Nóstos – Gianni Gasparini

Nóstos, nostalgia del ritorno a casa o in patria, evoca nel titolo l’Odissea di Omero, archetipo dei viaggi di ritorno e di esplorazione reali e simbolici della letteratura occidentale. Il poemetto riprende un tema svolto anche da poeti del Novecento, tra i quali ho avuto presente e caro in modo particolare Mario Luzi nel suo Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (Milano, Garzanti 1994). Credo poi che all’intento del lavoro non sia estraneo quell’anelito di ritorno al Padre di cui parla Gesù ai suoi apostoli nell’Ultima cena (Vangelo di Giovanni, 14-17).

Con queste parole Gianni Gasparini congeda il lettore dalle pagine del suo Nóstos (Nomos Editore 2016). Un libro che affronta la tematica del viaggio (le sezioni: Primo movimento – uscire, partire, Secondo movimento – viaggiare, peregrinare, Terzo movimento – arrivare dove?, Dopo l’agone) nella domanda fondamentale che non ci si può non porre: dove andiamo? E che, al lettore attento, non può che ricordare una delle componenti più essenziali del viaggio che qui vengono espanse (similmente a come fa Benedetti nel suo straordinario Tersa morte) fino a fagocitare quasi spiritualmente il viaggio stesso.

Gianni Gasparini più che di movimenti parla di pause, di soste, di tappe raggiunte o da raggiumgere e che permettono al poeta uno sguardo sul paesaggio. Elemento onnipresente che però appare più come uno strumento utile a focalizzare l’attenzione su un altro concetto mai direttamente esplorato (o navigato, per rimanere nel lessico del libro) ma intensamente quanto sotterraneamente presente: il silenzio.

Leggendo queste pagine viene da chiedersi quale tipo di silenzio permetta all’autore di riflettere, di guardare, di vivere il mondo attorno: come questa solitudine / che inutilmente cerco / di rabbonire e di eludere / quasi non sapessi / che proprio lei / è lo stretto il passaggio / per condurmi al paese agognato. Un paese agognato, non in maniera ungarettiana, che al termine del viaggio / (o almeno così tu pensi) / sfinito per gli spazi / e i tempi attraversati / non solo terre amene / da evocare con dolcezza / ma luoghi di sofferenza / dolorosi e pur necessari / affinché tutto si conchiuda.

Il passaggio è stato necessario: Ecco ti rendo ogni cosa / ho terminato di comporre / sul liuto e sulla viella / come i trovatori di un tempo / nudo / mi preparo ad entrare / nel tuo ineffabile silenzio per poi arrivare in chiusa al Tutto terminato e tuttavia / tutto da principiare ancora / passando di cominciamento / in ricominciamento / da cosa antica a cosa nuova (da leggersi evidentemente in chiave luziana).

Il silenzio di Gasparini non è quindi solo assenza di suoni ma una composizione armonica della natura che in qualche modo (ma qui sto incollando un paragone che non trova citazioni dirette in Nóstos) ricorda che il moto non è diverso dalla stasi, che il vuoto è il pieno e il sereno è la più diffusa delle nubi montaliano. Gasparini disegna, definisce man mano questo silenzio: ho aperto la finestra / ho ascoltato il silenzio / tra le foglie nel giardino […] a spiccare in aria un salto / che mi porti alle isole dei vetri / e delle case colorate / e da ultimo a quella / che solitaria ostende / un campanile nel silenzio […] Tutto sembrava possibile / nelle parole condivise / nello scambio dei sorrisi / nel silenzio comunicante […] A sera taceva ogni suono / e nel crepuscolo estremo / tremavano le luci / di città nel piano […] nudo / mi preparo ad entrare / nel tuo ineffabile silenzio.

Un silenzio che compendia la natura, il viaggio, e in qualche modo anche l’uomo stesso. Un silenzio comunicante, un silenzio che è dono: Ora ti chiedi / a che cosa sarà servito / leggere scrivere / copulare procreare / comperare consumare / registrare immagini e voci / da serbare per dopo / per un futuro / sempre più ingombro / di pregresse memorie / Eppure ci sono stati / nel corso del tempo / attimi di puro dono / in cui fosti condotto per mano / da suoni e cose quotidiane / da volti radiosi che dicevano / semplicemente luce / luce e gioia e pace / sul tuo cammino / per sempre.

