Nel villaggio oscuro – Eugenio De Signoribus

Nel villaggio oscuro, Eugenio De Signoribus (Manni Editore, 2023)

Poeta schivo e appartato, colto e profondo, Eugenio De Signoribus esplicita in questa silloge, che si dispiega tra versi e considerazioni sulla poesia, la sua concezione della parola, il suo intimo rapporto con essa. La pulizia formale e stilistica, il rigoroso costrutto, il denso significato con cui egli enuclea la propria «innocenza quale condizione di soglia» assumono a un tempo un alto valore simbolico e sostanziale. Proprio con riferimento alla sua vita e all’esperienza di intellettuale raffinato cogliamo l’epigramma forse più efficace e penetrante dell’intera opera: «L’orfanità in poesia, come in un altro mestiere, è una conquista» attesta quanto l’essere fuori da ogni schema, scevro da compromessi, alieno a movimenti o congreghe lo rendano artista delle lettere capace di non perdersi in una dialettica spesso infeconda e improduttiva. «Vola alta parola, cresci in profondità»: l’incipit luziano sembra riecheggiare in questa composizione dove il verso «resiste, aspettando un vento nuovo», ma non solo. C’è infatti urgenza, necessità di ri-creare un nuovo etimo, una nuova lingua che non indulga nelle «faccende» quotidiane, semmai rinnovi il contatto con l’esperienza della natura da una parte e sappia porre dall’altro un argine al «più forte dei più forti armati» se non vogliamo che «il pianto bagni la distruzione». In De Signoribus, segnatamente nella seconda sezione del lavoro in oggetto, viene in evidenza un rapporto dialogico con il passato che appare «risorgere», recuperare una sua dimensione in forma talvolta impetuoso talaltra più blanda, ma sempre incisiva. Analogamente la dimensione vitale è costretta a farsi carico di fardelli, di opprimenti pesi. La quarta parte, «un’autoantologia» afferma l’autore, affronta il ricordo e l’assenza di persone care (il padre, un amico editore urbinate) in cui l’afflato malinconico si sposa con sagacia all’eleganza formale della lingua rivelando una poesia-prosa nobile e sincera che evoca «la mia quasi-vita».

Federico Migliorati

 
 
 
 
Assenza
 
Non c’è traccia d’un verso
nel villaggio oscuro
 
si narra di qualcuno
che ne fece razzia e sparì
 
non sapendo o forse sì
ch’aveva un sacco vuoto
 
ma nessuno se ne dolse
e chiese del suo nome…
 
vale un ladro di niente
in tempo di miseria
 
di colpe e fuochi e strali
e distruzioni e mali?
 
che vale chi col sacco
va in cerca di parole
 
scansando ciaffo e scacco
in pieno temporale?
 
 
 
 
 
 
(Uscire)
 
tutti premiamo alle porte
o fuggenti da fame
o da regimi di morte
 
o da noi stessi, o da colpe
o scansate o deposte,
inestricato cordame…
 
in tanti siamo col pane
dei penitenti e il fardello
di nodi e ferite
 
vaga la vista al cancello
oltre l’armato confine
 
 
 
 
 
 
Eroe domestico

(a mio padre)

Se anche un segreto hai serbato
dietro le chiare pupille
dentro i tuoi larghi panni
fuori di te nulla è uscito
se non gestilampi inarmati
 
e sarai stato, in un fu di fumo,
un capitano almeno di te
e avrai con svampi difeso il fortino
e il tuo inerme nome
 
hai provato… ma a nulla è servito
il tuo alfabeto era già svanito
 
tutto è stato distrutto
ma non i bagliori dell’antica lotta
ancora svaganti nei tuoi miti occhi
nel perimetro del no