO DA PISTOIA, ANGIOLIERI, CAVALLI

 
 

La donna è una dedicataria classica della poesia, fin dalla letteratura delle origini. La selezione del confronto di oggi vuole mettere in luce tratti e caratteristiche diversi con cui l’immagine della donna viene proposta da autori anche molto lontani fra di loro.

L’immagine della donna (Cinzia, la sua amata) che viene proposta da Properzio nella elegia prescelta ha una particolare cifra carnale e sensuale: il tema è quello della “battaglia d’amore”, da giocare a armi pari, nella nudità, senza risparmiarsi nel coinvolgimento totale nel gioco d’amore. Servendosi di iperboli ben costruite, di artifici retorici e oratori, arricchiti da riferimenti storici e mitici, Properzio intesse un vademecum amoroso che si prefigge come unico fine la soddisfazione dei sensi come scopo dell’esperienza amorosa, in un rapporto in cui uomo e donna si integrano e si completano scambievolmente, senza pregiudizi e pudicizie superflue.

Ben diversa l’immagine di donna che si afferma nella poesia stilnovistica, che qui scegliamo di rappresentare per voce di un sonetto di Cino da Pistoia. La “piacevol giovenella” che ispira gioia e amore all’autore è infatti caratterizzata da “angelica virtute” e “valore” ed è capace di dispensare “salute” (salvezza) a chi per lei prova un sentimento sincero ed esclusivo. La donna assume un ruolo di rilevanza spirituale per chi è mosso da amore nei suoi confronti e l’amore è il sentimento che consente a chi lo vive questa elevazione morale e interiore.

Coevo a Cino di Pistoia è Cecco Angiolieri, autore del genere medievale comico-realistico, dal tenore ben diverso rispetto allo Stilnovo. Qui proponiamo un divertente sonetto tutto dialogico in cui i due amati si scambiano vicendevoli allusioni e provocazioni, tutte giocate sul doppio senso e la trovata comica, contribuendo a una poesia dall’impostazione drammatica (ossia teatrale) che mima un colloquio quotidiano, quello che potrebbe essere stato tipico di due persone comuni del loro tempo. In sostanza siamo alle prese con un ritratto femminile molto realistico e per niente idealizzato.

Giungendo vicino ai nostri giorni, è interessante vedere come la figura della donna venga letta dagli occhi di una donna, in questo caso Patrizia Cavalli. A una donna, a cui è precluso dalla natura il seme che feconda, l’unica alternativa possibile è servirsi delle parole per una funzione rigeneratrice, sostiene la Cavalli, senonché anche queste ultime rischiano di essere un’arma spuntata, se rinunciano alla “furia” e alla “maledizione” che risiede in loro, per abiurare alla inoffensività, diventare “signorine”. La Cavalli ci ricorda come la poesia non possa essere garbata e inoffensiva (come nemmeno una donna deve essere, non costringendosi a un ruolo ancillare), se non al costo di rinunciare alla sua vera natura.

Fabrizio Bregoli

 
 
 
 
PROPERZIO
(Da Properzio – Elegie, a cura di Roberto Gazich, Oscar Mondadori, 1997)
 