 

Alessandro Canzian

 
 
 
 
In silvis
 
Ho camminato cammino
marcerò fino a sera
come un viandante d’altri tempi
 
mi accolgono selve ombrose
mi accompagnano alberi
da cui traluce appena il sole
 
ogni passo è un pensiero
un giorno della mia vita
un ricordo che riemerge
 
mi nutro di solitudine
mi fortifico in essa
 
sto ritornando verso un luogo
sebbene non sappia quale
 
 
 
 
 
 
Nubi basse
 
Le nubi basse volano veloci
l’acqua del cielo incontra la terra
e la feconda d’erbe fradicie
 
Nelle brume autunnali
ho perduto le tracce
che mi guidavano poc’anzi
 
Mi fermo in una radura
lascio che la pioggia
m’imbeva come spugna
la ascolto scendere
su ogni millimetro di pelle
quasi fosse una lezione
da imparare a memoria
per ripeterla quando cammino
alla ricerca del posto
che ancora non conosco
 
 
 
 
 
 
Margarita
 
Tesoro dei miei tesori
fiore dei miei fiori
regina di tenerezza
e salda torre di fortezza
 
O perla tra tutte preziosa
ti porterò sulle braccia
per evitarti sassi e spine
che fanno sanguinare
 
ti poserò sopra un guanciale
bianco e azzurro di lino
ti canterò sottovoce
la ninnananna antica
 
ti farò riposare lungamente
fino a che si risani nel sonno
ogni tua ferita
 
 
 
 
 
 
Palestina
 
Sono tornato pellegrino
in questa terra contesa
nella città chiamata La Santa
 
sono venuto a rivedere
i fiori di campo
i frutti delle spighe maturi
il fico il sicomoro la vite
e le piccole onde nervose
del mare di Galilea
arpa d’acqua tra i monti
 
ho cercato segni del divino
impronte di piedi sulle pietre
di sinagoghe sbrecciate
 
ho captato sentori d’erbe
sulla via del mare assolata
 
ho lambito le acque
del fiume torbido
piscina dei penitenti
 
ma di quel tempo
non ho trovato se non polvere
sollevata dal vento
 
e grida di ragazzi
che giocavano sul greto
 
mentre un bambino
intravisto di lontano
 
correva a piedi nudi
tra le case
 
 
 
 
 
 
Toscana
 
Le panchine vuote
sulla via delle Mura
indicavano il cammino
di un poeta del passato
 
In alto le rondini
gridavano da secoli
il loro saluto al borgo
alla valle ai colli in vista
del Tirreno lontano
 
più in basso le farfalle
s’inseguivano veloci
impazzivano di gioia
nei volteggi spezzati
e ogni volta ripresi
tra fiore e fiore
 
A sera taceva ogni suono
e nel crepuscolo estremo
tremavano le luci
di città nel piano
 
mentre al sommo del cielo
la luna
umile maestra del cosmo
spiegava ai mortali il nome
di ogni cosa sulla terra
 
 
 
 
 
 
Assenza
 
Tu sei tu
quella che io cerco
in questo viaggio travagliato
 
ti avevo lasciata sorridendo
quando ero il tuo leoncello
e credevo che m’avresti seguito
in segreto come un’ombra
una farfalla o un diafano lucore
 
ora la tua assenza mi dilania
e il dubbio mi divora
mentre rivedo ogni contrada
e ti sento lontana e straniera
al mio vagare per queste lande
pei luoghi immateriali
della memoria e del sogno
 
dei sogni che furono nostri
e sembrano svaporare
nella disincantata realtà
del giorno che appare
 
 
 
 
 
 
Capax solitudinis et communionis
 
Solitudine ovvero comunione
ecco il dilemma finale
che alberga coraggio e tremore
del pellegrino-camminante
al termine del viaggio
 
ma forse – s’illumina –
convivono le due realtà
quasi valve di conchiglia
 
sistole e diastole
inspirare ed espirare
concentrarsi e rilassarsi
 
Dapprima fu l’abisso
della separazione quando
venne tranciato il cordone
il legame che univa
il corpo nascente
a un altro corpo
 
Fu poi la compagnia
sorrisi e abbracci
tenerezze di genitori
che stringono il bimbo
per consolarlo della vita
 
Maturò quindi la stagione
dell’amore offerto
fiore che s’accorge
di un altro fiore accanto
e impetra comunione
similmente a due corde d’arpa
che vibrano all’unisono
e innalzano una mite barriera
alla violenza del mondo
 
E alla fine il dilemma riappare
s’insinua il dubbio amaro
che sia impossibile il noi
tra l’io e il tu amato
che vinca solitudine su amore
 
che la polvere sia solo polvere
e il seme nascosto nella zolla
possa non germogliare
 
Leo-Antonius il ritornante
ha compiuto il cammino
è giunto al punto dell’inizio
colmo d’incontri e di memoria
 
ora siede paziente
tra fiume cielo e monte
attende lungamente
 
ecco gli pare di percepire
un fremito di fronde
nell’intimo di un bosco
percorso dal vento
che gioca con le foglie
e mentre lo spoglia
gli promette dopo l’inverno
vita nuova