Melodia di porte che cigolano – Gisella Blanco


Bisogna muovere dai primi versi di Melodia di porte che cigolano (Edizioni Eretica, 2020 con illustrazioni di Francesco Mitelli) per concepire il senso della poesia densa e complessa di Gisella Blanco in quella che è la sua prima raccolta, comprendente una cinquantina di composizioni talvolta in forma di epigramma. “Elargirò solo menzogne”, avverte la poeta e già qui entriamo in un rapporto dialettico con l’osservatore-lettore che viene condotto a plasmare o sovvertire questo o quell’assunto secondo uno schema non convenzionale, dunque, originale. Siamo avvisati che troveremo solo “pensieri scomodi”, non alla mercé di menti ingenue o incerte, in un cammino “falcidiato” di ostacoli, scogli, cadute, “età del pianto”, immanenze di oggetti dalla “staticità grave” a fronte di ascese verso una indomita, effimera felicità coincidente con l’esistenza dell’altro. Lacerti di quotidianità (“ch’è saggezza grammaticale”) e di incedere del tempo trovano felice esito e sostanza in un verso che spicca cristallino, in stanze ripiegato sull’interiorità, tra assenze e presenze diuturne che si alternano, si cercano, si rincorrono. Ma non è mai il semplice “hic et nunc” a contraddistinguere la poesia di Blanco, semmai un perdersi nel tempo “tra piccole gioie profonde”, nel mare procelloso dell’esistenza. Rigurgiti del passato zavorrano una memoria che reclama pietà e solitudine di fronte al rumore cacofonico del giorno, tra le “rumorose fobie” e un senso di giustizia inchiodato sulla croce. A sostenerci la parola, ancora e sempre “arbitrio al potere” e instrumentum del mestiere del poeta, autentico (ed effimero?) sigillo contro la deificazione dell’uomo. Così, alfine, non resta, per riprendere i versi incipitari della raccolta, che lasciare spazio ai pensieri scomodi, gli unici a cantare onestà e sincerità del nostro travaglio, aria pura nell’atmosfera irrespirabile del nostro tempo.

Federico Migliorati

 
 
 
 
Futuro
 
C’è un’alba che indietreggia
spoglia
a mitigare ferite e altre ragioni
perdute.
Il mare si scosta, piano,
umile
alla ricerca di peccati da cullare
e una sola collina accoglie
di smeraldo
le attese innocenti
 
 
 
 
 
 
Mancanza
 
Di te
manca
– presente e costante –
l’assenza di occhi
 
 
 
 
 
 
Preghiera
 
C’era un tempo
in cui mattina si creava
sul tumulto di preghiera
e s’infilava il sole
tra le dita aperte di mani giovani
nel ripararmi da luce straniera.
 
Oggi sono io
straniera
nella luce delle mani
che implorano alla mattina
di tacere.
 
 
 
 
 
 
Mestiere di prove
 
Mi rifugio
in termini emaciati di prove,
lunghe l’attimo che batte la lingua sulle labbra,
quasi bacio al pensiero
e allusione intensa
a saperi che fuggono.
 
Sembro tristezza
ma riformulo il gusto sfacciato
di rabbia,
convertendolo in suono.
 
Ancora una parola come arbitrio
al potere
e avrò provato
a trarre in redenzione
esseri immaginari,
dimenticando
beatamente
me stessa
nelle danze
d’aria pregna di lusinga
e sconcerto.