LIBRO II, ELEGIA XV
 
Oh me felice, o notte per me splendida,
e dolce letto reso beato dalla mia delizia!
Quante parole ci siamo detti distesi accanto alla lucerna,
e quante battaglie d’amore abbiamo ingaggiato,
allontanato il lume. Infatti ella ora lottava con me
a seni nudi, ora indugiava a lungo coperta dalla tunica.
Ella con le labbra mi aprì gli occhi assonnati,
e disse: “Così, insensibile, giaci?”.
Come abbiamo intrecciato le braccia in diverse forme d’amplesso!
Quanti lunghi baci ho impresso sulle tue labbra!
Non giova guastare i piaceri di Venere con movimenti ciechi;
se non lo sai, gli occhi sono la guida dell’amore.
Si dice che lo stesso Paride si consunse vedendo nuda la Spartana,
mentre si alzava dal talamo di Menelao;
nudo anche Endimione, narrano, conquistò la sorella di Febo,
e giacque a sua volta insieme con la dea nuda.
Se invece tu con animo ostinato ti adagerai vestita,
ti strapperò la veste e proverai la forza delle mie mani;
e anzi se l’ira da te provocata mi spingerà a trascendere,
dovrai mostrare a tua madre le braccia ferite.
Non ancora dei seni cadenti ti impediscono tali giochi:
badi a queste cose colei che si vergogna di avere già partorito.
Finché i fati ce lo permettono, saziamoci gli occhi di amore:
viene per te una lunga notte,
e il giorno non tornerà. Oh volessi che una catena ci avvincesse
così che nessun giorno ci potesse più separare.
Ti siano d’esempio le colombe congiunte in amore,
il maschio e la femmina stretti in un connubio totale.
Erra colui che cerca la fine di un folle amore:
un amore vero non conosce alcun limite né misura.
La terra ingannerà con false messi gli aratori,
e più presto il sole spingerà i cavalli neri,
e i fiumi cominceranno a far rifluire le acque alla sorgente,
e i pesci saranno asciutti nei gorghi disseccati,
prima che io possa rivolgere altrove i miei affanni d’amore;
di lei sarò vivo, di lei morrò!
Se ella volesse concedermi talvolta di tali notti,
anche un anno di vita sarà lungo.
Se poi me ne concederà molte, allora in esse diverrò immortale:
chiunque in una sola notte può trasformarsi in un dio.
Se tutti desiderassero trascorrere una tale vita,
e giacere con le membra oppresse da molto vino,
non vi sarebbe il crudele ferro né una nave da guerra,
e il mare di Azio non travolgerebbe le nostre ossa,
né Roma espugnata tante volte dai propri trionfi,
sarebbe stanca di sciogliere i suoi capelli.
Questo certo potranno elogiare di me i miei discendenti:
le mie coppe non hanno mai offeso alcuno degli dèi.
Tu ora, mentre il giorno splende, non lasciare i frutti della vita:
se mi darai tutti i tuoi baci, me ne darai pochi.
E come i petali si distaccano dai serti avvizziti,
e li vedi galleggiare sparsi nelle coppe,
così per noi, che ora amanti nutriamo un vasto sentimento,
forse il domani concluderà i fati.
 
 
 
 
 
 
CINO DA PISTOIA
(da Rime, XIII secolo)
 
XLI
 
Una gentil piacevol giovenella
Adorna vien d’angelica virtute
In compagnia di sì dolce salute,
Che qual la sente poi d’amor favella.
 
Ella n’apparve agli occhi tanto bella,
Che per entro un pensier al cor venute
Son parolette, che dal cor sentute
Han la vertù desta gioia novella:
 
La quale ha preso sì la mente nostra
E covertata di sì dolce amore,
Che la non può pensar se non di lei.
 
Ecco come è soave il suo valore,
Che ne’ begli occhi apertamente mostra
Ch’aver doviam gran gioia di costei.
 
 
 
 
 
 
CECCO ANGIOLIERI
(da Rime, XIII Secolo)
 
XLVII.
 
«Becchin’ amor!» «Che vuo’, falso tradito?»
«Che·mmi perdoni». «[Tu] non ne se’ degno».
«Merzé, per Deo!» «Tu vien’ molto gecchito».
«E verrò sempre». «Che saràmi pegno?»
 
«La buona fé». «Tu·nne se’ mal fornito».
«No inver’ di te». «Non calmar, ch’i’ ne vegno».
«In che fallai?» «Tu·ssa’ ch’i’ l’abbo udito».
«Dimmel’, amor». «Va’, che·tti veng’ un segno!»
 
«Vuo’ pur ch’i’ muoia?» «Anzi mi par mill’anni».
«Tu non di’ bene». «Tu m’insegnerai».
«Ed i’ morrò». «Omè, che·ttu m’inganni!»
 
«Die te’l perdoni». «E·cché, non te ne vai?»
«Or potess’io!» «Tegnoti per li panni?»
«Tu tieni ’l cuore». «E terrò co’ tuo’ guai».
 
 
 
 
 
 
PATRIZIA CAVALLI
(da Le mie poesie non cambieranno il mondo, Einaudi, 1974)
 
Non ho seme da spargere per il mondo
non posso inondare i pisciatoi né
i materassi. Il mio avaro seme di donna
è troppo poco per offendere. Cosa posso
lasciare nelle strade nelle case
nei ventri infecondati? Le parole
quelle moltissime
ma già non mi assomigliano più
hanno dimenticato la furia
e la maledizione, sono diventate signorine
un po’ malfamate forse
ma sempre signorine.