Ti giravi nuda nel letto allegramente.
La luce entrava dalla finestra spalancata sul golfo
di quel paesino di case bianche e pescatori.
Dal secondo piano di un motel potevamo vedere il mare.
La luce bagnava le lenzuola bianche
e la nostra pelle fatta di carta e cotone.
Parlavamo guardando il soffitto e poi appoggiati
l’uno all’altro mentre imparavamo a conoscere
i nostri occhi. La brezza
che entrava dalla finestra si fondeva con le parole
sussurrate e le risa alle mani passate come piume sul corpo.
Poi ti alzavi a prendere una sigaretta e ti vedevo
saltellare da una parte all’altra tra i vestiti
e le borse buttate per terra.
Giocavamo agli innamorati, fuggiti lontano
dal caos in un sogno privato. Prescelti dalla vita
per assaporarne il gusto. I tuoi occhi si muovevano
emozionati mentre io facevo finta d’essere grande.
Tu sprizzavi allegria ed energia da tutti i pori
mentre io la contenevo per apparire uomo.
Scattavamo fotografie in bianco e nero per osservarci
di nascosto. Posavamo facendo finta
di essere naturali per mostrarci migliori.
Riguardando le foto vedo che quel “meglio”
non è mai stato fotografato, quell’immensa
bellezza vive fluttua nel fondo dei nostri occhi
in quel nero pesto pieno di sogni.