Beppe Mariano pubblica questa sua nuova raccolta di versi, Notizie dalla Terra stondata (Di Felice Edizioni, 2024, Collana “Il Gabbiere”, prefazione di Alessandro Fo), a 60 anni esatti dal suo esordio poetico con la vittoria del premio Pisa nella sezione raccolta inedita: ìndice questo di longevità poetica non comune. Proprio per questo appaga verificare come la poesia del nostro sia ancora caratterizzata da una intatta freschezza e lucidità espressiva, nel rispetto di una cifra stilistica che è quella maturata dall’autore con la sua lunga esperienza e convinta pratica della parola poetica.
La raccolta consta di poesie che, nel senso lato del termine, sono ascrivibili al filone della poesia civile, all’insegna del tridente rappresentato dal tema dei migranti nella sezione “D’oltremare”, dal tema della pandemia nella sezione “Virulenze” e dal tema della guerra nella sezione “Secondo Godot” anticipata dalla riflessione sul significato della storia nella sezione “Compendio scolastico”. La poesia civile di Beppe Mariano si caratterizza per la rinuncia completa al tono epico o tragico, a favore di un registro colloquiale, a tratti ironico, a tratti grottesco, funzionale a una rappresentazione delle vicende storiche e sociali senza retorica: il tutto all’insegna del disvelamento del crollo di qualunque ideale, il che ha come conseguenza non ovvia la pratica, con la parola poetica, di una pietas mai patetica, nata come naturale risposta al primo. Di fronte alla presenza pervicace dell’ingiustizia, ci insegna Beppe Mariano, la poesia può solo rispondere con l’assurdo di esistere, di denunciare il male senza tentennamenti in un mondo che “si è di nuovo persuaso / di dover prevenire / con la guerra la guerra.”, e tentare così di rimediarvi nel suo terreno più proprio.
La poesia di Beppe Mariano è una poesia dell’intelligenza emotiva, mai intellettualistica, ma con saldi fondamenti nell’esperienza e nel senso comune, assurti a paradigma, prospettiva praticabile. Al tono realistico della descrizione e della rappresentazione del vissuto si affianca spesso il bisogno dell’esodo nell’altrove poetico, anche ricorrendo alla dimensione onirica e a quella fantastica, come avviene ad esempio alla “eritrea di efebica bellezza ” che ” colpita da un retrovisore / sta per rovinare a terra / quando dalle sue scapole / due ali spiccano / e subito si innalza / prende il cielo / vola. […] Sopra.” o ancora al migrante solo nel suo giaciglio che “immagina la sua famiglia massacrata trasvolare / lungo una flottiglia di stelle.”. Se “siamo rimasti umani / ma con poche dosi”, occorre proseguire senza desistere lungo il percorso della “poesia onesta” per dirla con Saba, quella capace di denudare le idiosincrasie, le viltà connaturate alla nostra condizione di uomini, votati per naturale istinto alla auto-sopravvivenza a tutti i costi, praticata a partire dalle piccole crudeltà quotidiane, qui denunciate con un piglio sardonico e satirico, mettendole alla berlina, per mostrarne amaramente contraddizioni e spietatezza.
Il linguaggio di Beppe Mariano è diretto, mai ridondante o compiacente, sobrio di aggettivazione e di figure retoriche, ispirato a concretezza con qualche accento espressionistico e, talvolta, caricaturale; giocato sul paradigma di un verso libero molto variabile in lunghezza e accentazione, con il gusto forbito per la rima interna, in posizione sempre originale ed inattesa, e con l’assonanza e la consonanza per lo più praticate a fine verso: tutti espedienti che contribuiscono a uno stile ricco di immagini e speculativo al tempo stesso, non letterario, funzionale a quel connubio fra resa figurativa e riflessione esistenziale che vi si intrecciano simbioticamente. Si veda in particolare con quale eleganza e pungente parsimonia vengono rappresentate nella sezione “Virulenze” tutte le piccole manie ed eccentricità scaturite in seguito all’esperienza, certamente drammatica, della pandemia.
Beppe Mariano non crede certo, utopisticamente, di poter trasformare o migliorare il mondo, ma non abdica alla fiducia in una parola ferma, schierata, controcorrente. Questo “cespo poetico”, come lo descrive lo stesso autore, si chiude con la poesia dedica al poeta Sergio Gallo, a cui Beppe Mariano è legato da profonda amicizia, poesia che è anche promessa di nuovi versi, anche se non è ancora possibile comprenderne la forma e la ragione: “Il quarto vaccino, a inseguire in affanno / le varianti, mi sta per superfetazione variando. / Sta in me crescendo un altro me / pur restando quel che sembro. // Quale poesia a venire?”. Speriamo di poterlo scoprire presto.
Fabrizio Bregoli
Un ex profugo è entrato
con un mazzo di rose glassate.
Si è reso conto di essersi sbagliato:
non era in un bar ma in una libreria,
dove dei cranioti discutevano fittamente
e per di più di poesia.
Stava per uscire, deluso, quando una poeta
lo ha chiamato per nome
e gli ha comprato il mazzo intero,
una rosa per ognuno dei presenti.
La poesia, a volte, ha di queste generosità.
Qualcuno dice che il gelo sia ormai
sdentato, come una falciatrice in disuso.
Chiediamolo a chi, sentendo ripetere
all’infinito “riscaldamento globale”,
già gli pare d’essersi un poco riscaldato…
A chi si considera fortunato per aver
conquistato un conteso angolo dei portici,
dove il pavimento per via della mensa
rimane un poco tiepido, riparato
da un triangolo isoscele di cartoni…
Si muore prima che per il freddo
per la pena di avere quell’altro gelo attorno.
Ai colli estuosi si alternano buie gallerie
in una pantomima accelerata
come in un film di Charlòt.
Guidi a scatti sulla litorale,
sembri una pinocchietta innervosita
che voglia contestare perfino
l’andirivieni del mare.
Ti osservo e mi inteneriscono
le tue delicate e orecchie
attorcigliate dai cordoncini della mascherina.
In fila come androidi al rancio
siamo stati infine vaccinati.
Ho provato un’emozione strana,
una particolare soddisfazione
che curiosamente mi ha ricordato
il giorno della prima comunione.
Come allora ho festeggiato in pasticceria,
ma con un’ingordigia aggiornata.
E finalmente mi sono smascherato.
Ma era la faccia d’un altro.
Per sua perversione ama accarezzare
l’asfalto della strada
dove è un poco bombato
e altrettanto, per suggestione,
il tondo liscio di una bomba
quasi fosse il dorso d’una foca,
o di altro senza pelame,
immaginando la sua esplosione
di supernova gigante sopra una città:
Hiròshima o Hiroshìma…
purché grave sia l’accento.